Sicurezza e ristoranti. L’esperto: il rischio zero è una utopia, non può esistere un protocollo valido per tutti


di Francesca Marino*

Siamo vicini alla fine del lockdown, e all’inizio della “fase due”, che sebbene preveda un allentamento delle misure, si prospetta comunque lunga, tra preoccupazioni ed incertezze, e con diverse restrizioni. Obbligo di mascherine, distanza sociale, no agli assembramenti, orari limitati per lo sport, e solo a determinate condizioni. La riapertura delle attività sarà graduale a garantire un equilibrio tra contenimento del virus e ripresa economica. Tanti i dubbi e le perplessità, di certo ci vuole prudenza, perché la “fase uno” non è ancora del tutto superata. Ci vorrà tempo per ritornare alla normalità e al pieno regime delle attività. E tanta attenzione per ridurre il rischio di contaminazione. Abbiamo  cercato di fare un po’ di chiarezza chiedendo aiuto al professore Marco Guida, ordinario di Igiene Generale e Applicata alla Federico II di Napoli.
“Il rischio zero non esiste, pur mettendo in pratica tutte le attività per tenere sotto controllo la contaminazione. Essendo un virus che si trasmette per via aerea è complicatissimo da monitorare –afferma Guida- può essere dappertutto, sulle superfici, nel particolato, addirittura nelle acque a monte degli impianti di depurazione, per cui comporta una diffusione molto ampia”.

Si è detto tutto e il contrario di tutto, il mondo scientifico, si è spesso contraddetto. Ed adesso i gestori dei locali, e tutto il comparto food, che si affaccia a queste timide aperture, brancola nel buio. Le certezze sono poche. E tra queste, prima di aprire al pubblico, c’è l’obbligo di sanificare non solo il locale, ma anche gli oggetti ed utensili da cucina, impiegando, ad esempio, una soluzione idroalcolica al 70%, o acqua e amuchina. E utilizzare i dispositivi di protezione individuale: indossare la mascherina, un camice o un abito da lavoro appropriato (l’ideale sarebbe il camice usa e getta), i sovrascarpe, avendo cura di lavarsi le mani spesso e bene, e indossare guanti monouso.

Ma la sanificazione come deve avvenire? Quali detergenti sarebbe meglio utilizzare?
“Non ci sono protocolli validati per tutti- dice il Prof. Guida- la sanificazione dovrebbe avvenire periodicamente, e dipende dal numero di persone  che entrano nel locale, più ne entrano, più aumenta il rischio di contaminazione. Non è escluso in questi casi dover sanificare tutti i giorni. Teoricamente  potrebbe essere anche fatta in autonomia con acqua e candeggina e senza rivolgersi a ditte esterne. D’altro canto, non si avrebbe un certificato in grado di attestare la procedura avvenuta, si potrebbe provarla solo mostrando le apparecchiature e i prodotti acquistati a tal fine, rinunciando all’ analisi sugli indicatori che dà informazioni su quanto è stato abbattuto il carico microbico prima e dopo l’intervento, prelevando campioni dell’ aria e in superficie, pre e post sanificazione, che, spesso, ne rilevano un abbattimento del 90-95%. E’ possibile altresì sanificare con i raggi ultravioletti, così come si fa nei laboratori universitari a chiusura di giornata”.

Secondo quanto previsto dall’ultimo documento prodotto dall’INAIL  ad aprile,  per prevenire il rischio di infezione SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro, c’è la necessità di adottare una serie di azioni che vengono classificate in:

  • Misure organizzative, intese come gestione degli spazi di lavoro, ottimizzando i percorsi e la compresenza in luoghi in modo da poter garantire la distanza fisica tra i lavoratori, e dell’orario di lavoro, migliorando la distribuzione dei turni lavorativi per minimizzare le presenze contemporanee;
  • Misure di prevenzione e protezione, attraverso informazione e formazione, ai fini di rendere partecipi i lavoratori ai rischi derivati dal virus, indicando e spiegando le procedure idonee per la mitigazione del rischio. Questo punto del documento comprende anche le misure igieniche e di sanificazione degli ambienti: lavarsi le mani, non toccarsi naso e bocca con le mani, tossire e starnutire in un fazzoletto usa e getta o nella piega del gomito, indossare camici monouso, indossare le sovrascarpe, lavare le superfici con soluzioni idroalcoliche o al cloro. Utilizzare altri sistemi di sanificazione a base di fenolo o con raggi UV. Utilizzo di mascherine e dispositivi di protezione individuali (DPI) per le vie respiratorie: indossare mascherine monouso. Sorveglianza sanitaria:  tenersi in contatto con il proprio medico di base o, se disponibile, con il medico competente
  • Misure specifiche per la prevenzione dell’attivazione di focolai epidemicicontrollando la temperatura quotidianamente

In un mondo ideale tutti i dipendenti avrebbero dovuto già effettuare tampone e test sierologico, ma nel mondo reale munirsi di un termoscanner, ad esempio, o comunque attenersi a queste linee guida, potrebbe essere  la strada per cominciare con il piede giusto. E questo è fondamentale in un momento in cui i dati dei contagi sono in decrescita, e si riscontra un inizio di apertura delle barriere che deve essere accompagnato da una apertura soprattutto mentale, che faccia prevalere il buon senso sociale.