Cosa significa, in concreto, sostenibilità in un ristorante? Tre casi da cui imparare


Antonia Klugmann (foto Mattia Mionetto Photographe)

Antonia Klugmann (foto Mattia Mionetto Photographe)

di Francesco Raguni

Uno degli ingredienti principi della storia della cucina è il foie gras. La sua realizzazione è stata (ed è ancora) oggetto di dibattito. Il metodo tradizionale prevede che si arrivi al prodotto finale ingozzando l’anatra a forza, tramite un imbuto messole in bocca. Ad oggi, in alcuni Paesi (come l’Argentina) produrre il foie gras è illegale, in quanto è considerata una crudeltà contro gli animali. Eppure, alcune pietre miliari dell’alta ristorazione, come il filetto alla Rossini, hanno proprio il foie gras come ingrediente principale. E così il mondo si divide tra chi ha scelto di privarsene del tutto e chi, invece, continua ad avvalersene, magari in quantità più moderate. Tuttavia, la produzione non etica non è il solo argomento che si può ricondurre alla sostenibilità. Il termine, infatti, abbraccia tante altre tematiche: lo spreco alimentare, ad esempio. Spreco inteso come quantità di scarto che un ristorante produce. Anche qui, le iniziative per combatterlo non sono mancate: da Food For Souls a Too Good To Go. Non è finita qui. Anche il rispetto della stagionalità degli ingredienti gioca un ruolo importante all’interno della questione: non si può pretendere di avere pomodori tutto l’anno ed essere al contempo rispettosi dell’ambiente. Si può così capire come dietro un semplice concetto, quale la sostenibilità, si celino diverse implicazioni.

La sostenibilita'

La sostenibilita’

Ognuno prova a giocare un ruolo di cambiamento. La coralità è un virtuosismo di non poco conto nell’ambito della cucina: partendo dall’opera di una singola brigata fino ad arrivare al portare avanti una idea. I tentativi di trasformare la cucina in un mondo più etico hanno ovviamente dei volti. Uno di questi chef Davide Marzullo. Vincitore della 1° stagione di Antonino Chef Accademy, oltre ad aver lavorato con la brigata di Villa Crespi, in cui ha imparato il rispetto dell’ingrediente, annovera nel suo curriculum la presenza in brigate di fama mondiale: una tra tutte, il Noma, che – a sua detta – gli ha dato «il metodo». Non sazio, ha scelto di mettersi nuovamente in gioco con un progetto tutto suo: “Trattoria Contemporanea”, un ex cotonificio del 1800 in provincia di Como trasformato in un ristorante. Un progetto giovane dove i protagonisti sono proprio i giovani, che certamente risultano avere una maggiore sensibilità al tema ambientale. «Per le materie prime la regola è una: usa prodotti poveri. Siamo 100% plastic free e crediamo fermamente nella sostenibilità» ha affermato. E il concetto di nobile diviene quindi relativo, quando si è posti dinanzi a un dualismo: da un lato, la rarità e la ricercatezza di un ingrediente, dall’altro il suo impatto sull’ambiente. Non a caso, il protagonista di uno sei suoi piatti è il porro. Lo scopo dietro questa scelta è molto chiaro: valorizzare prodotti sottovalutati o meno ricercati. Il sapore del cuore di porro in terrina viene poi esaltato da una salsa di formaggio caprino e un olio al finocchietto. Colori accessi e forti, che non vanno oltre le colline di Lomazzo e che si fanno emblemi del concetto da molti millantato del chilometro zero.

La sostenibilita'

La sostenibilita’

Restando agganciati al di forte legame con il territorio e al rispetto degli ingredienti che questi fornisce, si può fare un secondo nome: Antonia Klugmann de “L’argine a Vencò”. Dopo la sua esperienza tri stellata, la chef ha scelto di rimettersi in gioco, ponendo il suo ideale di cucina di fronte a tutto. «In direzione ostinata e contraria» come scrisse Fabrizio De André, e così è stato, anche se adesso la direzione sta cambiando. Nella cucina de “L’argine a Vencò”, ad esempio, ci sono degli ingredienti ormai banditi: caviale, scampi, tonno, aragosta e foie gras. Più un ingrediente è raro, più è probabile che non sia sostenibile. «Io ho provato a raccontare un’idea di cucina in cui credo fortemente, in cui l’ego del cuoco non deve essere più importante dell’ambiente» afferma con convinzione. Tra i protagonisti dei suoi menù, vi è l’orto che lei stessa cura nelle colline di Vencò: un «giardino selvatico, disordinato e sostenibile» in cui si lavora con ciò che la natura le da, come ortica e finta ortica. Si ribalta così quella dinamica hegeliana dove il servo era l’orto e il padrone il cuoco. Un’altra questione che chef Klugmann ha oculato è stata quella riguardante lo scarto che in cucina avviene con le uova: spesso, infatti, si usa il tuorlo a discapito dell’albume. Non a Vencò. La pasta del suo cannellone, infatti, è realizzata con soli albumi. Il risultato è una pasta sostenibile, simbolo di antispreco, e perfettamente trasparente, che permette di vedere la farcia del piatto.

Dagli chef alle guide. Anche la blasonata Michelin ha scelto di dire la sua in questa lotta, iniziando ad assegnare da qualche anno anche una nuova stella, di colore verde. Si tratta di un riconoscimento che premia i ristoranti che tengano conto delle conseguenze etiche e ambientali correlate alla loro attività. Un esempio interessante di green star può trovarsi anche andando fuori dall’Italia, guardando in terra scandinava. Si tratta di Terra, il ristorante chef Valerio Serino e Lucia de Luca a Copenaghen. Il loro menù è un percorso all’insegna della filosofia no waste. Si prenda per esempio la portata a base di sedano rapa. L’ortaggio viene lavorato in modo da ricavarne due consistenze, una croccante, ottenuta dall’essicazione della buccia, e una morbida, fatta con la polpa. Il tutto è inoltre arricchito da un’emulsione alle cozze. Da Terra viene prodotta con il sedano rapa pure una farina, con cui poi si preparerà l’impasto dei waffle. «L’obiettivo è eliminare tutta la plastica e di ridurre al minimo lo spreco. Pomodoro, zucca, porro, sedano rapa vengono utilizzati in ogni loro forma e al 100%» spiega lo chef. Un altro esempio di portata sostenibile è il piatto a base di zucca, di cui vengono impiegati sia i semi che la buccia; della polpa si fanno poi diverse lavorazioni, persino un “affettato”. E ancora la carne: dei cervi che offre la Danimarca, da Terra non si usa solo la parte più nobile, ma anche il resto, con le ossa, infatti, si realizza un caramello.

Dall’etica allo zero spreco, passando per il chilometro zero, e viceversa: è impossibile scindere le questioni e trattarle per compartimenti stagni. La sostenibilità è proprio questo: un inscindibile correlazione tra tanti virtuosismi che regalano sapori capaci di emozionare, ma al contempo sensibili verso il nostro pianeta.