Dal seme alla tazza, a Napoli il caffè diventa racconto e nuova etica del gusto
di Fosca Tortorelli
A Napoli, città che del caffè ha fatto un simbolo identitario, qualcosa sta cambiando. Dietro la tazzina non c’è più solo il rito quotidiano, l’aroma familiare, il gesto automatico che scandisce le giornate, oggi c’è studio, ricerca, formazione e soprattutto un nuovo modo di intendere la professionalità. Una cultura del passato che si fa contemporanea attraverso conoscenza e cura, seppure ancora diffusa in una piccola nicchia.
Poco a poco, però, sempre più ristoratori e osti scelgono di restituire al caffè, in particolare all’espresso, il suo vero valore, trattandolo non come un’abitudine, ma come un prodotto agricolo che racconta la terra, le persone che lo coltivano e chi, con competenza, lo porta fino alla tazza. È una piccola rivoluzione silenziosa, che parte dal gusto ma tocca la cultura, l’etica e il modo stesso di fare accoglienza.
Tra coloro che da anni portano avanti questo “credo” ci sono due protagonisti della ristorazione campana: Raffaele Cantone, per tutti Lello, anima del Bistrot Zi Rosa di Sant’Anastasia, e Nando Salemme, oste e narratore del gusto dell’Abraxas Osteria di Pozzuoli. Due storie diverse ma unite dalla stessa convinzione: il caffè non è un semplice epilogo del pasto, ma una forma di rispetto, un atto di consapevolezza, un racconto di territorio e di mestiere.
“Per me il caffè è un diritto – racconta Lello – il diritto delle persone di sapere cosa bevono. Sono nato dietro un bancone, in un locale di famiglia che da sessant’anni è un punto di riferimento, e il caffè è sempre stato il gesto che chiudeva ogni conversazione, che accoglieva e salutava. Oggi ho capito che non basta saperlo servire, bisogna conoscerlo. Offrire un buon caffè è un gesto di rispetto verso chi entra nel mio bistrot, ma anche verso la materia prima. Dietro ogni tazzina c’è una storia, e se non la racconti resta incompleta”.
Per Lello il caffè non dovrebbe mai essere un gesto frettoloso. “Va fatto al momento, macinato fresco, curato in ogni dettaglio. Non servono investimenti enormi, basta un buon macinino e una macchina professionale: il vero punto è la mentalità. Se pensi che il caffè sia solo un gesto da fare in fretta, non ti importerà di farlo bene. Ma se ci metti rispetto, per te e per chi lo beve, cambia tutto”.
Lello parla anche del valore “politico” del caffè, nel senso più sociale e culturale del termine. “Il rispetto per il prossimo passa anche da una tazzina fatta bene. Se una volta ti viene male, la butti e la rifai. Offrire un buon caffè è un modo per dire che ci tieni, che vuoi far star bene chi hai davanti. Bisogna dare tutto buono, dall’acqua all’olio, al vino. Non puoi trascurare un prodotto che è parte della tua cultura”.
Anche Nando Salemme racconta un percorso di conoscenza e responsabilità. Il suo Abraxas Osteria, nel cuore dei Campi Flegrei, è da anni un laboratorio di cultura gastronomica e sostenibilità. “Il caffè – spiega – è un prodotto agricolo: nasce da una pianta, da un terreno, da mani che lo coltivano. Per troppo tempo lo abbiamo trattato come un prodotto industriale, dimenticando la sua origine. Riportarlo al suo contesto significa restituirgli dignità”.
La svolta arriva dopo un viaggio in Honduras, tra piantagioni e produttori. “Ho visto persone che vivono di quel lavoro, che selezionano ogni chicco con cura. È stato come entrare in una cantina: ho capito che il caffè, come il vino o l’olio, racconta il territorio. Da allora propongo solo caffè di filiera etica e tracciabile, scelti con la stessa attenzione che metto nel selezionare un vino dei Campi Flegrei o un olio locale”.
All’Abraxas si servono caffè provenienti da piccoli produttori, frutto di progetti che uniscono qualità e sostenibilità, come quello dei Fratelli Bonacchi, parte della Slow Food Coffee Coalition. “Quando il ristoratore sa da dove viene un prodotto e lo racconta al cliente, non offre solo un gusto ma condivide un valore: è un atto di rispetto per la terra e per chi la cura”.
Per Salemme il vero cambiamento passa dalle persone. “Il personale va formato, coinvolto, responsabilizzato. Non basta servire un prodotto buono, bisogna saperlo raccontare. Quando un cameriere o un barista conosce la storia di ciò che offre, trasmette autenticità e il cliente lo sente”.
Cantone e Salemme condividono la stessa idea: la professionalità è il futuro della ristorazione. Non è solo tecnica, ma cultura. Formare chi lavora, studiare, comprendere il valore di ciò che si ha: sono questi gli ingredienti che fanno la differenza. “Apprezzare quello che abbiamo – dice Cantone – è il primo passo per crescere. Spesso cerchiamo l’eccezionale altrove, ma la qualità è già qui, nelle nostre mani”.
Così, tra Pozzuoli e Sant’Anastasia, due locali simbolo della Campania del gusto ridisegnano il ruolo del caffè, trasformandolo da abitudine a linguaggio. Un gesto antico che torna a essere contemporaneo, un racconto che unisce competenza e passione. Perché in fondo, come dice Salemme con un sorriso, “il caffè è l’ultimo sapore che lasciamo al cliente, ma anche il primo racconto che gli resta in mente”.


Qualcosa si muove in questo campo anche nel Regno di Napoli ! Un ottimo post da chi ha sempre avuto uno sguardo attento sul caffè che come recitava la buonanima di Nino Manfredi :se non è buono che piacere è ! FRANCESCO