Di cuore, di coraggio, di testa, di silenzio, di resistenza: Antonia Klugmann
di Giulia Gavagnin
“Di cuore e di coraggio” è il titolo del libro che Antonia Klugmann ha pubblicato nel 2018. Certo, la rappresenta. Ma, ancora, direi: di testa, di silenzio, di resistenza. Solo per non utilizzare “resilienza”, termine metallurgico utilizzato ormai sempre a sproposito. E no, lei a sproposito, non dice e non fa nulla. Resistenza, che va a braccetto con coraggio. Quello che nasce da lontano, di lasciare l’università annunciando a una famiglia borghese: “vado a fare la cuoca”. Che era come dire, allora, vado in fabbrica. Di affrontare una lunga riabilitazione dopo un grave incidente, di gestire a ventisei anni il primo locale in un luogo che non sentiva suo (l’Antico Follador a Pavia di Udine), di abbandonarlo per costruire dalle fondamento il suo, di locale, in una sua, di terra, e, nel frattempo, crescere nelle prime stelle moderne della Serenissima repubblica, il Ridotto e Venissa.
Infine, “resistere resistere resistere” a due allagamenti, l’ultimo dei quali gravissimo, che l’ha messa in ginocchio per una ventina di giorni con tre camere ancora inagibili. Nel silenzio, quello che lei stessa reputa fondamentale per trovare la concentrazione e respirare all’unisono con la natura che porta in tavola. Le erbe, a partire dal profumo dello “sclopit” (silene, in italiano) tagliato che in Friuli si accompagna alla polenta. La frutta, che la sua parte triestina riconosce da sempre: grande piatto della Venezia Giulia mitteleuropea, quello degli gnocchi di susine, che gira e rigira, a Vencò emergono sempre (le susine o prugne, a seconda). Il pescato, che dalla vicina Grado giunge sempre puntuale, nel piatto e nei ricordi di un nonno pugliese che amava cucinare mediterraneo. Il fumo, della brace, del prosciutto affumicato triestino, la fine del fuoco da cui tutto ha inizio.
E sì, in questo luogo un po’ sperduto, nella parte forse meno nobile del Collio, quella al di qua di Prepotto e del suo austero Schioppettino, meno edonistica del versante della ribolla, lavora alacremente, incessantemente Antonia Klugmann, la chef che crea piccole magie e realizza grandi sogni, tramuta l’identità di frontiera in piatti che trascinano lontano, nel tempo e nello spazio.
Il paragone può apparire un poco forzato, ma giungere a Vencò è un po’ come dire affrontare il viaggio per Codigoro, sponda Capanna di Eraclio, e nella diversità non è un caso che siano donne due grandi cuoche del nostro tempo, distanti per cultura e approccio ai fornelli ma, in fondo, neanche così tanto.
Per chi scrive andare da Maria Grazia Soncini è un viaggio spirituale, un momento di disconnessione dalla realtà per raggiungere un pezzo di Arcadia.
Lo è, in modo più contemporaneo, anche giungere da Antonia Klugmann: strada stretta, sino a un tratto di sterrato, l’argine a lato, il cartello stradale che indica, laconicamente: località Vencò. Da lontano, si intravede la cucina a vista, e questa piccola grande donna che alacremente assaggia, compone, crea, fa, disfa. Si capisce subito che è un prodigio della natura, una fuoriclasse, di un’altra pasta.
Uno chef è bravo quando sa cucinare bene, è grande quando è perfetto nelle sfumature, che fanno sempre la differenza, ognuna a suo modo.
Così, nel percorso invernale, basta un po’ di polvere di tè a cambiare fisionomia a un semplice carciofo della tipologia nordestina, rendendolo persino abbinabile al vino (Vitovska di Skerk a tutto pasto, sia mai perdersi un vino del mirabile Sandi, ogni lasciata è persa), e se non è magia questa, di cosa parliamo?
Ricordi, resistenza, fumo: segue il pane ammollato e arrostito con semi di finocchio. Ricordo della panada, piatto contadino della povertà più nera, quando un tozzo di pane secco era già tanto. In questo caso varrebbe ricordare un famoso detto, miseria e nobiltà, oggi un tantino abusato, ma ormai nessuno inventa più nulla.
Vegetale puro in topinambur, olive e castagne; e Adriatico tra Duino e Puglia nella cozza con basilico e parmigiano.
Si apre poi un quadrivio da Oscar. Raviolo di erbe autunnali con ostrica e prezzemolo: carnosa e amaricante, scivola via elegantissima.
Mazzancolla con lardo e prugna, e si torna in pura Mitteleuropa con la garniture favorita per le carni applicata al crostaceo.
Due piatti clamorosi a seguire: capellini al mandarino e rosmarino, e ravioli ripieni di bollito di lingua con sambuco e maionese al dragoncello. Ovviamente diversi, eppure esplosivi, in una compiuta compenetrazione di sapori.
Più “minimal”, nella tendenza della chef, la quaglia con cardo mariano, tendenza amara per la salsa e quaglia cotta al barbecue.
Per concludere, caco e noce e fagioli, carruba e nespola con gelato al rosmarino.
L’Argine a Vencò è un luogo semplicemente imprescindibile per comprendere dove sta andando la cucina italiana.
L’identità sfaccettata di Antonia Klugmann, triestina con ascendenze ebraiche, nonché ascendenze ferraresi e pugliesi, la rende un sismografo capace di captare le innumerevoli componenti e sfumature di ogni singolo ingrediente, di terra e di mare. Questo, unito a una sensibilità d’artista, l’ha portata ormai a competere con i nostri più illustri cuochi.
Non è un caso che Antonia Klugmann sia stata parte attiva della cordata che ha visto la proclamazione della cucina italiana a patrimonio culturale immateriale Unesco e che abbia partecipato alla cena celebrativa lo scorso 16 dicembre.
Questa donna di cuore e di coraggio merita i più grandi successi.
L’Argine a Venco’
34070 Dolegna del Collio (Go)
Tel. 350 5212804













