Domaine Raveneau, Chablis


Bernard Raveneau

“Ma datemi uno Chablis da 10 euro! “
Quante volte l’ho pensato di fronte a certi manufatti di falegnameria derivati dal maltrattatissimo vitigno chardonnay un po’ ovunque sul pianeta. Dalla Spagna alla Nuova Zelanda, dagli States al Cile, dalla Francia al Sud Africa, dall’Italia all’Argentina.


Tutto il contrario della fresca e cristallina purezza del nobile bianco nordico, quando anch’esso non sia stato rovinato da pesanti passaggi nel temutissimo Allier.
Ora, per 10 euro sta diventando più difficile che in passato trovarne presso distributori italiani o tanto meno presso le enoteche, ma tornando da una breve vacanza da Parigi sarebbe opportuno fare tappa presso qualche piccolo Domaine Chablisienne e riempire il baule di cose buone e che costano veramente 5 monete .

Questo non sarà possibile farlo però presso i fratelli Raveneau.
Ma non tanto perché i prezzi siano folli, ma semplicemente perché Jean-Marie e Bernard hanno così tante cure da prestare alla loro piccola produzione da non poter accettare normalmente neanche le visite degli appassionati venuti da ogni dove sperando di tornare con qualche loro preziosa bottiglia.
Al massimo, se proprio non vi stancate di stare attaccati al campanello del loro ingresso al 9 di Rue de Chichée otterrete l’indirizzo della più vicina enoteca, o del più prossimo ristorante pluristellato dove potreste avere qualche chance di incontrare alcune bottiglie del Domaine più prestigioso del comune di Chablis.

Lo Chablis del Domaine Raveneau

E si, i fratelli Raveneau sono molto impegnati, perché diversamente da quasi tutti gli altri in zona, loro continuano ad evitare tutte le scorciatoie tecnologiche che potrebbero semplificargli la vita, ma che probabilmente gli semplificherebbe anche il vino. E noi apprezziamo che i vini dei Raveneau non siano così “semplici” come i freschi vinelli village da 10 euro.

Oltre alla prevedibile ventata di mare e conchiglie, ancora rintracciabili nel terreni della zona ( ma i maligni pensano che siano periodicamente disseminate dall’ufficio del turismo) , saranno spesso i bouquet di fiori bianchi ma soprattutto i fiori e il miele d’acacia il timbro riconoscibile di un Raveneau.
E mai la vaniglia, perché questi lo sanno usare il legno. Certo, i loro vini hanno bisogno spesso di molti anni per esprimersi, questo l’unico limite, la pazienza necessaria per concedergli di arrivare a maturità, e cioè intorno agli 8-12 anni dalla vendemmia.
Qualcuno potrebbe stupirsi che questo vinello trasparente e acidissimo se accostato al clichè del pichet che accompagnerà un plateau di ostriche in qualche dozzinale bar à huitres possa invece prendere una strada diversa e accostarsi autorevolmente a gamberi di fiume o meglio ancora a cosce di rane al burro, per non dire nulla (per non agitare troppo i succhi gastrici) , ad una vera sogliola alla mugnaia.

Tornando ai prezzi, non saranno quindi sufficienti i 10 euro di cui sopra, e penso nemmeno i 25 che ho pagato fino al millesimo 2001 – 2002 , nonostante il passaggio di seconda mano tramite distributore provenzale. Seconda mano che però mi ha consentito nel 2005 di inciampare in una cassetta di “rimanenze” contenente 12 grand cru di annate quali il 1993 e 1994 , annate non proprio straordinarie e quindi abbandonate. Incautamente abbandonate.
Portate via per quattro soldi e verificato il loro splendido apogeo. L’essenzialità e la purezza. Un naso da brividi, da Montrachet ( di quelli buoni) e poi un corpo che ovviamente non ce la poteva a reggere il confronto con le sensazioni olfattive, debole, gracile. In dissolvenza di sapore ma in avvolgenza di sentori spietati che non ti mollavano mai. Un viaggio.

Chablis les clos

Questo può accadere dentro una bottiglia di Raveneau.
Però con pazienza. Direi che oggi i millesimi che possano cominciare a far vibrare l’ipofisi e tutto il sistema nervoso fino al coccige potrebbero essere le ottime 2001 – 2002 . Un paio di assaggi di premier cru e grand cru 2001 confermano, anche se i diversi stati di conservazione e le condizioni del tappo ceralaccato avevano accelerato l’evoluzione del grand cru forzandone le sensazioni, già un pelino terziarizzate.

Si sa che alla lunga quasi tutti i vini bianchi finiscono con l’assomigliarsi. Nel caso di Chablis secondo me anche all’inizio si somigliano parecchio i diversi cru del medesimo produttore.
Gli splendidi terroirs di Chablis composti innanzitutto da sette grand cru e 79 premier cru (raggruppati per comodità in 17 ) , diventano difficilmente riconoscibili nel bicchiere, salvo per le due esposizioni principali, quella più favorevole e dove ci sono i grand cru, e quella più fresca, pur nobilitata da ottimi terroir che fanno di nome Montmains o Vaillons .
Da questo lato due premier cru di Raveneau piazzati dietro Montmains , e cioè Butteaux e Foret, ma anche il citato Vaillons, saranno da preferire sui millesimi più caldi come il 2003 o per una bevuta anticipata nel tempo, mentre i lunghi invecchiamenti saranno prerogativa di grand cru quali Blanchot, Valmur, Vaudesir, Les Clos e il non trascurabile (anzi!…) premier cru Montée de Tonnerre.

Concluderei dicendo che il Domaine Raveneau è proprietario di 7,5 ettari piantati 100% con chardonnay e produce circa 40-50.000 bottiglie annue , tutte esaurite al Domaine, fino all’ultima goccia, ma rintracciabili sul mercato a partire dai 50 euro

Niente sito internet , non c’è tempo per queste cosa moderne, c’è da lavorare in vigna prima di tutto ;-)

GDF

21 Commenti

  1. proprio con una sogliola alla mugnaia mi e’ capitato di berlo, a parigi tre anni fa. ho invece i miei dubbi sui gamberi di fiume, turchi.

  2. Il Domaine Raveneau credo sia il migliore produttore di Chablis. I sette ettari di vigneto di Jean e Bernard Raveneau producono splendidi vini artigianali da tre Grands Crus (Blanchot, Les Clos e Valmur) e da quattro Premiers Crus (Montée de Tonnerres, Les Vaillons, Butteaux e Chapelot). Tutte le uve sono raccolte a mano (uno dei pochi coltivatori di Chablis a farlo) e Jean Marie preferisce raccogliere le uve in anticipo piuttosto che vendemmiare tardivamente, con l’obiettivo di preservare la loro acidità.
    Rese molto basse, insieme alle meticolose tecniche di vinificazione ed i successivi lunghi affinamenti in bottiglia, sono i fattori principali che rendono questi vini così pregiati. I risultati sono una pura e vivace ricchezza di mineralità, frutta al miele, ecc., ma il loro limite, se di limite si può parlare, è che prima di cinque anni non riescono ad estrinsecare tali caratteri .Ma le attenzioni che i fratelli Reveneau riservano ai loro vigneti sono “necessarie ma non sufficienti ” per ottenere quel prodotto. Naturalmente in questo campo il terroir gioca un ruolo fondamentale : le condizioni estreme alle quali le viti sono sottoposte, specialmente in inverno e primavera, sono tali che spesso i vignerons si devono attivare con sistemi vari di anti-congelamento(innaffiature, stufe e quant’altro). Tutto ciò crea un equilibrio di acidità e mineralità che rende tali vini unici. Ciò detto,un prodotto del genere, non è per tutti, tutti i giorni. Nel senso che una scelta qualitativa di questo tipo dei Reveneau , presuppone che la politica commerciale della loro azienda punti ad un trend di clientela di fascia medio-alta e quindi ricerchi i propri clienti tra ceti sociali più abbienti. Ottimo, a tal proposito, l’esempio di Giulia in campo automobilistico tra la Ferrari e la Cinquecento. Anche se non proprio perfetto : una volta o forse più, il sottoscritto potrà permettersi una bevuta di Chablis, ma mai potrà permettersi una… Ferrari!!!

  3. Come al solito dici cose verissime GdF. Per chi non conosce il territorio è estremamente difficile capirci qualcosa. A proposito dello Chablis bisogna dire che una delle sue caratteristiche principali è sempre stata una certa incostanza, anche in considerazione del perdurante clima incerto di tutta la regione. La colpa, tuttavia, non è sempre da attribuire al clima, ma anche al continuo innalzamento delle rese attuato da coltivarori avidi di denaro e alla sciatteria di produttori poco rigorosi. Sebbene ci siano ancora molte opportunità di poter comprare Chablis di qualità, anche a prezzi ragionevoli, sia per le appellations meno note e sia per i Grands Crus, è importante comunque che i compratori stiano attenti a quello che acquistano. Per quanto concerne lo Chablis di Raveneau Les Clos Grand Cru, questo è sicuramente uno Chablis grandioso. Vinificato secondo la tradizione, senza la minima sfumatura di vaniglia, come hai giustamente sottolineato tu. Ha invece intensità di aroma e un’acidità tagliente, che gli permette un lungo affinamento in bottiglia e quando è pronto è da tolgiere il respiro. Altri due magnifici esempi, sempre di Raveneau, sono il Grand Cru Valmur i i Premiers Crus lieux-dits-Chapelot e Butteaux. Mi piace, inoltre segnalare anche il Vaudèsir Grand Cru di Louis Michel , quello di Jean Collet Mont de Milieu Grand Cru e Les Preuses Grand Cru di René & Vincent Dauvissat. Un forte abbraccio.

  4. Leggo sempre con piacere le note del Guardiano (vero che anch’io sono affascinato dai fari bretoni, ma spero di conoscerlo per dargli un nome, perché il suo nick mi porta invariabilmente alle note sdolcinate del moog di Federico Monti Arduini, a meno che non sia proprio lui, folgorato dalla felicità in un bicchiere piuttosto che da quella dei gabbiani…) : un vero viaggio, ricco di quei piccoli dettagli che solo un vero viaggio ti può regalare, per farsi ricordare.
    Cantine che le archistar si schiferebbero solo a prendere in considerazione, botti come ne vedevo nelle campagne di una volta, luci di lampadine a penzoloni dal soffitto roccioso e facce, fatte di rughe e sguardi diffidenti, corpi segaligni avvolti in maglie lise, improbabili pail e camicie a quadrettoni.
    Si immaginano mani nodose, le unghie perennemente scorticate e annerite dei contadini. Poca immagine, molta sostanza.
    Mi piace leggere tra le righe le loro storie di contadini, le loro filosofie, i rischi che prendono e una certa cocciutaggine che, a seconda di come la vedi, può sconfinare nella proverbiale antipatia franzosa.
    Mi piace leggere di storie come quella di Dagueneau, un specie di John Lennon, in tutti i sensi, del mondo in bottiglia. Imagine (per favore non suonata dal Guardiano del Faro, quello del moog…)
    A malapena so che uno Chablis è fatto di chardonnay, solo una volta, sulla strada per Beaune ho bevuto in dolce compagnia un bicchiere di Nuit Saint Georges, con intenti e esiti romantici, non sapendo che “nuit”, non significa “notte”, ma deriva da un modo di definire, da quelle parte, le “noci” (inglesismo?).
    Insomma sono meno interessato, seppur ammirato, dalla sequela di Grand e Premiers Cru, dai nomi suggestivi che come accade in Borgogna si aggrovigliano ai nome dei comuni, in un intrico di paesi, vigneti, proprietari e venditori, testimonianza di una parcellizzazione che è frammentazione anche della memoria, avvertimento quasi a stare lontani, a lasciar perdere, a farsi i fatti propri.
    So bene che chi studia con passione ha diritto di capire e conoscere fino in fondo, ma io preferisco le storie dietro il bicchiere e non mi appassiono, né scalpito, tantomeno sgomito né mi attizzo nello snocciolare e sciorinare tutti i vigneti in corrispondenza del kilometro 23 ad ovest della Saona, in una sorta di enoico ( o eroico?) gramelot.
    Mi perdoni Guardiano, ma confido che in fondo le faccia piacere se qualcuno, fosse anche solo uno, oltre ad accarezzare l’idea di vini da sogno, si ostina, a torto o a ragione, a cercare l’altra faccia della luna, fosse anche una faccia solcata da quelle rughe e quelle fierezze un pochino solitarie. Come i guardiani dei fari, d’altronde ;-)

    1. Fabrizio, l’altra faccia della Luna?

      Eccola:

      ————
      Draguignan, Marzo 2009

      Tante volte non capisci perché non ti rispondono ai fax.
      Ci devi andare di persona per capire perché non ti rispondono ai fax.
      Come fu al Chateau (poulailler) Rayas.
      Intanto trovali, poi cerca di parlargli, infine bevi!

      Trans En Provence.

      E’ una località ai margini di Drauguignan.

      L’indirizzo preciso del…”podere” di 6 ettari, risulta sconosciuto a tomtom.
      Ma se hai trovato Rayas trovi anche Delus.

      All’ingresso, da un lato già capisci che qui l’età delle vigne è certamente superiore a quella del produttore.
      Dall’altro lato c’è il regolamentare cavallo biodinamico che ti osserva.
      Un telaio di trattore arrugginito anteguerra a dare un senso storico.
      Una moto enduro, se c’è fretta.
      Una moto trial, ci fossero difficoltà superiori.
      La gabbia dei conigli.
      Il cane che insegue il gatto.
      Tutto perfetto, sembra organizzato dalla pro-loco.

      In cantina, Gerard Delus non ti farà mancare nulla.
      Neanche qualche critica alla biodinamica, che non professa.
      In questi frangenti di dialogo Pacaleggia

      Un Viognier che sa di lavanda.
      Un Chenin che vira sulle erbe aromatiche
      Per stupire il turista?
      No! Perché ci crede, ma fino ad un certo punto.
      Poi fa i melange con i consueti vitigni più consueti di laggiù!
      Dommage!
      Però lui la pensa così.
      Massimo, massimo rispetto.
      Mourvedre e Grenache che insieme sanno di Eucalipto.
      Balsamico da vicks vaporub.
      Altre 10 pipette da 10 pièce .Vitigni assortiti. Lui butta giù, non sputa., io neanche.
      Ancora, andiamo in cielo.
      Un altro vino fortificato come un Porto.
      Un’altra cosa, un distillato che sa di Garrigue.

      Come faccio a tornare a casa Gerard?

      Segui la luna!

      Gerard Delus
      Montée de l’Hermitage
      83720 Trans-en-Provence

      gdf

      1. Forse riesco ad immaginare la faccia di Delus … ;-))
        Quanto alla Luna si sa che bussò alle porte del buio, dopodiché…
        … giù quasi per caso
        più vicino ai marciapiedi
        dove è vero quel che vedi
        e allora giù fra stracci e amore
        dove è un lusso la fortuna
        c’è bisogno della luna
        e allorà giù giù …
        Da seguire, appunto.

  5. oggi facevo una considerazione personale. e’ poco piu’ di un anno che ho scoperto i blog enogastronomici. qualche delusione l’ho avuta ed anche grave nell’intestardirmi a voler conoscere gente che conosco solo su una tastiera. ma i ll bicchiere e’ ancora oggi piu’ pieno che vuoto e stranamente molti di quelli che hanno scritto su questo post mi hanno trasmesso belle e bellissime sensazioni.

    grazie a giulia, infaticabile scribacchina, grazie a fabrizio scarpato, il biologo strambo, grazie al guardiano che mai pensavo di leggere addirittura con goduria e grazie perfino ad occhetto/tornatore, il che e’ tutto dire :-)

    1. Caro Giancarlo
      per vivere la vita alla grande e con curiosità è indispensabile passare per le delusioni.
      Il problema non è tuo se, nel caso, ci sei rimasto male. Perché si tratta di attimi che poi si superano.
      Il problema è invece di chi ti ha deluso che vive male e molto mediocremente: magari ha le ali, ma, come le galline, le usa per camminare e non per volare

      1. Grande Luciano e Grande Giancarlo e grazie per avermi fatto rompere….il ghiaccio.

      1. naturalmente parlavo di chi aveva scritto sul post, e’ chiaro . la fila e’ ancora lunga : grammauta appunto, tumbiolo, leo ciomei,perfino vignadelmar. per non parlare di vizzari uno e due, paolo, aldo fiordelli e sicuramente mi sono dimenticato qualcuno, ma ho sonno.
        intendevo comunque dire che il web non e’ arido come sembra. pero’ ci vuole un po’ di coraggio o incoscienza, fate voi.

    2. @ Giancarlo : ingrato!!! Dopo tutta la fatica fatta e la maestria usata nella preparazione del :https://www.lucianopignataro.it/a/il-dolce-della-domenica-tiramisu-al-fiano-con-le-uova-di-maffi/11727/ con il solo scopo di pubblicizzare le tue uova (conflitto d’interesse), hai il coraggio di scrivere “il che è tutto dire”?
      @ Tutti : si è creato veramente un bell’ “ambientino”. Si affrontano questioni serie, si scherza, qualche volta ci si accapiglia, ma mai o quasi mai, ci si manca di rispetto. Questo perchè dietro alle nostre convinzioni, che qui abbiamo l’opportunità di esplicitare, c’è solo onestà intellettuale e nient’altro.
      Grazie a tutti (perfino al Maffi), e soprattutto grazie al Padrone (di casa).
      Che il bicchiere sia sempre mezzo pieno solo perchè l’altra metà già l’abbiamo bevuta!!!

    1. In Vino Veritas. Appartiene alla cultura spirituale.
      Lo spirito del vino è quello di aiutarci ad avere la visione dionisiaca della vita, è espressione della nostra evoluzione antropologica, il mezzo per stimolare il percorso sensoriale, uno dei meccanismi conoscitivi della nostra società. Parlare del vino come fa Lei, senza retorica, partendo dalle origini che sembra abbia vissuto Lei stesso, dalle Sue esperienze che, con la semplicità del “mi piace” o “non mi piace” perchè….. l’ho bevuto con …. quando…, mi hanno fanno emozionare e venire una gran sete.
      Siete oltremodo tutti speciali per questo Vi seguo con dovizia di letture con una sola preghiera alla Signora Giulia: la prego, continui a scrivere in italiano, pure in forma dialettale, ma non scriva in francese che mi ricorda il “noio volevon savuar” di Totò e Peppino al vigile milanese.

      1. Simpatica e grande signora del vino, Le auguro una splendida giornata e buon lavoro in quel di Battipaglia. A presto.

  6. Stiamo frequentando una palestra in comune. C’è chi mette bene in evidenza i muscoli tesi del sapere enoico. Chi apprezza, chi commenta, chi ribatte, chi impara, chi legge, chi mette a disposizione degli altri le sue passate esperienze, senza ostentazione, senza pretese, senza primeggiare. Facciamo tutti parte di una stessa squadra che, come i primi discepoli dopo la morte di Gesù, mette tutto in comune. Divide, condivide, partecipa, unisce. E poi nascono amicizie, interessi, perplessità, diatribe, diversi punti di vista, precisazioni, correzioni, sempre improntati ad una buona educazione e rispetto degli altri,come deve sempre accadere in un contesto simile . Il gioco delle parti di una vita vissuta o iniziata da pochi anni che si estrinseca in una sola parola: amore… Abbracci.

    1. si si belle parole, esimio.
      ma tu avevi detto che invitavi qui, invitavi la’.

      poi si e’ scoperto che le bottiglie di borgogna te le eri bevute tutte e che a malapena ti erano rimaste due sassicaia, probabilmente dell’annata peggiore, 2002.

      altro che amore, abbracci e gesu’cristi :-))))))

  7. Giancarlo, proprio perché sono un fervente cattolico e seguo pedissequamente gli insegnamenti della mia religione, capita spesso che io metta a disposizione del primo venuto tutto quel poco che possiedo. Quindi le bottiglie di Pinot noir borgognone ed altro se le sono scolate i miei amici. Per quanto riguarda le due bottiglie di Sassicaia sono di un’ottima annata: la 2000 e le metto a disposizione del primo che si prenota. Anzi, guarda che faccio, lascio qui l’indirizzo della mia e-mail: [email protected], va bene?
    Abbracci.
    p.s. sarebbe possibile leggere i tuoi bellissimi post senza l’infioritura di “parolacce”? Abbracci.

    1. ti ho mandata una mail, ma non voglio vincere nulla sia chiaro. semmai quando scendo mi offrirai una bottiglia di perrier.

      riguardo alle parolacce mi spiace deluderti.

      ho molto rispetto dei “ferventi ” , di qualunque tipo e religione siano.

      io sono un fervente ” cazzone “.

      che ci vuoi fare ? leggimi lo stesso, ti prego, e salta le parolacce, che poi di questi tempi di scandalosi rappresentanti sulla terra della tua religione preferita mi paiono, purtroppo, tremendamente innocenti.

      con laicissimo e forse ateissimo affetto, tuo maffi.

  8. @Giancarlo ho molto apprezzato il tuo intervento e la tua e-mail. Quello che dici è vero a riguardo dei “ferventi” di qualsiasi religione. Purtroppo non tutti sono perfetti e, naturalmente, io per primo non lo sono. Comunque le bottiglie di Sassicaia sono sempre a disposizione e non solo quelle, magari racimolerò qualche altra bottiglia diversa, da dividere con tutti gli amici. Certo che ti seguirò e leggerò sempre i tuoi post, ci mancherebbe altro. Per me è sempre un piacere imparare da persone come te.
    Fai una cosa adesso, se hai voglia e tempo disponibile: leggi il mio post sul Tokaji ungherese e poi esprimi un giudizio. Con immutato affetto e tanti abbracci. Enrico.

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