L’errore dei ristoratori parvenu: tanti soldi per l’ambiente, pochi per chi lavora


di Marco Contursi

A pochi mesi di distanza da un mio articolo in cui denunciavo lo stato di approssimazione della ristorazione campana, mi è venuto in mente di fare un esperimento curioso. Ho girato per alcuni locali (circa 10), di vecchia e nuova apertura e piuttosto pretenziosi, insieme ad un sommelier, ad un esperto di comunicazione (siti web, campagne pubblicitarie, grafica) e talvolta si è unito pure un architetto, per capire questi nuovi locali in che direzione andavano.

E le conclusioni non sono andate lontano dalle mie ipotesi iniziali. Ripeto, parlo di locali con aspirazioni e prezzi di una certa caratura.

Ambiente: Tutti hanno speso quasi tutto il capitale a disposizione per fare un bel locale, con eccessi costosi ed inutili come i bagni con sanitari firmati da stilisti e cucine ipertecnologiche ma inutili per quello che poi si va a proporre. Che senso ha comprare l’ultimo modello di forno da svariate migliaia di euro se poi lo affidi a un cuoco che a stento usa quello tradizionale e gli fornisci materia prima di scarsissima qualità? Purtroppo tutti pensano che basti fare un bel contenitore per far entrare il pubblico, ma non sempre è così e quando avviene, è molto triste, perché significa che chi sceglie quel locale non capisce niente di cibo.

Personale: Qui la prima nota dolente. Nella gran parte dei casi, ho trovato persone approssimative, spesso molto giovani e molto poco motivate. D’altronde se hai uno stipendio di 600-800 euro al mese, per 15 ore di lavoro quotidiane, è pure comprensibile. La sala è importante quanto la cucina, pensare di risparmiare sul personale è un suicidio. Ma ancora oggi, la maggior parte dei locali ha personale di sala impreparato e non si preoccupano i titolari di formarlo o di farlo formare. Questo anche in un locale costato più di 3 milioni di euro. Non so se mi spiego….

Vini e materie prime: Altra nota dolente. Le carte dei vini per risparmiare la consulenza di un sommelier, le fa il rappresentante di turno. Così trovi ben  2 cannnonau e 1 solo aglianico, o 2 pecorini di offida e 1 solo bianco della costiera e nessuno del cilento, a pochi km da entrambi. La ratio? Quella di risparmiare la consulenza del sommelier per fare la carta dei vini. In un locale di oltre 300mila euro. Inutile poi chiedere lumi su alcune etichette ai ragazzi di sala, ti guardano come se avessi chiesto il numero della sorella. Refusi nei menu e nelle carte dei vini si sprecano: Mastrobernardino, De concilio, falangina, doc che diventano docg e infusi che finiscono nei distillati.

Su salumi, pasta, formaggio ed e olio stendo un velo pietoso. Roba commerciale, spacciata per locale, e da molti clienti pure apprezzata, come il pecorino sardo industriale a due passi da una montagna piena di pecore. O l’olio di semi in boccetta di vetro , portato vicino a una bistecca di marchigiana da 60 euro.

Va bene così…..

Comunicazione: Qui la cosa si fa ilare. Come il titolare di un ristorante da svariate centinaia di migliaia di euro (oggi per fare un locale decente da 100 posti viaggi tranquillamente dai 200mila a salire), che chiede al titolare della agenzia di comunicazione di realizzargli il brand (nome, logo, dominio internet ecc) e quando ha il preventivo di 850 euro, cifra irrisoria se si pensa che creare un nuovo nome quando ormai tutto è gia stato scritto e registrato, a volte richiede settimane e diverse professionalità al lavoro (grafico, creativo, autore testi, informatico ecc..) risponde “Addirittura 800? Io pensavo di cavarmela con 100-150”….  Cioè tu vuoi spendere 150 euro per nome e logo, quando ne hai speso 300mila per fare il locale???????? Oppure, ne spendi 2mila in comunicazione web in 4 anni del tuo ristorante, dopo averne speso 4 (sì, proprio 4!!!) milioni di euro per farlo????? E se qualcuno su trip, critica la cucina, il titolare di questo locale milionario risponde che il locale è bellissimo, dimora antica, con pezzi di antiquariato ecc….come se si mangiassero le mura o i mobili.

Comunicare la propria offerta è fondamentale come farla con competenza e giusta spesa. Eccellenza e comunicazione viaggiano a braccetto. Un sito internet ben fatto, chiaro nei contenuti ed aggiornato, magari con menù e prezzi, ti permette di fare il salto di qualità. Risparmiare su questo è stupido. Soprattutto se si sono spesi migliaia di euro per mura, sedie e tavoli.

Purtroppo vige sempre la maledetta convinzione che basti fare un bel locale per avere successo. Che si affianca all’idea che le persone non capiscano niente di quello che mangiano e quindi l’apparenza conti più della sostanza.

Su quest’ultimo punto, purtroppo, in parte hanno ragione, perché moltissimi clienti oggi si fermano all’ apparenza di un locale e prestano poco o nessuna attenzione a quello che hanno nel piatto. Perché mangiano male pure  a casa loro e quindi se sei abituato a prendere a casa un prosciutto cotto di 8 euro al kg, anche se al ristorante ti servono uno di 6 tu lo trovi normale. Se più persone si formassero un minimo in tema di cibo, molti locali non potrebbero più propinare roba scadente per oro colato. O vongole filippine per veraci e farti pagare 18 euro il piatto di pasta, oltretutto con sugo già pronto e vongole servite fredde sopra (capitato a me, di recente).

Potrei fare numerosi esempi ma mi fermo qui, anche perchè mi sono sufficientemente innervosito. Neanche il successo del mondo pizza, dove i titolari hanno investito in qualità dei prodotti e comunicazione, serve da esempio….. ma poi non dite che è colpa della crisi se chiudete.

La realtà è che non dovevate proprio aprire.

 

7 Commenti

  1. Ti guardano come se avessi chiesto il numero della sorella” affermazioni Contursiane che risollevano, Viagra per affamati di parole…e di concetti, il discorso potrebbe allargarsi a macchia d’olio, di semi, su menù pretenziosi nelle descrizioni e poveri di contenuti comprensibili, menù furbescamente (mica poi molto) privi di prezzi nei siti, “la realtà è che non dovevate proprio aprire” nemmeno la pagina WEB…mentre l’albicocca del Vesuvio sembra un frutto proibito, chissà se, chi di anacoluto ferisce sentendosi forse un po’ troppo sicuro dei suoi nero su bianco, troverà condivisibile il concetto che dopo la bolla della borsa, anche la bolla della spesa potrebbe scoppiare, riportando tutti con i piedi per terra, avvantaggiando chi, la terra e il territorio non ha ripudiato…

  2. Grandissimo Luciano, facciamolo leggere a tutti i ristoratori o presunti tali che investono in ristrutturazione e gadget costosi e zero in professione. Grazie

  3. Caro Marco mi complimento con te, e… conoscendoti, so quanta rabbia ti fa questa cosa che in poche righe hai descritto, trattando non solo il reale stato dei fatti di una Campania delle “eccellenze”, che nel 99% dei casi è un attributo pretenzioso, ma anche quel deficit cultural-culinario che esiste tra i consumatori in genere e nel mondo dei foodies in particolare, (salvo qualche eccezione ovviamente).

    Spesso nel mondo della ristorazione non si conoscono neanche la varie definizioni del concetto “Qualità”, che non è una dimensione assoluta, (esempio: qualità richiesta, qualità attesa, qualità latente, qualità percepita, qualità relativa, ecc.), e si parla addirittura di “Eccellenze”, (ovviamente, anche qui ignorandone la definizione concettuale, quindi il reale significato).

    A me sembra funzionare quasi come con la moda…

    Una volta era in uso l’aggettivo “Qualità” (atto a qualificare la superiorità di un dato prodotto rispetto a prodotti simili per fascia di prezzo), nel momento in cui questo concetto è diventato un comune “mantra magico”, esso ha perso la sua efficacia sulle vendite a causa del suo smodato uso, causando non pochi problemi economici.

    A questo problema occorreva una soluzione, ed ecco che spuntano nuovi prodotti/servizi, quelli di “Eccellenza”. Prodotti che ti proiettano in una dimensione speciale, prodotti mai che si erano visti prima.

    Allora uno può chiedersi cosa ci sia di diverso tra i prodotti/servizi di “qualità” e quelli di “eccellenza”, attributo che per definizione concettuale induce a pensare a prodotti migliori in assoluto rispetto ai generici prodotti di “qualità”, ovvero prodotti tali (per loro caratteristiche intrinseche) da far pensare che oltre ci sia il “nulla”.

    Sarà vero?

    In realtà nulla è mutato, tutto è come prima, tranne che il modo di qualificare un “prodotto/servizio”.
    Parlare di “eccellenza” fa più “figo” e quindi fa più presa sul consumatore poco documentato, (cioè la maggioranza).

    Questa è una realtà cruciale al mondo d’oggi perché l’effetto della dilagante “ignoranza” di molti ristoratori (soprattutto quelli che approdano in questo settore da attività altre, convinti di saper fare dell’ottima ristorazione), non fa altro che alimentare quel “piattume” dell’offerta gastronomica nostrana (salvo quelli che nella distribuzione statistica vengono definiti outlier).

    Mentre nel settore della ristorazione delle nazioni più evolute si eseguono sistematici studi scientifici (nell’ambito della psicologia), già da qualche anno, per capire quale influenza ha sul cliente un dato stile di “impiattamento” (termine di uso recente nella gastronomia, atto a denotare la composizione e la disposizione degli ingredienti in un piatto), a livello di piacevolezza del cibo, quale forma e colore del piatto favorisce una valutazione positiva più elevata, quale sia l’orientamento migliore di una pietanza posta nel piatto davanti al cliente per favorire la massima valutazione positiva possibile, di quanto sia disposto a pagare in più un consumatore in relazione ad una particolare presentazione del piatto, ecc.

    Parlare di qualità, vuol dire osservare con occhio critico ogni particolare e non lasciare nulla al caso, ma occorrono anche punti di riferimento con cui confrontarsi. Tra gli indizi diretti e indiretti di qualità ci sono:
    – La facilità di reperire informazioni sul locale con una segnaletica appropriata;
    – La presenza di un parcheggio (custodito/incustodito, asfaltato/ciottoli di ghiaia ne fanno la differenza);
    – Manutenzione e cura per l’insegna (spesso con lampade fulminate, sporca e che pende da un lato);
    – Una facciata ben curata (che dia un senso di ordine e pulizia);
    – Una vetrina sempre pulita (con maniglie ben funzionanti);
    – Il saluto e la calorosa accoglienza del personale di sala (spesso assente);
    – La cura e l’aspetto del personale di sala (spesso si vedono persone reduci da un funerale e mal vestiti).
    – Una quantità e distribuzione dei tavoli rispetto ai metri quadri della sala, tale da garantire sempre un grado elevato di
    privacy (spesso occorre fare difficoltose gingane per raggiungere il proprio tavolo);
    – Il grado di ergonomia degli spazi architettonici e dell’arredo (l’architettura destinata alla ristorazione è un complesso
    settore di cui solo pochissimi architetti conoscono bene);
    – Un menu che faciliti la scelta e aiuti a risolvere dubbi e incertezze dei clienti (la maggior parte confondono il cliente al
    punto da non sapere più perché sono entrati in quel locale, si pensa che 89 voci nel menu siano meglio di 15).
    – Ecc. ecc.

    Mi fermo qui, non voglio annoiare nessuno, considerando che il mio questionario per il check-up qualitativo appositamente redatto per la ristorazione contiene oltre 250 item, potrei continuare fino a farne un “trattato”. Tuttavia parlare di eccellenza gastronomica vuol dire colmare positivamente tutti i punti del check-up, e posso garantirti che è quasi impossibile trovare una sola attività a livello nazionale che soddisfi i dati requisiti.

    C’è da chiedersi soltanto:
    Quando il concetto di “eccellenza” non funzionerà più, (perché non più credibile), cos’altro ci si deve inventare?

    Per paradosso mi viene da pensare che, probabilmente, ci sarà chi impara ad ipnotizzare il consumatore appena entra la porta, per ripulire il contenuto del suo portafogli e “suggestionarlo” al punto tale da convincerlo che ha mangiato come un Re. Anche se, poi, lascia il locale a pancia vuota.

    1. Caro Alberto, nel farti i miei migliori auguri di buon onomastico, ti dico che preferisco non rivelare i nomi dei locali n cui non mi sono trovato bene, per rispetto verso i dipendenti e con la speranza che cambino rotta.Ti chiedo di capirmi.Le mie sono battaglie ideologiche, non contro il singolo.

  4. Succede uguale uguale anche nei bar. Locali pazzeschi e quando chiedi che cioccolata calda hanno , ti dicono.. “Le porto il menù” :-)))))

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