Garantito IGP. Il mio nome è Wolfe, Nero Wolfe


di Stefano Tesi

Sedevo, oggi come allora, nello stesso punto dello stesso salotto, a fianco del medesimo caminetto. Ed erano le vacanze di Natale, come adesso. Solo di molti, molti anni fa. Era inverno, nella grande casa di campagna faceva freddo e io indossavo un maglione marrone fatto a maglia, con il colletto rivoltato come una camicia. Taglia da adolescente.

Tra le mani tenevo un libro, anzi un librone, con la copertina cartonata gialla e ruvida, che leggevo senza riuscire a staccarci gli occhi. E senza riuscire ad arginare i succhi gastrici che l’inesorabile connubio tra i sentori della cucina di casa e certi piatti d’alta scuola evocati nel romanzo mi stuzzicavano.

Nero Wolfe

Così, ogni tanto, interrompevo la lettura e andavo a contemplare le foto delle schede raccolte in una tasca della terza di copertina: erano ricette, con tanto di colorata foto esplicativa, di elaborati piatti (così almeno mi parevano) della cucina francese. Appetitosissimi, in apparenza. Raffinati. Elaborati. Glassati. Gli stessi menzionati nel libro, è ovvio. Cucinati da Fritz Brenner e divorati, va da sé, da Nero Wolfe.

Il libro inaugurò la stagione, mai interrotta, del mio grande amore per il personaggio letterario inventato da Rex Stout. Un personaggio di cui, pochi anni prima, mi ero già invaghito grazie alle straordinarie interpretazioni televisive di Tino Buazzelli e di Paolo Ferrari, ovvero Archie Goodwin. Ma con il quale la vera scintilla scoccò per merito di quel tomo all’epoca rivoluzionario, una sorta di “gastrothriller pratico”, che non faceva solo immaginare, ma proprio dava l’illusione di sentire, di assaporare, di esserci dentro alla “vecchia casa di arenaria” al numero 918 della 35ma strada, a Manhattan.

Nero Wolfe

Avevo, all’epoca, ancora vive negli occhi le immagini di “Alta cucina”, l’episodio wolfiano della serie tv condito di ingenui effetti moog, cristalli scintillanti anni ’70, le suole cigolanti del nostro e certi ambienti dai soffitti bassi, ma ridondanti di velluti e moquette, impregnati degli effluvi delle salsicce mezzanotte dalla formula segretissima.

Breve ricerca on line ed eccolo qui, il volume: si chiamava “Alta cucina del delitto”, era pubblicato da Mondadori nel 1969, aveva 891 pagine. Lo dicevo che era grosso. Conteneva: “La traccia del serpente”, “La scatola rossa”, “Alta cucina” (appunto), “Nero Wolfe e sua figlia” e “Tre sorelle nei guai”. Ora quasi nuovo lo si trova – incredibile! – a meno di 20 euro tra gli usati nelle grandi catene sul web. Ma, avverte l’onesto venditore (e con mio perfido compiacimento), “privo del ricettario in seconda (errore: come detto era la terza, almeno mi pare!) di copertina”. Che la mia copia invece, perché ovviamente io ce l’ho ancora, da qualche parte, conserva. Tiè!

Come un torrente in piena tutto ciò mi è tornato in mente quando tempo fa ho ricevuto per posta, dalla Beat Edizioni, la nuova edizione tascabile di “Fer-de-lance“, ovvero guarda caso “La traccia del serpente” del librone mondadoriano, il primo racconto (1934) della lunga saga di Nero, ora ripubblicato in versione economica (286 pagine, appena 9 euro) dalla casa editrice meneghino-veneta.

Una storia piena di fascino e di suspence, come tutte quelle stoutiane del resto. E che fin da subito scolpisce nei dettagli, tra le pieghe della vicenda, la burbera filosofia edonistica destinata ad accompagnare il protagonista per tutta la sua ultracinquantennale esistenza letteraria: birra fredda e schiumosa per conciliare la riflessione, il cibo come premessa alimentare e spirituale essenziale di ogni altra attività, la raffinatezza culinaria come incrocio di civiltà e di godimento, di ricerca intellettuale e di saper vivere.

Nero Wolfe

Le indagini? Giusto una parentesi lucrosa e necessaria tra una portata e l’altra.

Fer-de-lance insomma, tra un serpente impacchettato e un omicida diabolico, è il classico racconto da divorare in un pomeriggio. E c’è da giurare che non sarà l’ultimo se la Beat continuerà, come promesso, a pubblicare il seguito dell’opera di Stout. Con succulento sciorinamento di altre ricette, pranzi, cene.

E siccome agli IGP e ai loro lettori, oltre che alla letteratura, piace appunto la cucina, ecco in coda il regalino di Natale: la formula delle famose “salsicce mezzanotte”.

Potrei dire che me l’ha rivelata personalmente il suo custode, il riservatissimo chef catalano Jerome Beren, dopo averla negata allo stesso Wolfe.

Invece sarò sincero: l’ho copiata. Dove, non lo dico. Chiedetelo a Archie Goodwin.

SALSICCE MEZZANOTTE

2 cipolle

1 spicchi d’aglio

30 gr cioccolato

2 cucchiai grasso d’oca

3 cucchiai brandy cucchiai di burro

3 cucchiai brodo di manzo

3 cucchiai vino rosso

timo, rosmarino,zenzero,noce moscata,chiodi di garofano,pane grattugiato q.b.

100 gr. pancetta bollita

100 gr. lonza di maiale arrosta

200 gr. arrosto d’oca

200 gr. fagiano arrosto

sale e pepe q.b.

1 cucchiaio pistacchi sbucciati

intestini di maiale

Tritate le cipolle e l’aglio e rosolatele nel grasso d’ oca. Versate prima il brandy fino a coprire le cipolle, poi il brodo ed il vino rosso. Aggiungete un pizzico di timo e rosmarino e spolverate con zenzero, noce moscata e con un’idea di chiodi di garofano. Cuocete a fuoco lento per dieci minuti e aggiungete sufficiente pane grattugiato per ottenere una polpa. Cuocete ancora per 5 minuti. Aggiungete prima il bacon bollito e l’arrosto di lonza, poi l’arrosto d’oca e di fagiano. Tutta la carne deve essere sminuzzata. Condite col sale e con una generosa dose di pepe nero, aggiungete il pistacchio e lasciate cuocere a fuoco lento finchè l’impasto di carne abbia la consistenza del ripieno di una salsiccia fresca. Raffredate completamente. Lavate e scottate gli intestini di maiale. Riempiteli con l’ impasto di carne, strozzando di tanto in tanto con del filo per ottenere le salsicce. Cuocetele sotto il grill del forno, dopo avere bucato qua e là la pelle.

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6 Commenti

  1. raramente libro e trasposizione tv/cinema hanno l’effetto di rimbalzare dall’uno all’altro con lo stesso godimento. Tino Buazzelli sembrava uscito invece propria dalle pagine di Rex Stout, che tra l’altro immagino il personaggio Nero Wolfe esattamenete opposto a lui che era smilzo e amava fare sport. Fantastici! E tutte quelle manfrine per prendere i casi interrompendo la cura delle orchidee o il lavoro in cucina.
    Ci ho passato tutta l’adolescenza e leggere e rileggere Stout, oggi con internet sarebbe davvero possibile fare tutto senza mettere il muso fuori di casa:-)

    1. “Nella serra del crimine”, con note sulla coltivazione delle orchidee.
      Grazie a eBay ce l’ho :)

  2. Mio cugino,appassionato giallista,mi prestò il libro ma non l’allegato con le ricette. Per quello pretese, ed ottenne, che gli preparassi una di quelle ricette-l’anatra ripiena in salsa rouennaise-che d’allora è rimasto, nei nostri ricordi, un piatto mitico. Una cosa però mi sorprese poco tempo dopo : in una edizione di un libro di ricette di Nino Brgese ( mangiare da re ) furono riportate tal quali alcune delle ricette già pubbliate nel libro di Rex Staut.
    Il ricettario si può ancora consultare presso la biblioteca del teatro “”il pozzo e il pendolo” a piazza S. Domenico Maggiore

  3. Ho appena finito di leggere per l’ennesima volta Nero Wolfe e il morto che parla. Credo che Rex Staut sia stato il primo artifice della mia passione per la gastronomia e quando ho pensato al nome del mio ristorante il primo che mi è venuto in mente è stato <<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<rusterman

    Ho appena finito di leggere per l'ennesima volta 'Nero Wolfe e il morto che parla'. Credo,in effetti, che Rex Staut sia stato l'artefice della mia passione per la gastronomia tanto che il Veritas inizialmente si doveva chiamare 'Rusterman' come il mitico ristorante di Marko Vukcic, il grande amico di Wolfe.
    E le salsicce mezzanotte, che ne parliamo a fare! Grazie per la ricetta. Quasi, quasi vanno in carta..

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