Giovani in agricoltura: la vera rivoluzione silenziosa italiana secondo lo studio Cia


Arianna Occhipinti: il Primo Maggio simbolo della nuova generazione italiana impegnata nei campi


L’agricoltura non è più solo un “affare di famiglia”. Se un tempo in campagna ci si nasceva e il mestiere si ereditava dai genitori, oggi cresce sempre di più il numero di chi sceglie la vita dei campi, pur provenendo da esperienze e formazioni diverse. Ed è così che delle 158 mila aziende “under 40” presenti in Italia, il 39 per cento è guidato da “new entry” del settore, che hanno deciso di scommettere sull’agricoltura, pur non essendo “figli d’arte”. Lo afferma l’Agia-Associazione dei giovani imprenditori della Cia, sulla base di un sondaggio effettuato sul territorio nazionale, presentato in occasione del convegno “Il valore terra nel ricambio generazionale”, che si è svolto oggi a Teramo durante la VII Festa nazionale dell’Agricoltura della Confederazione italiana agricoltori.
Giovani, intraprendenti e preparati: le nuove leve dell’agricoltura italiana hanno un tasso di scolarizzazione molto più alto della media del comparto. Nel 30 per cento dei casi hanno una laurea in tasca. E non si tratta solo della facoltà di Agraria -sottolinea la Cia-. Se gli agronomi rappresentano il 43 per cento dei giovani “dottori” del settore, infatti, il restante 57 per cento è costituito dai titoli più disparati: da ingegneri (21 per cento) a economisti (18 per cento), da psicologi (7 per cento) a veterinari (9 per cento) fino ai laureati in Giurisprudenza (3 per cento) o in Lettere (14 per cento). A dimostrazione del fatto che in un momento di crisi come questo i giovani credono ancora nell’agricoltura come sbocco professionale.
E fanno bene -evidenzia l’Agia Cia- perché l’agricoltura si sta dimostrando vitale e “anticiclica” dal punto di vista occupazionale, anche se i numeri del “turn over” generazionale nei campi sono ancora bassi, con gli “under 40” che rappresentano solo il 9,9 per cento del comparto e gli “under 30” che si fermano addirittura al 2,1 per cento. Eppure, secondo dati recentemente pubblicati da Almalaurea, ad esempio un agronomo su due trova lavoro entro un anno dal conseguimento del titolo, e quasi uno su tre con un contratto stabile. Tanto che, dall’inizio della crisi, la facoltà di Agraria ha fatto segnare un picco di immatricolazioni superiore al 40 per cento, a fronte di un crollo generalizzato delle iscrizioni di oltre il 12 per cento in cinque anni.
“Stiamo assistendo a un fenomeno di rinnovamento del comparto: mentre i figli degli agricoltori che decidono di portare avanti l’azienda di famiglia si sono ridotti al 61 per cento del totale -rimarca la Cia- una nuova tendenza avvicina al lavoro dei campi giovani laureati o professionisti di altri settori che decidono di mollare tutto e di cambiare vita”. Alla base di questo fenomeno nuovo che sta attraversando il comparto ci sono più fattori. Quasi il 45 per cento di questi imprenditori “young” decide di investire in agricoltura dopo esperienze lavorative concluse negativamente nei comparti più vicini alla propria preparazione. Il 33 per cento dichiara di aver scelto l’agricoltura più per la qualità della vita in campagna che per le reali prospettive offerte dal settore. Mentre il restante 22 per cento è stato coinvolto nella scelta da amici e conoscenti, con cui poi ha iniziato l’esperienza lavorativa in azienda.
Qualunque sia il motivo di questa scelta, però, un elemento resta fondamentale: in otto casi su dieci sono stati aiutati dalla famiglia nella fase di “start-up” aziendale, per l’acquisto della terra (65 per cento), per i macchinari (45 per cento) e per la burocrazia di partenza (56 per cento). Il che dimostra che nel settore, soprattutto per i giovani, il “credit crunch” è ancora molto forte.
Un altro aspetto nuovo di queste imprese è il carattere di “équipe” della guida aziendale. Anche a causa delle formazioni molto varie dei nuovi imprenditori della terra, la tendenza a fondare “società” e “associazioni” agricole è sempre maggiore. E al timone di queste realtà innovative si trovano combinazioni assolutamente originali: quasi sempre c’è almeno un “addetto ai lavori”, quindi un agronomo, un enologo o un biologo, a cui si affiancano le figure professionali più disparate, che a volte si reinventano completamente agricoltori, ma più spesso portano il loro know-how in azienda dandogli una marcia in più dal punto di vista multifunzionale