I cinesi iniziano davvero a bere vino, ma non quello italiano: ecco l’analisi di uno scenario impensabile sino a cinque anni fa


di Alberto Forchielli

Dopo una lunga altalena tra illusioni e disincanti, il vino in cina ha assunto una propria fisionomia economica. Rappresenta oggi un mercato in crescita del 35% annuo e finalmente strutturato. Esistono importatori specializzati, fiere commerciali, club di degustazione, riviste settoriali. I consumi sono in crescita, anche se sono ancora piuttosto bassi, pari a 0,5 litri pro-capite all’anno. Il livello è molto più basso della media mondiale (7,5 litri) ma è quasi raddoppiato in 10 anni. I consumatori cinesi continuano a preferire il vino di riso o di cereali, ma soprattutto nelle città si aprono a gusti nuovi, contaminazione di altri stili di vita. L’approccio sta diventando più consapevole, rispettando i tempi e la prassi della «civiltà del bere».

Sembra dunque smentito il pessimismo che precludeva alla Cina l’affermazione di un nuovo prodotto perchè non apparteneva alla sua cultura alimentare. Ormai ordinare vino è segno di distinzione, innestato nella parte più moderna e ricca di una nuova società che si afferma. Il vino si ordina nei banchetti ufficiali e si conserva nelle cantine private dei consumatori più ricchi.
Con orgoglio i produttori della regione di Bordeaux hanno rilevato che nella prima metà del 2010 la cina è diventata la loro prima destinazione export, dopo aver superato germania e regno unito. I wine tasting sono un’occasione di rappresentanza nei quali si propongono accostamenti inediti tra cucina cinese e vini d’importazione. Le modalità di consumo sono ancora diverse, talvolta creano imbarazzo tra i produttori europei, ciò nonostante il mercato si è affermato come realtà economica.


Il mercato è soddisfatto all’80% da produttori locali che operano in un settore dominato da tre grandi marchi: Dinasty, Great wall e Changyu (i primi due quotati a hong kong e il terzo a shanghai). Tra i vini d’importazione dominano quelli francesi, seguiti a ruota dai vini di australia, nuova zelanda e sud africa.
La presenza italiana, nonostante l’Italia sia il primo paese produttore ed esportatore al mondo, soffre a causa della frammentazione strutturale dell’industria italiana e della relativa piccola dimensione degli operatori che non dispongono della scala necessaria per affrontare un mercato così vasto, ma ancora molto parcellizzato sotto l’aspetto distributivo.

Con la velocità tipica del loro successo, alcuni imprenditori cinesi hanno impresso una spinta verso operazioni più sofisticate. Già da alcuni anni le bottiglie di vino sono un bene di investimento e di prestigio. Le grandi case d’asta battono ad Hong Kong le annate migliori, al pari dei gioielli e dell’antiquariato. Il clamore delle vendite non conosce soste.
La industrial and commercial bank of china ha inserito botti di vino pregiato nel pacchetto di investimento dei suoi migliori clienti, garantendo un rendimento annuo del 5%. Operazioni ancora più complesse sono in corso e riguardano l’acquisizione di proprietà all’estero. La divisione wine&spirits della cofco (il più grande produttore ed esportatore alimentare della Cina) ha acquistato dei vigneti in cile per la produzione di vino di qualità. L’operazione, la prima del suo genere, è stata presto imitata. La Dinasty, uno dei leader del mercato, ha annunciato di voler comprare dei terreni per vinificazione.


Dopo uno scrutinio di 20 paesi, la scelta è caduta su Francia e Australia. L’obiettivo è di soddisfare consumatori cinesi ora esigenti con un’offerta possibile soltanto con le dotazioni naturali e la capacità di vendemmiare di paesi con maggiore tradizione vinicola. La Cina riconosce dunque la sua inadeguatezza, ma è pronta a cogliere le opportunità. Il dinamismo dei suoi imprenditori non conosce frontiere. È un esempio di delocalizzazione al contrario, rispetto a come fino ad ora è stata conosciuta.

https://www.youtube.com/watch?v=E_8IXx4tsus

La Cina reperisce i fattori di produzione dove sono meglio disponibili, li acquista e poi li importa per il mercato interno. Per ironia, lo effettua per un prodotto fino a pochi anni fa quasi sconosciuto.

(il sole 24 ore radiocor)

Bordeaux in China

13 Commenti

  1. I francesi hanno fatto, in passato, un lavoro certosino con il loro istituto di cultura in Cina: hanno promosso numerosissime attività culturali, iniziative di tipo turistico, mostre, ecc, ecc…tanto è vero che alla domanda posta ai cinesi “Quale paese europeo vorreste visitare per primo?” la maggioranza dei cinesi ha risposto “La Francia”.
    Quando gli italiani impareranno ad utilizzare gli istituti di cultura soprattutto in questo senso e non come parcheggio per raccomandati sarà sempre troppo tardi.

  2. “Con orgoglio i produttori della regione di Bordeaux hanno rilevato che nella prima metà del 2010 la Cina è diventata la loro prima destinazione export”

    Io sono già felice che questa roba vada a finire la, e non la pagano poco, poi se a Milano organizzano matrimoni durante il misex, anche questa non mi sembra una buona idea :-)

  3. Cari amici, sinceramente io non sono totalmente d’accordo con l’articolo. I vini italiani non solo sono presenti, ma sono richiestissimi. Vivo a Shanghai inininterrottamente da mesi, ho girato la Cina e devo dire che i vini italiani non solo fanno la loro bella figura nelle qine list, ma ce ne sono una infinità anche nei supermercati. E parlo di Cina, non di Hong Kong che, nonostante l’annessione, continua e continuera’ ad essere un’altra cosa rispetto a alla Mainland.Si, è vero, i francesi importano di più, non perchè sono migliori, ma anche perchè molti cinei comprano i vini al supermercato E qual’è la catena più diffusa? Carrefour, ovviamente, oltre ad Auchan. Ma anche da Metro, la presenza di vino italiano è consistente, non a livelli francesi, ma c’è. Non c’è un solo ristorante che non abbia vini italiani e quando vado fuori a cena, non necessariamente un intaliano, in almeno un tavolo c’è una bottiglia di vino italiano. Nel 2008, ultimi dati disponibili all’Ice, il vino Italiano in Cina ha visto un incremento considerevole delle esportazioni registrando un aumento del 31,98% rispetto all’anno precedente per un totale di 26,92 milioni di USD, portando l’Italia al 4° posto fra i paesi esportatori con una quota di mercato del 7.07%.Andando nel dettaglio la voce principale rimane il vino imbottigliato (+20.92% e 21,61 milioni di USD), per il quale l’Italia si colloca al 3° posto tra i paesi esportatori dopo Francia ed Australia; segue poi il vino sfuso, nonostante abbia subito una notevole flessione (+144.36% e 3.88 milioni di USD), quindi il vino spumante (+52.61% e 1,43 milioni di USD) dove l’Italia si colloca al 2° posto dopo la Francia. Esaminando i dati dei primi 9 mesi del 2009 le importazioni complessive di vino dall’Italia hanno subito una contrazione pari al -18,56%, per un valore di 17,58 millioni USD. In particolare il vino imbottigliato ha avuto una piu’ modesta contrazione del -10.05%, per un valore di 16,12 milioni di USD, rappresentando oltre il 91% del totale delle nostre esportazioni di vino. Degno di particolare nota l’andamento in controtendenza dei vini spumanti con un aumento del 20.56%.Ricordo che le tasse totali di importazione del vino (valide per tutti, ovviamente) in Cina raggiungono il 46,7%, cosa che premia vini che hanno un prezzo di partenza basso. Coloro che non scelgono il vino come status symbol ma come bevanda per accompagnare il pasto o per festeggiare (molto diffusa in Cina l’abitudine di brindare ripetutamente nel corso della serata con consumo di vino pro-capite in taluni casi molto elevato) sono di solito molto sensibili al fattore prezzo che per il vino locale si aggira al dettaglio su 2,5-6 euro, mentre per il vino d’importazione sale a 10-20 euro per il prodotto di fascia media, potendo naturalmente salire a prezzi molto piu’ elevati. Per quanto riguarda i prezzi, la media dei rossi di fascia bassa e’ tra gli 8 e i 18 euro, la media tra i 18 ai 34 euro, l’alta tra i 34 in su. Il Bianco di fascia bassa costa dagli 8 ai 12 euro, il medio dai 12 ai 24 euro, alta a sgeuire. Per le bollicine, la fascia bassa e’ tra i 9 ai 24 euro, la media dai 24 ai 45, l’alta a seguire. Secondo l’Ice, Shanghai e non Hong Kong, e’ da considerarsi il luogo chiave per Ie mode e tendenze e in questa citta’ i vini rossi d’importazione hanno conquistato l’80% del mercato. I vini francesi e italiani sono presenti da anni, e il riconoscimento dei marchi ha raggiunto livelli soddisfacenti. Comunque salvo pochi esperti la maggior parte dei consumatori preferisce vini giovani, dal gusto semplice, invitanti e di medio prezzo.
    Ultima cosa, la promozione, anche in risposta a Monia. L’Istituto di Cultura in Cina fa moltissime cose, tantissime davvero. Ho girato parecchio e devo dire che gli istituti in Cina, nonostante i budget bassissimi, fanno una infinita’ di cose. Le promozioni agroalimentari, anche se legati ad una questione culturale, sono demandate principalmente a Ice e Camere di Commercio, che pure fanno tanto. Il problema è che c’è un frazionamento nella nostra industria che non c’è nelle altre. In Cina non si parla di vini Italiano, ma di vini veneti, piemontesi, etc. L’altra sera a Shanghai sono stato invitato ad una degustazione di vini sanniti, degustazione demandata ad un importatore. Della cosa non era stata interessata nessuna “autorita’” italiana, ma tutto sul privato. Scusate la lunghezza.

    1. Caro Nello, ti ho letto con molta attenzione e mi fa piacere che le cose, come tu sostieni e non ho motivo di dubitarne, stiano molto meglio di quello che sembra. Però, la confusione esistente nella promozione dei nostri vini, non pensi sia dovuta, oltre che alla mancanza di cultura del fare sistema, anche alla oggettiva
      disorganizzazione istituzionale che viviamo qui in Italia e quindi trasferita anche ai rispettivi organismi esteri? Mi riferisco naturalmente non solo all’esportazione di prodotti, alimentari e non, ma anche al turismo. Mi risulta, infatti, che negli ultimi tempi una cospicua percentuale della popolazione cinese sia particolarmente interessata all’ “incoming” in Italia…

    2. Caro Nello … ci sarebbe da fare una bella discussione a riguardo. Innanzitutto i dati dell’Ice non corrispondono a molti altri dati statistici. Io ho studiato l ultima ricerca dell Ice e della CdC Italiana a Hong Kong sulla diffusione del vino italiano in CINA e devo dire avrei qualche commento da fare sui metodi utilizzati.
      Neanche il secondo posto per il vino sparkling mi risulta ma secondo o terzo che sia dopo il cava Spagnolo, la diffusione dello sparkling è talmente poco importante che non ci contendiamo il podio :-)

      Per quanto riguarda la promozione ..concordo sul fatto che ci sono diversi eventi promozionali nelle principali città della Cina, ma sono eventi “spot” non inseriti in un piano strategico e quindi, a mio parere, poco utili.

      I vini italiani non hanno ancora sfruttato nemmeno la metà delle potenzialità che hanno a disposizione. C è tanto da fare..
      la ricerca, i progetti a lungo termine, le strategie di marketing…. queste sono le cose che potrebbero aiutarci ! Basta con i wine tasting e i wine dinner se non sono inseriti in un progetto piu generale

      Potremmo incontrarci a metà srada per continuare la discussione… io dovrei essere a Shanghai a Dicembre…se vieni a Hk fammi sapere :-)

  4. quando ho fatto il viaggio in cina ho voluto assaggiare i loro vini. mamma mia che schifo!
    il più buono sapeva di manico della padella bruciato.
    In Birmania invece, sul lago Inle c’è un produttore che fa vini bevibili, sorattutto il rosè

    1. Forse hanno interpretato male una frase orecchiata qui in europa tipo ” per fare un buon vino ci vuole il manico” :)

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