I dispiaceri della Carne
di Fabrizio Scarpato
E' scattata l'ora legale, o solare. Non si sa mai esattamente se quella che perentoriamente scatta, sia l'ora legale o l'ora solare. O forse non ce ne importa nulla. Nemmeno se dormirò un'ora in più o in meno, mi importa: dormirò quanto mi verrà di dormire, è domenica. Anche se mi assale il dubbio che l'eventuale beneficio guadagnato si disperda, si consumi, nel disperato tentativo di quantificarlo definitivamente. Fino a contare le ore, senza dormire. Come quel Gaber, mai sicuro di aver chiuso il rubinetto del gas: allora lo apre e lo chiude, lo riapre e lo richiude. Per sicurezza, nell'insicurezza. E si addormentava sui fornelli. Col gas aperto.
Quando scatta l'ora legale, o solare, o tutt'e due, è bene non mostrare segni di debolezza, chessò sbadigliare, aver fame o sonno: c'è sempre qualcuno che ti ricorda che è logico, che l'organismo deve adattarsi al nuovo orario, specie al lunedì, soprattutto al mattino, meglio se in ufficio o in ascensore: ora più, ora meno, sempre disagio comporta. Quasi che il disagio dipendesse dall'orologio o dal calendario. Allo stesso modo, per quanto cerchi di evitarlo, c'è sempre un altro qualcuno che scopre, fatalmente, poeticamente, ineluttabilmente che s'è fatto buio presto: dio come si sono accorciate le giornate, o allungate le giornate: guarda è ancora giorno.
Voci, nient'altro che voci, moti d'affetto, forse non ne potresti fare a meno, segnano il passare del tempo, il vivere. Come il Natale, che ogni anno, come ogni anno, anche quest'anno passerà.
Vivere, dormire, mangiare forse: carne, anche. Bistecca o non bistecca: “se sia più nobile d'animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell'iniqua fortuna, o prender l'armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli”. La carne divide, taglia le opinioni come lama affilata: le solite opinioni, sempre le stesse, che ci accompagnano, utile monito o rottura di zebedei, possibilmente senza il ditino alzato.
Piove, anzi diluvia, in questo primo giorno di ora legale, o solare: i forzati della bistecca si mettono in viaggio. Tra pozze d'acqua e motoscafi da strada, tra secchiate in faccia e camper che chissàdovevannoconstotempo, i mezzi da sbarco puntano, pur con qualche difficoltà, verso la piana del pane sciapo: Altopascio, per la precisione Orentano, che è patria di “pizzattari” e carnevali, ma anche il paese dove officia un grande bistecchiere: Benito, pizzeria e trattoria. Tutto un programma.
Piove, anzi diluvia su Massa: se tutti noi passanti, in quel momento, avessimo potuto o saputo gridare, forse una mamma e il suo bambino si sarebbero affacciati sull'uscio, forse un contadino del Candia non si sarebbe arrampicato sul costone per protegger le sue vigne. Forse.
Mi ipnotizzano le frecce illuminate e tremule che disegnano le grandi curve dell'autostrada: mi ricordo di un piccolo articolo in cui si parlava di un centinaio di bambini veronesi che sono educati gratuitamente, presso la struttura pubblica, verso una alimentazione “verde”: piccoli vegetariani crescono. Si eliminano le proteine animali per contrastare la formazione di cellule adipose e possibili, pericolosi eccessi di peso; si sostituiscono le proteine animali con legumi e cereali: per ottenere i risultati di una bistecca basta mangiarli insieme, dice il medico. I bambini hanno un'età che va dai cinque mesi ai tre anni: non so quante bistecche possano desiderare di mangiare, ma non credo neppure che possano andare pazzi per una pasta e fagioli. Desiderare, conoscere, scegliere forse. Allo svincolo di Viareggio rallento: non sono affatto sicuro che un'educazione alimentare, per quanto doverosa, passi attraverso un' imposizione. Quei bimbi sono un po' più poveri, solo un po', ma lo sono: e non per loro scelta, anzi, lo sono proprio perché qualcuno ha scelto per loro.
Certo quei bimbi, cresciuti, nemmeno si sarebbero posti il problema di arrivare, sotto una pioggia finalmente normale, fin da Benito. Magari contenti avrebbero trovato cereali e legumi, pizze e focacce sottili, fagioli e farro, non so se avrebbero goduto della ritrovata presenza sulla tavola di un mai dimenticato fiasco di chianti imprecisato, ma sarebbero usciti ai titoli di testa, perché il film, lo spettacolo se lo sarebbero perso, e lo spettacolo è la fiorentina. Fate come volete, ragazzi, ci mancherebbe, ma io resto. Resto per quel cuore rosso e burroso, morbido e succoso, resto per la crosticina cauterizzata e maillardée, resto per il gioco di consistenze e sapori, resto per quel sottile diabolico sentimento di gusto che provo nel tagliare al coltello una fetta di carne che incido netta e precisa come un budino. Sarebbe una sequela liturgica di gesti e profumi lenti e profondi, se una certa tendenza al raffreddamento, colpevolmente sollecita, non consigliasse uno sforchettamento solo un filo abbuffatorio che, in genere, preferirei davvero evitare.
Bistecche come piovesse, è proprio il caso di dire: due a noi, tre di là, altre tre laggiù. Mezzo chilo a testa, decine di chili di fiorentine: limousine o charolaise, italiane, chissà se importa. Locale sempre pieno, tanta roba.
L'abbuffata è finita, nel 2050 la carne costerà più del caviale: vaglielo a spiegare sia a Benito che ai suoi affamati avventori. Il mondo è a corto di bovini, i prezzi dei mangimi sono alle stelle, cinesi e indiani (anche loro, ebbene sì) cominciano inopinatamente ad appassionarsi alla braciola. Risultato: i prezzi dei derivati sulla bistecca alla Borsa di Chicago sono schizzati all'insù ed è concreto il rischio che prima o poi gli aumenti si riverseranno nei carrelli della spesa.
Nell'immenso ranch americano i bovini sono ai minimi storici e il Brasile riesce a malapena a soddisfare la richiesta nazionale: se fino ad oggi la carne è stata accessibile solo a qualche centinaio di milioni di esseri umani, bussano alle stalle nuovi consumatori spinti dagli andamenti delle rispettive economie. Basta che i cinesi decidano di mangiare un chilo di carne in più all'anno per travolgere gli equilibri del mercato: ipotesi nemmen tanto fantascientifica se è vero che nei dodici mesi un cinese consuma solo cinque chili di ciccia, contro i ventiquattro di un italiano e i quarantatre di un americano.
Domanda e offerta, solita legge: mi basta l'aspetto economico, non mi aggrappo al fatto che gli allevamenti intensivi potrebbero consumare risorse, inquinare, ammalare o maltrattare. Non cerco scelte radicali e tantomeno integraliste sull'onda della paura e dell'insicurezza: cerco soluzioni, rigetto le assoluzioni, mi pongo interrogativi, fuggo gli esclamativi, non disdegnando di riflettere, anche con Jonathan Safran Foer. Frega niente delle barricate, ma la mia curiosità non è svilita dall'idea di una riduzione dei consumi: la carne alla domenica, come una volta. Molto difficile per noi che colpevolmente ne mangiamo quasi senza accorgercene, ma forse, stando agli esperti, così facendo si potrebbero evitare i rincari, certamente si mangerebbe in modo più equilibrato e quindi più sano, probabilmente vitelli, mucche e tutta la fattoria, in cuor loro non avrebbero niente da ridire.
I gioielli di Tiffany sono ancora molto lontani da Benito, e sarebbe interessante sapere quante volte, tra un carnevale e l'altro, i suoi moltissimi clienti lo vanno a trovare, anche se quella fiorentina è già oggi una scelta di qualità, per certi versi accessibile a tutti, seppur saltuariamente. Ma gli altri giorni? Tutti gli altri santi giorni?
Comunque oggi è domenica, e piove: al caviale penseremo domani, anche se, con una certa apprensione, non faccio fatica ad immaginare i nostri nipotini, stucchevoli gurmè del 2050, infighettarsi specchiandosi, beati, in una tartara di fassona battuta al coltello, servita a prezzi da sballo. Esibizionismi di ritorno.
Gli dèi della pioggia, tutto sommato, avrebbero potuto, magnanimi, concederci qualche attenuante: ma d'improvviso, come le ossessioni sull'ora legale, o solare, cui siamo così rassegnatamente affezionati, puntuale, serena e alla fine amabile, una voce in fondo a un tavolo chiese una fiorentina ben cotta.
E Giove Pluvio aprì le cateratte del cielo.
Trattoria Pizzeria Da Benito – Orentano (Pisa)
Piccoli vegetariani crescono. Sotto controllo – Il Venerdì di Repubblica
Ettore Livini – Carne, l'abbuffata è finita: costerà più del caviale – La Repubblica
4 Commenti
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bel pezzo, fabrizio. e per me un pezzo bello va stampato e letto a cartaceo :-)
Appena condiviso su fb.
Complimenti Fabrizio, questa volta non ho dovuto leggerlo 5 volte per capirci qualcosa…solo 2. ;-))))
Non abituiamoci ai post ricchi di foto e dagli scarsi contenuti, in sostanza i miei prossimi , meglio scriverne pochi come fa Fabrizio Scarpato, ma dove lo spessore letterario mantenga al suo interno succhi e sangue da spremere o da ingoiare dopo taglio e masticazione lenta.