Il Barolo secondo Parusso: degustazione dei Cru dell’annata 2018


Parusso - Vini

Parusso – Vini

di Raffaele Mosca

Un rendez-vous con un personaggio fuori dagli schemi: un Barolista bastian-contrario, ultimo per dati anagrafici di una schiera di viticoltori nati nella Langa della malora e diventati fautori del cambiamento epocale avvenuto a cavallo tra anni 80’ e 90′ ; ha preso le redini di un’azienda che fa vino dal 1971 e, insieme alla sorella Tiziana, l’ha trasformata in una delle realtà più all’avanguardia del Barolo.

Classe 65’, diploma all’enologica di Alba, parlantina schietta e mentalità pragmatica da imprenditore, Marco Parusso è un post-modernista di Langa, nel senso che è andato oltre la rivoluzione dei “Barolo boys” e ha sviluppato un protocollo produttivo tutto suo, contravvenendo al principio non sempre sincero del “lasciar parlare il territorio intervenendo il meno possibile”.

Un metodo che gira attorno a quello che lui chiama “riposo dell’uva”.  “ Una cosa che facevano già nell’Antica Roma – ci spiega nel corso di quest’incontro all’Hotel de la Ville di Rome .- serve ad avere la perfetta maturità del frutto, che non si ottiene mai in vigna, perché, se raccogliessimo davvero le uve al punto ideale di maturazione, l’acino si spappolerebbe”.

La pratica, piuttosto insolita ad essere onesti, consiste nella sosta dei grappoli per 2/3 giorni, al massimo 4  in ambienti termoregolati: gli appassionati di carne potrebbero paragonarla a una sorta di frollatura.  “ In questo lasso di tempo i polifenoli si polimerizzano, l’acqua di vegetazione evapora e i raspi incamerano ossigeno. Così otteniamo grappoli completamente maturi”. Una lavorazione da non confondere con l’appassimento, del quale Marco si dice nemico giurato; prosegue con: pigiatura del grappolo intero, fermentazione senza inoculo di lieviti e con sosta sulle bucce lunga mesi, elevage alla borgognona in barrique nuove a grana fine. “ Io cerco sempre l’iper-ossidazione, perché comporta un’evoluzione rapida ma stabile. È come con le persone: se sembri maturo già da giovane, poi invecchi più lentamente”.

Il risultato nel calice è sicuramente d’impatto: i quattro cru di famiglia, tutti situati tra Monforte d’Alba e Castiglione Falletto, mostrano profili ricchi ed esuberanti anche in un’annata “sottile” come la 2018. Non giocano di certo sulla leggerezza, ma hanno dalla loro una certa sucrositè – ovvero dolcezza, ma di polpa fruttata e non di zucchero – che, unita a tannini già ben assestati, li rende di facile approccio.

La stessa impostazione la si nota anche sul resto della linea aziendale, che annovera al suo interno anche un Sauvignon barricato “per chi cerca un grane bianco adilá del vitigno” e due Metodo classico da Nebbiolo con lunga sosta sui lieviti e zucchero residuo prossimo allo zero.. Tutti vini distinguibili ed estremamente leggibili; lo è anche l’ Alba Doc, da uve Nebbiolo e Barbera, pensato per il mercato svizzero e per il Benelux.

 

I vini:

Barolo Perarmando 2018

Il Barolo d’ingresso dell’azienda, dedicato ad Armando Parusso, papà di Marco e Tiziana, in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione dell’azienda. Ha un naso soave e immediato, giocato su toni chiari di pesca gialla e fragolina di bosco frammisti a liquirizia, chinotto e cannella. Gioca sulla soavità e sull’equilibrio, tra tannini serici e frutto rosso maturo, acidità ben assestata che accompagna la progressione di medio peso fino al finale appena boisè.

 

Barolo Mariondino 2018

Da un Cru poco conosciuto sul versante ovest di Castiglione Falletto, dove i venti s’incuneano e creano un mesoclima particolarmente fresco. C’è un filo conduttore con il precedente rispetto al quale, però, è più terroso e meno floreale. Il sorso è un po’ compresso dalla traccia del rovere in questo momento, ma ha polpa convincente, acidità tonica e tannino ben dosato che calibra il tutto.

 

Barolo Mosconi 2018

Parte in sordina, più ritroso rispetto ai precedenti e, a distanza di minuti, deflagra in un tripudio di kirsch, acqua di rose, arancia amara e spezie orientali. Qui il tannino ha più spessore e grip, ma viene bilanciato dal frutto croccante e succoso – o sucrè, direbbero i francesi – che prende la scena e sfuma lento in un finale di bel respiro dai rimandi balsamici. Grande vino!

 

Barolo Bussia 2018

Più immediato, ma meno stratificato del Mosconi; riallaccia i legami con Mariondino e punta molto sul frutto, con lampi di fragola e lampone che si alternano a menta, incenso, legni balsamici e un accenno di ruggine. Il tannino è fitto e anche irrobustito dal rovere, ma non copre il frutto sempre maturo e avvolgente, che cede il passo a sfumature di bosco e di erbe silvestri nel finale in crescendo. Da aspettare.