Il Casatiello per lo scudetto, a Napoli? No, a Brescia
di Marco Milano
Per i napoletani “in esilio”, il rito propiziatorio, prima, e per celebrare la vittoria, poi, è il casatiello portafortuna. Niente cornetti rossi, ma qualcosa di ben più mangereccio ha rappresentato la scaramanzia per la vittoria del tricolore da parte del Napoli. Ciro di Maio, chef e pizzaiolo verace originario di Frattamaggiore, ma in missione settentrionale, a Brescia, dove guida il suo ristorante “San Ciro” ha confessato un piccolo segreto scaramantico che, a suo dire, ha accompagnato la volata finale della squadra partenopea verso lo scudetto.
Un boom di richieste di casatiello tradizionale, cucinato con sacralità nel forno a legna della sua pizzeria, nonostante il periodo pasquale fosse andato in soffitta da parecchio, preparato rigorosamente con quattro uova, come il numero degli scudetti del Napoli. “Mi telefonavano anche di notte – ha raccontato divertito Ciro – e tutti a chiedere lo stesso ‘Lo fate ancora il casatiello?’ Ma non era fame, era fede. Perché, si sa, il casatiello non è solo un rustico, è un amuleto fatto di strutto e devozione”. Il casatiello, icona gastronomica della Pasqua napoletana, dunque, ora veste anche gli insoliti panni di un nuovo totem portafortuna a tavola, soprattutto per un’intera comunità trapiantata al Nord. Altro che cornetti rossi e santini plastificati, a Brescia, la partita si giocava nel forno di Ciro. “Facevo finta di niente – ha ammesso a scudetto vinto – per scaramanzia. I napoletani sono fatti così: non si dice nulla finché non è sicuro. Ma il telefono squillava di continuo, anche da Bergamo, da Verona. Un cliente ha fatto due ore di macchina per ritirarlo caldo. Diceva che sua moglie si rifiutava di vedere la partita se non c’era il casatiello sul tavolo”. La ricetta seguita da Ciro è quella della tradizione, senza scorciatoie: farina, lievito madre, strutto, uova, salame, formaggio e pepe. L’impasto viene lavorato a mano, lasciato lievitare per ore e poi cotto – con ostinata ortodossia – nel forno a legna.
“È lì che succede la magia – spiega – perché il forno a legna avvolge il casatiello come una nonna che ti tiene ancora per mano. La crosta si fa croccante, l’interno resta umido, e il profumo… be’, quello ti fa sentire in una casa che magari non hai più”. Una dichiarazione d’amore culinaria che a Brescia è diventata un fenomeno sociale. Al punto che, nei giorni del rush finale di campionato, “San Ciro” sembrava un’enclave borbonica più che una pizzeria lombarda. “Avevo messo in carta il casatiello più per nostalgia che per business – dice lo chef – ma non immaginavo di ritrovarmi con centoventi pezzi ordinati in tre giorni. Ciro di Maio from Frattamaggiore, padre dal passato complicato, madre casalinga e una vita cominciata presto con il lavoro, dunque, nel suo suo locale, amato anche da vip e sportivi, a proposito di calcio, tra gli habitué ci sono i giocatori del Brescia, dunque, dopo la sua pizza verace e il battilocchio, l’impasto fritto servito in carta paglia, ha messo a segno un altro “gol”: il casatiello dello scudetto. E se le sue pizze sono tutte diverse, perché, come ha raccontato, le tira “per le orecchie” e usando “pomodori veri, mica passate industriali”, ora il suo casatiello ha conquistato il “tricolore” della squadra azzurra. “Non lo dirò mai ufficialmente – ha detto ridendo Ciro – ma secondo me, un po’ di scudetto l’ha portato anche il mio casatiello, non a caso ci ho messo quattro uova. D’altronde, se ha funzionato per tutti quegli scaramantici che mi chiamavano da Milano e dintorni, un motivo ci sarà”. E chissà che l’anno prossimo, accanto alla Coppa, i calciatori non sollevino anche un casatiello firmato San Ciro. “Sarebbe la consacrazione perfetta per un rustico napoletano che, a Brescia, è diventato leggenda”.