Il Migliaccio dolce di Bacoli per Carnevale
di Gemma Russo
Quando arrivo a casa di Sandra Di Meo la ricetta del migliaccio, dolce tipico del martedì grasso a Bacoli, è già pronta sulla tavola, insieme gli ingredienti. A differenza di Pozzuoli che, in seguito a due crisi bradisismiche (1970-72 e 1982-84), ha visto lacerare il proprio tessuto sociale, con una conseguente perdita antropologica, a Bacoli questo resiste ancora orgoglioso, così come gli usi e i costumi. Mi accoglie in una delle due case vacanza che gestisce al Fusaro, tra il lago omonimo e via Bellavista, dove l’opus reticulatum romano riaffiora qua e là, lasciando immaginare un passato sepolto dalle eruzioni vulcaniche nei Campi Flegrei. Intorno a noi terreni coltivati e avvitati. La famiglia di Sandra ha origini contadine. Ricordo con affetto le chiacchierate formative fatte con suo padre, il signor Vincenzo Di Meo, sui semi e sulle produzioni locali, quando mi occupavo dell’ufficio stampa di Slow Food Campi Flegrei.
A differenza del migliaccio dolce puteolano, in quello bacolese non vi è semolino ma capellini, né latte o derivati. L’aspetto è simile alla frittata di pasta ma, al morso, è, inaspettatamente, dolce. È, senza dubbio, un bell’annuncio di primavera!
Ingredienti per 6 persone:
- 500 grammi di capellini (tipo spaghetti ma più sottili)
- 6 uova fresche
- Bacca di vaniglia
- Buccia di un limone non trattato
- Buccia e succo di un’arancia non trattata
- 400 grammi di zucchero
- 100 grammi di burro
- Un bicchierino di liquore Strega
Procedimento
Mette sul fuoco una pentola piena d’acqua. Raggiunta l’ebollizione, cala i capellini, aggiustando di tanto in tanto il sale. Una volta cotta scola la pasta, la sistema in una ciotola capiente e, aggiunto il burro, mescola energicamente, lasciando poi raffreddare il tutto per circa mezz’ora.

In una ciotola, rompe le uova, unisce il liquore Strega, lo zucchero,la bacca di vaniglia, la buccia di un limone e di una arancia
Frattanto, in un’altra ciotola, rompe le uova prese poco prima dal pollaio. Incorpora ad esse il liquore Strega, lo zucchero e, con l’aiuto di una forchetta, monta il tutto, come se stesse preparando una semplice frittata. Lavorando di polso gonfia le uova facendo attenzione a far sciogliere lo zucchero. Unisce il contenuto di una bacca di vaniglia, la buccia di un limone e di una arancia non trattati, il succo di quest’ultima. In questo composto spumoso immerge i capellini, precedentemente lavorati con il burro e lasciati raffreddare. Tutto dovrà riposare per un’ora.
«Il segreto per avere un migliaccio appetitoso sta proprio nel tempo del riposo! Quanto più questo è lungo, tanto più i capellini s’impregneranno del liquido», asserisce. «L’altro passaggio delicato è la cottura. Un tempo questa era fatta in forno a legna, poi si è preferito ricorrere alla frittura del migliaccio dolce. È necessario che questa sia fatta a fiamma bassa, altrimenti s’assiste alla caramellizzazione degli zuccheri», aggiunge. Prende una padella, la cosparge con un generoso giro d’olio e sistema il composto. Non appena il lato inferiore diviene dorato gira il migliaccio sul lato opposto. Tenendo il fuoco sempre basso, pazientemente attende che questo finisca di cuocere.
Aneddoto
«La ricetta che ho condiviso», racconta, «è quella che preparava mia mamma Teresa, che qualche giorno fa ha compiuto 96 anni. Ad insegnargliela è stata sua madre Giuseppa. La nonna quando era giovane, nelle settimane che precedevano il martedì grasso, preparava il migliaccio dolce per i suoi figli, come da tradizione. Quale era il problema della nonna? Allevava galline per poter vendere le loro uova, aiutando così l’economia della loro famiglia contadina. Ne conservava qualcuna per il loro migliaccio, ma non erano mai abbastanza. La loro famiglia era composta da 11 persone, per cui il migliaccio doveva essere anche abbastanza grande. A quel tempo non lo friggevano, ma lo cuocevano nel forno a legna che era in comune con il vicinato. Una volta al forno c’era, vuoi o non vuoi, una sorta di confronto tra preparazioni. Preoccupata che le altre donne s’accorgessero che il suo era povero di uova, sai cosa faceva? Preparava il migliaccio dolce, lo sistemava nella teglia e s’avviava al forno. Un attimo prima d’arrivare prendeva un uovo che conservava in tasca, lo rompeva e, di soppiatto, lo spalmava sulla superficie, colorandola e facendo così sembrare la sua preparazione ricca di uova».
A Bacoli vi è una variante salata del migliaccio che, per molti aspetti, ricorda il tatiello puteolano. Questa è, però, un’altra storia.
Mi piacerebbe sapere l’ altra storia di quello salato 💞