Il sangiovese non fa miracoli. Fa il Brunello di Montalcino. A cosa servono merlot e cabernet?


La fortezza di Montalcino

di Aldo Fiordelli

Il sangiovese è un’uva e non un santo che fa miracoli. Un Rosso di Montalcino al 100% sangiovese come da disciplinare della Doc non è né una panacea enologica né commerciale. Dire che cabernet e merlot come vogliono introdurre alcuni produttori del consorzio di Montalcino nel Rosso stravolgano la tipicità della Doc secondo me è da provinciali.

Presuntuoso? Pensiamo alla storia del Tignanello. Nessuno può negare che un vino come il Tignanello fatto di sangiovese e cabernet sauvignon non sia riconoscibile, tipico o toscano. Anzi è diventato supertoscano, secondo la definizione che proprio la stampa estera gli ha dato.

Sostenere che varietà bordolesi stravolgano la tipicità ilcinese denota a mio parere una certa chiusura di palato come di mentalità, di degustatori abituati ai vini solo regionali e poi spiazzati da un’internazionalità più dell’assaggiatore provinciale che figlia oggettiva di una standardizzazione enologica.

Mi chiederei piuttosto perché certi produttori vogliano aggiungere merlot, cabernet o syrah al Rosso di Montalcino? Sono convinti di venderlo di più e meglio perché è più buono con le varietà internazionali? Ma siamo sicuri?

Il Rosso di Montalcino è il sangiovese del Brunello da bere giovane, fruttato, dalla struttura più semplice, a un prezzo medio basso. Aggiungere cabernet significa dargli una struttura maggiore che lo pone in concorrenza col fratello maggiore Brunello e aggiungere merlot significa dargli una pienezza che può contrastare con l’idea di un vino beverino. Mentre il mondo cerca vini da bere da soli, produrne di strutturati da bere a tavola sembra un suicidio commerciale.

Stando così le cose, cambiare il disciplinare del Rosso finisce per sembrare soltanto un cavallo di Troia per cambiare quello del Brunello come bene ha sottolineato in fondo al suo intervento Nicolas Belfrage MW sul sito di Jancis Robinson MW. O peggio, per continuare a tenere nelle vigne cabernet e merlot e praticare un malcostume già costato il Brunellogate.

In conclusione, merlot e cabernet secondo me non aiutano il Rosso di Montalcino sui mercati, ma non ne stravolgono nemmeno la tipicità. Però temo che questo cambio serva ad altro, ad aprire un precedente, a minacciare il Brunello 100% sangiovese e quello no! non deve essere modificato. Anch’io voto NO al cambio di disciplinare del Rosso di Montalcino.

13 Commenti

  1. Si si, i produttori dell’Irpinia ci stanno già pensando anche loro : vorrebbero fare un uvaggio al 60% di Aglianico, 30% di Syrah e10% di Merlot ottenendo l’effetto di stemperare l’aggressività dell’aglianico rendendo così il vino più pronto. Lo potremmo anche inserire nella categoria che probabilmente qualche yankee famoso del mondo del vino ci creerà ad hoc, la ” Superirpinian”, per esempio, senza tema alcuna che qualche provinciale possa dire che tale vino non sia riconoscibile e tipico…e se poi il gioco ci scappa di mano e coinvolge anche il Taurasi, sarà solo… un incidente di percorso… Suvvia, Aldo…;-))

  2. @maffi, @lello, la mia posizione contro il cambio disciplinare è precisa. però per fermare i produttori bisogna scegliere argomentazioni diverse dalle solite. l’obiettivo non è cambiare il rosso, ma preparare il terreno per cambiare il disciplinare del brunello. o peggio per declassarlo in casi estremi… e qui mi taccio…

  3. Con enorme soddisfazione bevo, il rosso di Poggio di Sotto, che Dio lo mantenga Uguale, ma con un Archetipo del genere, cosa dovremmo cambiare, trattiamo il Sangiovese come va trattato, chi no lo sa basta che lo chieda a Bicchierino ed il segreto è svelato, è incredibile, arrivano dall’estero, sbancano, cambiano terreno, modi, tradizioni, usi e costumi, dopo anni di commerci facili e migliaia di omaggi, ora si vuole cambiare il vino che hanno già cambiato, od aiutato a cambiare. Scusate uno sfogo da un Sangiovese dipendente.
    Ciao Lido.

  4. Siamo proprio dei provinciali . A rivedere la nostra storia vinicola negli ultimi quarant’anni ,ci si accorge che arriviamo sempre quando gli altri hanno cambiato direzione. Addirittura si e’ fatta gran festa ai tecnici austrtaliani esperti in sciroppi e marmellate.

  5. La verità è che la nostra enologia ha pochissimi anni e soprattutto pochissimi e rari maestri. La nostra grande fortuna è che se lasciamo cadere dell’uva in un tino ne vien fuori un vino; altre realtà ( e penso alla Francia) hanno fatto del “terroir” un concetto imprescindibile dal vino e non replicabile in nessun altra parte del Mondo. Per conoscenza diretta al mondo della produzione so di “esportazione” di vitigni nazionali ad altre latitudini e longitudini ( la Cina, of course) per replicare i nostri vini tipici, cosa che avevamo già fatto prima con le macchine, poi con l’agroalimentare ed oggi completiamo con il vino. Preferirei ritornare a quelli che facevano vini e non “prodotti”.

  6. Comunque , la qualita’e tipicita’dei vini italiani alla fine degli anni novanta, a mio avviso aveva raggiunto gia’ un buon livello e ci si stava avviando su una buona strada. Con l’rrivo dei famigerati flying winemakers australiani , e la scuola di pensiero di Michel Rolland , tutto il buon lavoro fatto e’ andato alla malora e buona parte dei produttori vinicoli persa la bussola , si sono ritrovati a fare ” Sciroppi e marmellate”.

  7. caro aldo,

    che vuoi intendere con struttura del cabernet e pienezza del merlot? sono due sostantivi che nel mondo del vino valgono come sinonimi. e poi fare sangiovese in purezza a montalcino significa tipicita’, legame col territorio, consolidatosi nel tempo..cominciare a mischiare puo’ essere piacevole al palato, ma snatura un prodotto, che perde la sua tipica personalita.

    e’ come se nua bella donna, resa ancora piu’ affascinante dai suoi difetti, cominciasse a ricorrerere al chirurgo plastico ‘

    1. @michele struttura e pienezza non sono sinonimi. per struttura mi riferisco soprattutto ai tannini del cs e con pienezza intendo la souplesse che ha il merlot. sul resto, se mi leggi bene diciamo più o meno la stessa cosa.

  8. Se posso dire, quelli di Aldo mi sembrano giudizi superficiali. D’accordo sui motivi commerciali, ma ci sono anche motivazioni di identità, diciamo pure poliche che portano a negare con forza i blend internazionale. Sono motivazioni importanti, dato che si vende un sogno e non solo un prodotto. Non mi metto qui ad approfondire, sono 4 anni che ne ragioniamo, perlomeno. Quindi non direi provinciali. Illy non mi pare un tipo provinciale, ma solo di buon senso. Direi invece che è il contrario, provinciale è il modo di omogenizzare i vini fuori tempo massimo, ora che si cerca la diversità. Da gente che vive fuori dal mondo. Appunto, provinciali, isolati, direi anche lenti di riflessi, visgto che il mondo nel frattempo è cambiato e i blendisti ragionano ancora some se si fosse al 1999.
    E poi mi concentrerei sul bicchiere, soggettivamente. A me il sangiovese 100% di Montalcino piace. E piace direi a tutti quelli che lo comprano. Il Rosso fatto bene va via come il pane, costa il giusto e finisce quasi subito. I blend no, ormai piacciono poco o per nulla, costano troppo e non esprimono nessuna grande poesia. Non a caso faticano a vendere, da cui la decisione di farli passare per Rosso di Montalcino, anche se sono solo l’ennesimo prodotto anonimo, realizzato fra l’altro spesso da enologi non così sensibili a rendere le sfumature del territorio, diciamo così…

    1. @davide, è ingenuo “concentrarsi sul bicchiere”, significa fare un’analisi da appassionati, ma anche porsi del tutto al di sopra dalla realtà aziendale. e soprattutto prendere per buono che il consorzio voglia davvero cambiare il rosso e non sfruttare questo escamotage per cambiare il brunello

      poi continuo ad amare i rossi alla palmucci e i brunelli alla brunelli

  9. Gli eno-giornalisti internazionali di peso, apparentemente sornioni sulla questione, sono da diverso tempo attenti sugli accadimenti di Montalcino. Certamente molto attenti da Brunellopoli in poi. Credo che tutti abbiano capito che la ricchezza di Montalcino, la sua unicità è il sangiovese. Cabernet e merlot sono una concessione tollerata negli anni buoi, poi il chiasso di Brunellopoli li ha giustamente messi all’angolo. Il tentativo disperato di Rivella e co. non avrà nessun esito e la ricchezza di Montalcino continuerà ad essere il sangiovese 100%, sia commerciale che estetica. Cosa c’entra l’erbaceo del cabernet? Cosa c’entra un vitigno massiccio e piacione come il merlot? I vini di Montalcino devono avere carica acida, visciole, terra, nerbo. Rosso o Brunello non fa differenza, le vigne sono le stesse!

    1. Davide, non mi pare che Aldo alla fine dica e pensi cose diverse. Credo che il suo punta di vista di partenza sia diverso, ossia la verità che in alcune zone non è solo il vitigno a indicare il discrimine tra omologazione e diversità. Dunque il vitigno non è decisivo come argomento per confutare l’opinone di quanti sostengono il cambio.
      Difatti, nell’epico confronto tra Rivella e Ziliani, il cavalier arrivò a sostenerlo molto chiaramente anche se non esplicitamente: il Brunello non sraebbe diventato tale se ci si fosse affidati al solo sangiovese.
      Dico cose scontate per chi si occupa di queste cose: nella definizione di tipicità e di tradizionale entrano non solo le uve, ma anche, e molto, i sistemi di coltivazione, moltissimo quello che si fa in vigna, il tipo di lieviti etc. In una parola, la manualità umana è il grande valore aggiunto alla tipicità di un cibo o di un vino.
      L’esempio che mi viene più facile è questo: Napoli si identifica con pasta, pizza, pomodoro e caffé ma nessuna delle quattro cose è nata qui.
      Così oggi sarebbe difficile pensare Bolgheri senza i vitigni internazionali. E, come scrive bene Aldo, è la sua tipicità.
      Questa discussione apre una interessante discussione filosofica su cosa sia tradizionale e cosa no, cosa sia tipico e cosa omologato. Se si cavilla non si arriva a nessuna conclusione, sono classici argomenti di esercitazione sofistica.
      Ma se ci si affida al buon senso, allora è tutto molto facile.
      E, la conclusione, appunto, è che Montalcino farebbe bene ad affidare le sue fortune commerciali solo al sangiovese.

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