InVINOveritARS. Arnaldo Pomodoro e il vino: la materia che si fa spirito
di Ilaria Oliva
Si è spento all’età di 99 anni il Maestro Arnaldo Pomodoro, noto soprattutto per le sue sculture di grandi dimensioni sul tema “sfera”, reinterpretato in una infinità di versioni.
La sua storia artistica (una di quelle fortunate, essendo egli stato riconosciuto da sempre come uno dei più grandi artisti contemporanei) racconta di una ricerca infinita di spiritualità all’interno della materia, nella quale imprime i suoi segni geometrici, evidenziando il contrasto tra pieno e vuoto, realtà e immaginazione, vita e sogno.
Nato il 23 giugno 1926 a Morciano di Romagna, dopo gli studi da geometra scopre la passione per il metallo e la scultura. Negli anni Cinquanta si trasferisce a Milano, dove entra in contatto con il movimento dell’arte cinetica ed inizia a realizzare i suoi primi lavori: una sintesi tra lo slancio futurista, il costruttivismo russo, l’informale materico di Burri, il surrealismo onirico di Sebastian Matta e i concetti spaziali di Lucio Fontana. Tutto questo è ancora più evidente se si esplora l’archivio dei disegni: tra bozzetti, prove e lavori vari, si nota anche l’influenza di Rothko, e una certa cupezza che nella scultura traspare decisamente meno.
Nel 1959 si stabilisce definitivamente nel capoluogo lombardo, dove è rimasto fino alla fine, e negli anni ’60 inizia a comparire il segno che lo renderà famoso, partendo da lavori a forma circolare, simil “dischi rotanti”, per giungere alle sfere, via via sempre più giganti: in molti casi sembra di essere di fronte a pianeti sconosciuti, tirati fuori dalla creatività dall’artista alla perenne ricerca di un senso profondo scavando all’interno della materia. Tra i materiali preferiti bronzo, piombo, stagno e cemento, con i quali ha esplorato l’interazione tra scultura e ambiente, il contrasto tra superfici lisce e rugose, tra volumi chiusi e aperti.
La sua arte si è sempre fusa con il paesaggio circostante, creando un dialogo sempre rispettoso con l’ambiente, ed in effetti le sue opere più celebri si trovano nei luoghi pubblici di ogni angolo del pianeta nonché in musei e gallerie di tutto il mondo; ha ricevuto innumerevoli premi e riconoscimenti, e lavorato come professore di scultura in importanti istituzioni, contribuendo a formare le nuove generazioni di artisti, grazie anche alla Fondazione che porta il suo nome, con la quale ha promosso una serie di attività per i giovani.
La sua feconda creatività lo ha reso protagonista anche nel mondo del teatro contemporaneo, grazie alle tante scenografie realizzate, a partire dalle prime esperienze a Pesaro all’inizio degli anni Cinquanta sino alle scenografie realizzate nel 2014 al Teatro Greco di Siracusa nella ricorrenza del Centenario dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico. E fu proprio in Sicilia, a Gibellina, che, nel 1983, Pomodoro realizzò le spettacolari macchine sceniche per l’Orestea di Emilio Isgrò, andata in scena tra i ruderi della città distrutta. Da quella visione nacque anche il Carro di Oreste, una delle sue opere più emblematiche, simbolo di rinascita e di un Mediterraneo abitato dai segni della memoria: oggi Gibellina è un museo a cielo aperto grazie anche all’impulso dato dal Maestro, con le tante opere d’arte contemporanea custodite dalla Fondazione Orestiadi, parte delle omonime Tenute vinicole, e nel 2026 sarà la prima Capitale Italiana dell’Arte Contemporanea.
Questo passaggio conduce al particolare rapporto che il Maestro ha avuto con il mondo del vino, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, quando strinse un rapporto di amicizia con il patron di Ca’ del Bosco, Maurizio Zanella, il quale ebbe l’ardire di chiedergli di realizzare un cancello per la sua tenuta, ottenendo come risposta un iniziale e secco “io non faccio cancelli”. Ma non aveva fatto i conti con la caparbietà del suo interlocutore, e infatti dopo due anni di lavoro di convincimento, Zanella riuscì a fargli cambiare idea e fargli ideare il “Cancello solare”, lo stargate spaziotemporale che collega il mondo esterno alla cantina di Ca’ del Bosco. Racconta Zanella che l’opera fu installata solo nel 1993 in quanto l’allora amministrazione di Erbusco pose il veto al posizionamento di un “elemento non consono all’ambiente locale” (all’incirca), benché fossero state portate ad esempio le opere già allestite nei luoghi più iconici del mondo. Fortunatamente le amministrazioni cambiano, e con la successiva giunta si poté procedere alla sistemazione del cancello.
Il Maestro chiese la consulenza del suo fidato paesaggista Ermanno Casasco per la sistemazione del verde attorno all’opera, lasciando ai visitatori che arrivano in Franciacorta la possibilità di godere del sole metaforico che rimanda alla maturazione delle uve, oltre che alla vita sul nostro pianeta.
Sempre negli anni ‘80 il Maestro incontra sulla sua strada la famiglia Lunelli, per la quale nel 1992 realizza un multiplo, “Disco”, in occasione del 90° anniversario delle Cantine Ferrari, e dieci anni dopo, per celebrare un secolo di storia delle cantine, realizza “Centenarium”, opera in bronzo di circa sei metri di altezza visibile anche da chi percorre l’Autostrada del Brennero all’altezza di Trento. “Nella sua forma a spirale” – scrisse il Maestro – “la scultura vuole ricordare la gioia che si sprigiona dall’apertura di una bottiglia di Ferrari Trento Doc”.
Solo pochi anni dopo, nel 2004, Gino Lunelli chiede al Maestro di ideare una cantina per il nuovo podere appena acquisito a Bevagna, in Umbria: racconta Marcello Lunelli, all’epoca incaricato dalla sua famiglia di essere “l’ombra” di Pomodoro, che la risposta fu immediatamente affermativa, ma il Maestro chiese di poter conoscere e vivere i luoghi in cui sarebbe dovuta sorgere la nuova costruzione. Trascorsero quindi tre giorni insieme a girare in lungo e largo l’Umbria, visitando musei, camminando per vigneti, toccando la terra rossa di Bevagna, solcata dalle fessurazioni dovute alla mancanza d’acqua. Era luglio, faceva caldo, e ad un certo punto il Maestro apparve come assopito, ma, alla domanda di Marcello se si sentisse bene, rispose che aveva deciso come sarebbe stata la nuova cantina e gliela illustrò mimandone le forme con le mani.
Si sarebbe trattato del Carapace di una tartaruga gigante, animale lento e resiliente adatto a rappresentare metaforicamente il lungo processo di affinamento del Sagrantino, il vino prodotto nella tenuta. “Ho avuto l’idea di una forma che ricorda la tartaruga, simbolo di stabilità e longevità che, con il suo carapace rappresenta l’unione tra terra e cielo.” Da quel momento si fece affiancare da un architetto che trasformò “la poesia in prosa” rendendo il progetto staticamente stabile, dal suo paesaggista di fiducia Casasco, dalla light designer Barbara Balestrieri e dal suo braccio destro Mirko: una sorta di bottega rinascimentale, nella quale si sperimentarono soluzioni innovative realizzate per il sottotetto grazie ad un’azienda della Valtellina, mentre gli intonaci furono realizzati con polvere di rame da un’azienda di Treviso, che poi gli artigiani del posto impararono da lui a spatolare per rendere la sensazione di materico desiderata; dei particolari calchi in gomma furono utilizzati per realizzare le fratture nel carapace che richiamassero i solchi segnati dalla siccità nel terreno; il porfido per i pavimenti fu reperito ad Albiano, in Val di Cembra, dopo una lunga ricerca coloristica. Il tutto reso ancora più difficile dalla forma totalmente curva della cantina, nella quale non vi è un solo tratto rettilineo.
Al termine del lungo lavoro il Maestro fece il suo primo ingresso nel Carapace in compagnia del suo caro amico Gillo Dorfles, il critico d’arte del cui parere aveva assoluta necessità e che approvò in toto il risultato. La cantina fu incastonata così bene nel paesaggio da essere visibile solo quando ci si arriva nelle vicinanze, ed è segnalata a distanza solo dal dardo rosso che Pomodoro volle installare quale punto che indica la via.
Fino alla prova luci finale notturna, il Maestro non volle mancare un attimo, nonostante avesse molto da fare con le scenografie da realizzare per La Scala di Milano. Il rapporto di amicizia e collaborazione con la famiglia Lunelli è andato avanti nel tempo, grazie anche alla Fondazione Pomodoro, con la quale sono stati organizzati negli anni eventi e progetti.
Per concludere non possiamo non citare la scultura Torre a spirale II, opera in bronzo acquisita ad un’asta di Dorotheum a Vienna da un’azienda vinicola della Romagna, praticamente nel paese natale del Maestro: la Tenuta biodinamica Mara, proprietà del poliedrico imprenditore Giordano Emendatori, possiede una impressionante collezione d’arte contemporanea che include quindi anche un importante lavoro di Arnaldo Pomodoro (e noi ovviamente andremo presto ad esplorarla).