La genovese, è ora di sfatare qualche falso mito su questa ricetta napoletana


Agristor Le Due Torri - Ziti alla Genovese

Agristor Le Due Torri – Ziti alla Genovese

 

di Luigi Vivese

Oggi parliamo di Genovese cercando di non ripetere cose trite e ritrite, ma tentando di sfatare qualche mito e qualche falsa convinzione.

Vi state chiedendo: “Perché parliamo in primavera inoltrata di genovese?”. Ecco subito la prima credenza errata. La genovese non è più, se mai lo è stato, un piatto strettamente invernale ma lo si trova nei menù dei ristoranti napoletani anche nei mesi estivi più caldi, dove incontrarlo è sempre una piacevole esperienza culinaria.

Chiarito questo punto passiamo a togliere qualche dubbio sugli ingredienti.

Ignorate gli chef che si vantano di aver preparato la genovese usando un tenero taglio di carne pregiato. Usate il taglio di carne che preferite ma che sia rigorosamente di seconda categoria. I tagli di prima categoria oltre ad essere una scelta incoerente con la storia e tradizione del piatto, con la sua filosofia di piatto povero, mal si prestano alle cotture prolungate e lente e sopratutto a nostro avviso non conferiscono alcun miglioramento al gusto. Parlando di carne, sento poi la necessità di una doverosa precisazione, dopo l’intervento di una disgustata lettrice alla presentazione di un mio libro sul tema: il “piccione“ in questo contesto non è l’elegante volatile che, nei mesi primaverili, presidia le nostre piazze, ma un taglio di carne, utilizzabile per la genovese.

Anche sulla pasta sfatiamo un mito. Certo l’abbinamento storico è con lo zito spezzato a mano, ma la perfezione non è di questo mondo e per un risultato più che dignitoso, si può tranquillamente ripiegare su una qualsiasi pasta corta, cilindrica e forata, l’importante è che sia rigorosamente liscia, trafilata al bronzo essiccata lentamente a bassa temperatura, per assicurarsi la giusta porosità e ruvidità.

Visto che ci troviamo. sfatiamo anche il mito della cipolla da utilizzare. La più vocata, per motivi non solo cultuali ma anche scientifici, è e rimane la cipolla ramata di Montoro, ma ahimè è praticamente introvabile da marzo a giugno. Pertanto quando non è disponibile utilizzate pure altri tipi di cipolle ramate, cercando di evitare quelle rosse troppo dolci e delicate.

Si sfuma col bianco. Il rosso altera il colore dorato della cipolla e i tannini smorzano la caratteristica e ricercata dolcezza del sugo.

Per quanto esista una ricetta classica e codificata pochi la rispettano sicuri di avere un ingrediente segreto capace di conferire al piatto caratteristiche uniche e di rendere la ricetta migliore delle altre. Negli anni ne ho individuati tanti, raccogliendo le confidenze di chef, cuochi e cultori della materia, come ad esempio: mela, latte, bacche di ginepro, uva passa, piperna etc.  Ma su quanto questi ingredienti, più o meno segreti, siano efficaci e capaci di migliorare il piatto lascio a voi il giudizio.

Altra errata convinzione è che “a’ finta genovese” sia vegetariana. Piatto povero “inventato” quando comprare carne era un lusso che non tutti potevano permettersi, tant’è che la ricetta veniva chiamata anche “genovese alla poverella”, si preparava sostituendo, i pezzi di manzo con la cotica di maiale.

Ci sono infine due domande che ricevo con grande frequenza alle mie presentazioni. La prima: “Posso usare la pentola a pressione per guadagnare tempo ed evitare una cottura prolungata di ore e ore?”. La seconda: “Posso aggiungere dello zucchero per conferire più dolcezza al piatto?” Sento che in realtà, in cuor loro, sanno di sbagliare, si sentono in colpa e vorrebbero da me la benedizione per l’adozione di queste pratiche, ma non l’avranno mai. Una cottura con pentola a pressione non potrà mai neanche lontanamente uguagliare una cottura prolungata fatta magari in un tegame di coccio.

L’aggiunta di zucchero, poi, è una pratica che chiede vendetta, una scorciatoia ingiustificata. Se si utilizzano le giuste cipolle non c’è alcuna necessità di rendere il patto più dolce.

Per ora fermiamoci qui, in un prossimo articolo cercheremo di rispondere alla domanda del secolo: “Dove ho mangiato la migliore genovese?”

 

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