La Pizza a Pompei e a Napoli 2000 anni fa


Clibanario pompeiano , nel foro cittadino dai praedia di giulia felice - a terra cesta con pani

Clibanario pompeiano , nel foro cittadino dai praedia di giulia felice – a terra cesta con pani

di Carlo Avvisati

Se sentite qualcuno che parla di “brand pizza” e si mette sproloquiare sul più famoso, pratico e saporito street food mai inventato da essere umano, senza nominare Napoli o Pompei, guardatelo con commiserazione. E poi andate via, lasciandolo alla sua vanagloria. E questo perché non esiste al mondo brand … più brand della pizza napoletana. Se, difatti, un sabato qualsiasi di duemila anni fa, vi foste trovati a passare Pompei, nella zona del Foro avreste potuto gustare una saporitissima pizza a libretto. Solo che la pizza di venti secoli fa si chiamava placenta e non si era ancora sposata con il pomodoro, ché per quella unione avrebbe dovuto aspettare che Colombo scoprissel’America. In città ci stava appunto uno di questi placentarii  pizzaioli che  teneva bottega mobile nel Foro – aveva pure il permesso per occupare lo spazio pubblico rilasciatogli dal competente assessore –  e infornava a tutto spiano, un paio di pizze per volta, in un  fornetto a legna, di creta, il clibanos. Per questo lo chiamavano il clibanario.

forno sotto san Loerenzo maggiore

forno sotto san Lorenzo maggiore

L’uomo impastava farina, acqua, spesso di mare, risparmiando sul costo del sale, e la metteva  a lievitare perché mica mangiavano pane azzimo, i pompeiani di allora. Il lievitante, come raccomandava Plinio il Vecchio, veniva preparato impastando crusca e mosto bianco, poi seccato al sole. Perché la pizza il sabato? Perché quel giorno a Pompei, c’era mercato. E, così come succede oggi per tutti i mercatini, quegli spazi erano punto di riferimento della più varia umanità oltre che di venditori di cianfrusaglie e d’ogni altro ben di Dio commestibile: dalla carne, al pesce; alla farina di frumento, alle pagnotte di pane e, appunto, la pizza. Che, con alcuni saporitissimi e comuni ingredienti, già aveva messo su un’accoppiata vincente per lo stomaco di viandanti, sfaccendati, schiavi che facevano la spesa per la padrona e gli stessi ambulanti, che si erano avviati al mercato quando la notte era appena cominciata.

 

Cosa si mangiava a Pompei: dal garum alla pizza a libretto

Quanto costavano quelle pizze? Qualche asse: un euro dei nostri giorni. E, sopra o all’interno, perché la pasta si poteva pure chiudere e diventare “calzone”, tenevano verdure di stagione (oggisi chiama “ortolana”)  o mozzarella (un primo sale, forse, di cui ci informa Marziale che parla di mozzarella di Maddaloni), ricotta, cacio grattato e un filo d’olio: pizza bianca che più bianca non si può. O pure la  si condiva con l’allec… il garum dei poveri: una salsa ottenuta lasciando macerare, per diverse settimane, pesci di piccola taglia o le interiora di quelli grandi. Insomma, un garum di terza scelta che quasi tutte le trattorie di Pompei tenevano disponibile per chi non si poteva permettere spropositi con il garumflos flos, il fior fiore del garum. Allora come oggi, però, la pizza a libretto pompeianabisognava saperla “affrontare” perché il rischio di scottarsi, o di macchiarsi, era più che reale visto che Marziale scriveva: «per seconda portata circolò lungamente tra gli ospiti una pizza che scottava le dita…». A Napoli, invece, al centro della Neapolis di 2000 anni fa, sotto la Chiesa di San Lorenzo Maggiore, laddove è stato intercettato uno spaccato storico archeologico più unico che raro con le sue botteghe, le strade, le case, ci stava quasi certamente una popina, una trattoria-pizzeria con forno (ritrovato) a cupola e perciò rispettoso della fisica di trasmissione del calore per conduzione, convezione e irraggiamento.

foro Pompei

foro Pompei

Quali pizze si producevano? La «subcinericia», che veniva cotta sotto la cenere; la libum che, ad esempio, si approntava con cacio grattugiato, uova e olio; la offa, della quale dettò un preciso disciplinare Plinio il Vecchio; la scriblita ela pastillus. E, ancora, c’erano “pizze” morbide: artolaganum, o come la tracta, con il cornicione croccante, saporito, profumato e fumante. Ecco il brand pizza napoletano.Duemila anni fa. Come oggi in tutte le pizzerie- pizzerie del mondo.