La Pizza ha perso la Bussola? Non è il caso di Francesco Capece


Riflessione su un Patrimonio da Difendere

Riflessione su un Patrimonio da Difendere

di Gianfranco Laforgia

C’è un momento, nella storia di ogni grande tradizione, in cui si rischia di perdere il senso. Nel mondo della pizza, quel momento sembra essere arrivato. E non parliamo di chi innova con coscienza, di chi sperimenta con rispetto. Parliamo di chi ha smarrito la bussola.

La pizza è un cibo dell’anima: semplice, profonda, diretta. È memoria, calore, identità. Non è un esercizio di stile, né un campo di battaglia per l’ego di chi la usa come trampolino creativo senza comprenderne l’essenza.
Eppure, oggi, assistiamo a una deriva pericolosa: pizze che diventano oggetti di design, laboratori che somigliano più a cucine molecolari che a forni, pizzaioli che vogliono essere chiamati “chef” e che sembrano più interessati a stupire che a nutrire.

La vera evoluzione non è nel travestimento, ma nel miglioramento. È fatta di impasti curati, fermentazioni intelligenti, farine studiate, ingredienti selezionati. È abbinamento e cultura, è rispetto per il territorio, è tecnica al servizio dell’identità.
La pizza non ha bisogno di essere nobilitata: è già nobile. È un patrimonio culturale riconosciuto in tutto il mondo, che merita rispetto, non spettacolarizzazione.

Chi vuole spingersi oltre ogni limite, lo faccia pure: ma apra un ristorante, non una pizzeria. Nessuno è contrario alla creatività, ma chiamiamola con il suo nome. Perché la pizza vera, quella che profuma di legna, di casa, di tradizione, ha una dignità che non può essere sacrificata sull’altare del protagonismo.

Per fortuna, c’è chi continua a percorrere un sentiero coerente, fatto di studio, passione e visione. Francesco Capece, ad esempio, nella sua pizzeria Confine – Pizza e Cantina a Milano, è riuscito a innovare senza tradire.
Gli ho chiesto di raccontarmi la genesi della sua creazione più rappresentativa, la Umaminara, e le sue parole raccontano molto più di una ricetta:

“La Umaminara è diventata la slice ambasciatrice del nostro percorso. Ci accompagna ovunque: è il nostro biglietto da visita. Un po’ come i paccheri da Vittorio a Brusaporto, o la Futuro di Marinara di Martucci. È quella pizza che non puoi non provare se vuoi capire chi siamo.

Nel contesto di un menu degustazione rivolto a una clientela internazionale (58%, con il 40% di provenienza orientale), il suo valore è 11 su 10. Perché colpisce, incuriosisce, racconta.
Arriva all’umami senza usare soia, ma con ingredienti umili trasformati con tecnica e visione.
Volevo una firma italiana forte, che unisse impatto visivo e profondità gustativa. La provocazione? Usare una base padellino torinese per una pizza d’anima campana. È una marinara 2.0 che parla il dialetto della mia terra con accento internazionale.”

Capece è uno di quelli che fa cultura con le mani nella pasta e i piedi ben piantati nella storia. Non tradisce, non semplifica, non spettacolarizza. Insegna.
A lui, e a chi come lui continua a onorare la pizza con rispetto e intelligenza, va il nostro grazie.

Agli altri, un invito sincero: fermatevi. Guardate indietro. Riscoprite il significato di ciò che fate. Perché la pizza non ha bisogno di effetti speciali. Ha bisogno di cuore.

3 Commenti

  1. Su questo blog c’è una rubrica dell’amica Carmen Autuori che è tutto un programma:l’uomo cucina,la donna nutre.Cosa vuol dire?Per me che è finito il tempo di stupire.Concentriamoci sul nutrire e teniamo l’ago della bussola orientato sempre su questo principio. FRANCESCO

    1. Caro Francesco, è proprio questa l’essenza delle mie straordinarie cuoche/chef. Grazie sempre per le belle parole.

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