La Pizza Napoletana: ecco perché è perdente, parola di Marco Lungo


Vera Pizza Napoli, la Napoletana

Vera Pizza Napoli, la Napoletana

di Marco Lungo

Sapete, mi sono reso conto che è un po’ di tempo che ci giro intorno all’argomento. Ne ho parlato al Pizza Formamentis, ne ho scritto a casa di Luciano qualche tempo fa, però poi non mi sono mai espresso compiutamente sull’argomento Pizza Napoletana, come la vedo ora, come secondo me dovrebbe e potrebbe essere, e come invece penso che andrà a finire.

Giorni fa mi sono fatto una bella chiacchierata con il caro Guglielmo Vuolo, nella quale abbiamo parlato di tutto ed in particolare della Pizza della Salute, di cosa è, di cosa ne pensavo, come la vedevo e così via. E come volete che la veda? Così come la Pizza all’Acqua di Mare, quella Nera al Carbone Vegetale o altre similari, le vedo solo come tentativi di attirare l’attenzione da parte di chi se le inventa, cose che durano ormai lo spazio di un articolo o di un servizio su una tv locale il più delle volte, e niente di più.

Perché questo è, amici. Nulla di tutto questo cambia la Pizza Napoletana come è oggi. Diciamocelo chiaramente, nessuna di queste cose l’abbiamo vista influenzare il quotidiano in maniera incisiva. Eppure ne usciranno di nuove ancora, sicuramente. Non le trovo cose da biasimare, sia chiaro, anzi, mi dolgo solo che non abbiano respiro lungo, a parte gli interessi personali degli autori e del momento.

Già, e come è oggi la Pizza Napoletana, Marco?

Eccoci alla domanda chiave. Al convegno Pizza Formamentis fui chiarissimo: di fronte a tutti dissi su tutto che la Pizza Napoletana era perdente. Perdente come dimostrato dai numeri, assolutamente incontrovertibili, per i quali mentre mi leggete, neanche il 2% delle pizze consumate in tutto il mondo in questo momento sono Pizze Napoletane assimilabili alla STG, e mi sono tenuto largo, perché se vi fate i conti con le statistiche che trovare su Internet, i dati sono ancora peggiori. Addirittura, c’è una statistica del 2011 in cui, considerando pochissimi Paesi e con i soli USA per i Paesi al di là dell’Atlantico (parleremo poi del Brasile, ancora più importante), noi incidiamo del 15,8% e, chi sta nell’ambiente, sa benissimo quale è l’incidenza Pizza Napoletana / Altra Pizza nel nostro Paese: non arriva oltre le dita di una mano. Questo dicono i fatti.

La Pizza Napoletana non si è mai imposta fuori da Napoli in maniera decisiva, tale da poter essere un riferimento comune quantomeno come forma ed impasto, le cose replicabili ovunque nel mondo. E, sempre al congresso, per prevenire altre obiezioni del tipo “Sì, però la Napoletana è la Ferrari della Pizza!”, dissi che a tre euro e mezzo di prezzo, di che Ferrari stiamo parlando, ed invitai qualcuno ad andare a convincere Marchionne che la F450 la deve vendere a 9.000 euro, no a 200.000, visto il paragone con la pizza.

Ora, perché non si è imposta? Parlando di Roma per esperienza diretta, la questione del cornicione alto era una delle prime contestazioni, oggi via via venute meno grazie anche all’affermarsi di pizzerie che possiamo considerare innovative sulla piazza di Roma, come lo sono state Sforno e La Gatta Mangiona le quali hanno per prime alzato il cornicione con un successo di pubblico consistente e duraturo. Signori, quando si porta in tavola ad un cliente normale una pizza che è contornata da un reato di concorrenza sleale alla Pirelli, quello si incazza. Si incazza perché con il canottone gli arriva in tavola una specie di ciotolina centrale con un niente di ingredienti, e lui non è venuto lì per mangiare il cornicione, a volte pure realizzato male, no, è venuto per mangiare la pizza e la pizza deve avere i condimenti sopra dappertutto. Non è difficile da capire, no? Avete visto Pizza Hut, Domino’s, Papa George, dove arrivano a condire? Ma senza andare troppo lontani, la cosiddetta romana, non è condita filo filo al bordo? Ecco, questo è quello che vuole la gente nel mondo, in maniera indiscutibile.

Quello che poi rimane il problema principe della Pizza Napoletana, a Roma e, per esperienza mia di anni dappertutto in Italia e nel mondo, è l’essere praticamente una crêpe, a Roma lo “straccio moscio”, soprattutto al centro della pizza. Quello proprio non va giù praticamente a nessuno e, al di fuori di questa apparente banalizzazione, voglio scendere più in dettaglio perché è una questione cruciale, anche per i discorsi che seguiranno. Prima, però, voglio affermare una cosa di principio e che deve rimanere bene impressa e statuita: la Pizza Napoletana la sanno fare bene in pochissimi. Quella fatta bene è per me il riferimento della pizza, quella che io mi godo tantissimo ma è raro trovarla anche a Napoli, figuriamoci fuori. Questo è il primo handicap importante, comune e diffuso, anche se a Napoli stenteranno a credermi…

Torniamo allo “straccio moscio”. La Pizza Napoletana, secondo i vari mentori di essa, deve piegarsi a portafoglio. Guai se non lo fa. Se non lo fa, non è la Pizza Napoletana. Ottimo, se ne prende atto, lo dice il Disciplinare, non se ne parli più, no? E invece se ne deve parlare eccome, perché questo è un punto critico di successo, come si dice nelle analisi di marketing. La piega a portafoglio è la tipicità della Pizza Napoletana che, nei decenni ante e dopo guerra, doveva far sì che la pizza fosse consumata in piedi, velocemente e che saziasse la gente decisamente affamata che la comprava, a volte per farci l’unico pasto del giorno se non di più.

Oggigiorno invece, la Pizza Napoletana si mangia nel piatto, che la raffredda pure, si consuma anche in un quarto d’ora mentre si parla a tavola con gli altri, non è più un piatto di necessità per la fame, insomma, è tutta un’altra cosa. Ebbene, e si insiste ancora a fare quella pizza che, ad esempio, diventa gommosa dopo tre minuti circa? Per quale motivo? A Napoli ci sono forse locali senza tavoli e con delle corsie segnate a terra dove i clienti prendono la pizza a portafoglio e se la mangiano in piedi seguendo un certo percorso che devono concludere in massimo tre minuti? No. Si tratta, quindi, di una scelta manifestamente errata. I tempi sono cambiati, la Pizza a Portafoglio è diventata semmai, come si dice adesso, uno street food, c’è Gennaro Salvo a Via Toledo che è uno dei suoi massimi interpreti esattamente per quello che deve fare, mangiarla per strada mentre si cammina, penso quindi che sia il caso di confinarla lì e di affidarsi a chi fa solo quella, come e dove deve essere fatta al meglio delle sue peculiarità.

Perciò, cornicione e mollezza eccessiva del piano e soprattutto al centro, sono i problemi che castrano da sempre la Pizza Napoletana fuori dalla Tangenziale. Che poi, che problemi sono? Il cornicione ha una funzione ben precisa: evitare che i condimenti della pizza scivolino sul piano mentre si gira con il palino in forno per uniformarne la cottura. Ne consegue che servono al massimo un paio di dita di spessore e sono già tante. Adesso è un periodo in cui invece la maggioranza fa a gara a chi ce l’ha più grosso. Il cornicione, ovvio, perché il cervello pare indirettamente proporzionale a tali esibizioni. Quindi, come dimostravo prima, mentre nel mondo il modello vincente di pizza ha il condimento abbondante e a filo del bordo, a Napoli, vanno di moda i canottoni, gli pneumatici intorno alla pizza come se, peraltro, dimostrassero poi chissà che bravura. E invece, oltre alla stupidità commerciale, non dimostrano assolutamente nulla come capacità, anzi. La bravura sta nella realizzazione della mollica, semmai, in quella che poi tecnicamente si dice che debba conferire la “texture” che viene valutata molto positivamente, quella sì, quando è importante e molto scioglievole. E la mollica è altrettanto importante come dirimente del piano morbido, il banalizzato “straccio moscio” di prima, perché quando questo è realizzato tramite sviluppo di micromollica e limitata formazione di crosta, dice che sei bravo, se invece è realizzato perché hai solo ammassato l’impasto in ammaccata e poi con lo schiaffo in stesa, comprimendo ed annullando la micro lievitazione, dice che sei uno dei tanti improvvisati e che stai dando al cliente un prodotto che va in gomma presto e che gli si piazza sullo stomaco, non avendo appunto amidi gelificati facilmente aggredibili in fase digestiva dal nostro corpo. Chi va all’estero, cioè fuori la Tangenziale appunto, queste cose le modifica e nel senso che ho indicato, altrimenti il mercato non risponde positivamente. Mediamente le modifiche sono più o meno marcate a seconda degli autori, però la Pizza Napoletana a Disciplinare STG, amici, è piuttosto rara da trovare. Girare per credere. Ma no, statevene pure a casa, che tanto lo sapete già.

Questo introduce l’altro capitolo: come dovrebbe essere la Pizza Napoletana moderna.
Beh, a questo punto le indicazioni veramente minimali sono chiare: cornicione non eccessivo, dell’altezza giusta per svolgere la sua funzione, ed un piano in cui sia rispettata la microlievitazione in ammaccatura e stesa, in modo che poi in cottura sviluppi uno strato mollicale e che poi la cottura in forno possa decidere se rendere il tutto più o meno consistente, andando dal morbido napoletano classico (per intendersi, quello che trovo da Ciro Salvo perfettamente interpretato), al poco più rigido e fragrante piano che ha la punta dello spicchio che non si piega e che Gino Sorbillo secondo me esegue bene al di fuori dei Tribunali e come, infatti, si vede in alcune foto del suo locale a Milano, ad esempio. Cito Gino perché è quello che ha locali al di fuori di Napoli e che, quindi, conferma indirettamente quanto sto sostenendo, così come vorrei citare Di Matteo per la proporzione del cornicione a mio avviso corretta secondo quanto ho affermato fin qui.

Lievito 72, l'impasto

Lievito 72, l’impasto

Parliamo poi degli impasti, come dovrebbero essere per cambiare decisamente in meglio la Pizza Napoletana. Come ho detto, seguire “la tradizione” con impasti diretti, porta ad un prodotto non all’altezza di quello che può essere il massimo che si può offrire ad un cliente, ricordando il punto della scarsa durata nel piatto della pizza prima che diventi gommosa ma, soprattutto, più ricca di aromi e di sapori, a partire proprio da quello che una farina come la Caputo, la nomino in quanto per me è a pieno merito il sapore della Pizza Napoletana nel mondo, dà assolutamente se lavorata in maniera diversa.

Per questo, la scelta dovrebbe andare solo verso impasti indiretti o, quantomeno, impasti diretti ma con passaggio in frigo per almeno 24 ore. E qui, apriti cielo!!! Non sia mai nominare a Napoli gli impasti indiretti o il frigo, è Oltraggio al Disciplinare, ti mandano da Michele ad ingoiare tre Margherite e tre Marinare come penitenza per sperare poi nell’Assoluzione dell’Associazione e la Cancellazione della Scomunica dal Babbà a fine pasto! Però, però… chi conosce la storia della pizza Napoletana, sa che era (ed è) diffuso l’uso del riporto, ovvero l’impastare nell’impasto del giorno dopo le pallette avanzate il giorno prima. Con l’uso del riporto, la pizza esce più carica di aromi, più stabile, meno gommosa. Ebbene, a livello tecnico, il riporto è considerato uno degli impasti indiretti classici. Già. Per questo, date le sue caratteristiche, io generalmente consiglio l’uso della biga, di fatto costituzionalmente simile al riporto ma controllata, quindi non affetta da problemi relativi a come è stato gestito il riporto il giorno prima, come minimo per quanto tempo sono state fuori le pallette e a quale temperatura siano state mantenute, oltre al fatto che non c’è il sale all’interno. Il riporto, come la biga, come anche l’uso del lievito madre, queste tecniche, dicevo prima, non sono consentite dal Disciplinare STG, ovviamente.

Per fortuna che al Pizza Formamentis qualcuno di autorevole si è espresso in termini di riconoscimento della limitazione imposta dal libello. In attesa di possibili variazioni di esso, ecco quindi che un sistema come la biga diventa la scelta di elezione per chi vuole migliorare il proprio prodotto, in quanto facilmente realizzabile dalla gran parte delle pizzerie, cambia di pochissimo la lavorazione e non porta grossi aggravi di tempo. E’ il modo che io porto avanti da tempo ed i risultati confermano questa scelta.

E i condimenti?

Amici, qui c’è veramente un mondo da scoprire. O forse no. Vedete, a Napoli la tradizione ha inchiodato per decenni i pizzaioli alle due – tre pizze classiche e niente più. Si annovera nella storia recente giusto Enzo Coccia come colui che ha allargato i confini dei gusti della pizza a Napoli, poi, però dopo di lui, c’è stato di fatto un pandemonio, il Diluvio Universale delle Dispense Svuotate a Caso sulla Pizza. Chiaro, normale che accada, senza una guida e senza una storia al riguardo. Tanto per dire, già nel 1978 qui a Roma andavo in una pizzeria che aveva 100 pizze diverse. Sì, avete letto bene. In tutto il resto del mondo, idem, tanti gusti, tante guarnizioni sulla pizza da superare qualsiasi fantasia. Napoli, quindi, in questo sta indietro ed indietro parecchio. Su questo, riprendo il discorso degli Svuotadispense sulla Pizza, soggetti forse presi dall’irrefrenabile voglia di colmare il gap di cui parlavo ma che, in realtà, spesso è solo il gap che divide la loro pizza dal secchio dell’immondizia.

In questo, poi, Facebook ci regala momenti di emozione irrefrenabile, come quando vediamo cambiare a dei soggetti la professione (ma non era un mestiere?) da “Pizzaiolo” a “Pizzachef”. Fantastico, che miracoli che avvengono oggigiorno, è il progresso, possiamo solo abituarci, tutto va più veloce. Chef, amici, significa tanto. Significa moltissimo se si è veri chef. Per fregiarsi di questo titolo, troppo c’è da studiare, pedalare e sperare anche che la Natura ci abbia dato un po’ di gusto personale, altrimenti è fatica sprecata. Questo, per dire cosa manca in assoluto a chi oggi si accinge a proporre nuove farciture alla propria pizza, cioè proprio i concetti base della creazione di un piatto e di un accoppiamento, partendo da quello che ricordo a tutti essere una delle poche ma fondamentali leggi: i piatti si creano su di un protagonista con accanto due, al massimo tre spalle che lo valorizzino. Questa regola da sola basterebbe a chi oggi a Napoli si mette a studiare farciture per la Pizza Napoletana Moderna. Seppellire per sempre diciture ad elenco come le conosciamo oggi, per passare alle più moderne centrate sulla valorizzazione dell’ingrediente principe che si sceglie. Poi, sapete, a volte è una questione di modo di porre la cosa: una Pizza al Porcino Fresco su letto di Mozzarella in Sapori di Aglio, Prezzemolo e Pepe Fresco, fa veramente tanta scena, quando poi potrebbe essere un trifolato qualsiasi. Però, se lo presenti così e non condisci la pizza nel modo brutale che farebbe anche tu’ figlia con il Dolceforno, quindi monti la pizza ad isole di funghi porcini con battuti separati di aglio pregiato, prezzemolo fresco e pepe macinato sopra, hai fatto una cosa da chef e, alla fine, il cliente qualche euro in più te lo dà di sicuro. Porcino protagonista, il resto spalle a valorizzare. Semplice. Pensate a quante pizze potreste rivoluzionare in questo modo, applicando, ripeto, solo la regola basilare di un piatto: un protagonista ed elementi che lo valorizzano. Il pizzaiolo deve poi trovare il modo più elegante e funzionale per condire la pizza siffatta, ed è già un salto netto rispetto a tutti, dove “tutti” sono soprattutto le varie catene con le quali, se si rimane così, toccherà fare presto i conti anche in casa nostra.

A Napoli questo è più facile da fare per due motivi: il notevole numero di ingredienti protagonisti che si trovano in Campania ed il retaggio della tradizione di cucina che Napoli ha e che trova nella cucina francese la più diretta ispirazione, diffusa perfino nelle case qualsiasi.

Ora, chi insegna questo? Nessuno, ovviamente. E qui a mi rode parecchio, perché in Campania c’è un’altissima densità di Stelle Michelin in Costiera, per dirne una, la più evidente, però comunque ci sono tantissimi posti in cui a Napoli e dintorni si mangia benissimo, senza tante fanfare, ed i cui chef tanto potrebbero insegnare ai vari pizzaioli intraprendenti che hanno l’ambizione di migliorare le farciture delle loro pizze. Basterebbe fare sì che non ci siano solo gli eventi che vedo ogni tanto pubblicizzati in cui chef e pizzaioli propongono qualcosa insieme, no, ci deve essere il non pubblicizzato, l’incontro diciamo settimanale di scambio, di aiuto nel crescere, che permetta ad esempio ai pizzaioli di uscire dal guado dell’essere solo graziati da meravigliose materie prime per diventare dei seri artisti della valorizzazione delle stesse, partendo dalla conoscenza più approfondita che non sia solo una stringa di nomi da mettere in menù per farsi belli, ma un vero apprendere, capire, essere quindi aiutati da chi è chef davvero in Campania e si metta a disposizione per insegnare e far crescere dei colleghi con il concetto che una Partenope migliore anche nella pizza, ha un ritorno anche per loro, perché è importante crescere tutti insieme in qualsiasi campo.

Come dite?

Significherebbe “fare sistema”?

Ah, già, che scemo, e quando mai succederà a Napoli…

Insegnare.

Bel tema, a Napoli e nelle zone circostanti. Già. Tralascio di trattare il bassofondo di questo argomento in questa sede, cioè quello di cui ho più volte parlato che è fatto di personaggi agghindati con coreane piene di pecette, bandierine e stemmi di associazioni più o meno vere, che malamente si propongono come istruttori a persone che vorrebbero e spesso hanno assoluto bisogno di mettere il loro figlio a mestiere, li affidano a fior di centinaia di euro a questi figuri con più o meno velate promesse di trovargli lavoro dopo il loro corso ma, come sappiamo, questo non avviene quasi mai. Parlando di insegnare parliamo del pensare a promulgare nuove metodologie per realizzare una Pizza Napoletana moderna, più vicina ai gusti della maggioranza delle persone. Ho detto prima che, per realizzare una pizza Napoletana migliore, si devono assolutamente adottare delle tecniche di impasto più moderne, sì, però chi le sa fare? Pochi, amici miei. Ad oggi, di chi ho prova certa, conosco giusto Errico Porzio e Francesco Cammarota con la sua scuola. Per il resto, vedo solo l’insistere ad insegnare come si fa la macchina a vapore, più o meno bene, anzi, no, il Pagodino di molte righe più su. E la cosa che fa rabbia è che oggi, questi soggetti che pagodinano non sanno assolutamente fare niente di meglio che una pizza che va dal Disciplinare STG, nel migliore dei casi, alla ricetta di famiglia perché sono generazioni di pizzaioli e, quindi, loro la sanno fare bene (roba che spesso, se li prendesse il loro povero nonno morto a fare quella pizza, come minimo inizierebbe le pratiche per il disconoscimento della discendenza), soggetti che urlano su Facebook la loro ignoranza crassa che, sotto il regno di Maria De Filippi, non è più una cosa di cui vergognarsi ma è una cosa da sbattere in faccia quasi con orgoglio. Questi sono la maggioranza e sono quelli che più fermano la crescita e l’evoluzione della Pizza Napoletana verso qualcosa di più vincente, qualcosa di più qualificato, qualcosa che piaccia a più gente possibile nel mondo. In questo, non è che le Associazioni facciano qualcosa, anzi. La loro non è tolleranza, non è neanche accondiscendenza, no. Spesso, è proprio immobilità funzionale. Credo che in alcuni casi il grande evento del Pizza Formamentis, a partire già solo dal fatto che si sia fatto un evento del genere senza nessuna etichetta, abbia dimostrato perfettamente come stanno realmente le cose a livello di esigenze presenti e importanti ma assolutamente non recepite e gestite da nessuno.

Come andrà a finire, probabilmente, la Pizza Napoletana?

Cari amici miei, e come pensate che andrà a finire? Lasciando andare le cose come vanno. Semplice. Rimarranno dei sostenitori della Pizza Napoletana della Tradizione, al cui interno qualcuno (pochi, due o tre) la farà divinamente, qualche giovane intelligente capirà che la strada non è quella per emergere e ne cercherà un’altra, quasi sicuramente molto simile a quella che ho indicato come prodotto di approdo di una Pizza Napoletana moderna, qualcuno rimarrà nel guado e lì, prima o poi, verrà dimenticato, le Associazioni non favoriranno il cambiamento, il necessario cambiamento, e staranno passivamente a guardare, tirando fuori ogni tanto le solite parole, “difesa”, “tradizione” e “territorio” su tutte, in qualche convegno o comunicato o volantino che sia, uscirà forse uno, due (tiè, oggi scialo…) interprete della napoletanità nella Pizza e farà successo, magari nel futuro sarà probabilmente il discendente di qualcuno dei nostri attuali interpreti della Pizza Napoletana affermatissimi oggigiorno (mi risparmio di dire che, uno dei possibili due, il primo locale fuori dalla Tangenziale Campana lo chiamerà “Zio Gino” e che proporrà la sua antica TV Fritta, per evitare ad un mio amico una violenta grattata là dove è di dovere fare in questi casi), forse ci sarà un Pizza Formamentis ennesimo, dedicato questa volta a testare il futuro del Forno Quantico rispetto al tradizionale Forno Elettrico e nel quale verranno anche riportati cenni storici in cui una volta la pizza si faceva addirittura nei forni a legna, e poi ancora iniziative, campionati sul Lungomare, eventi nei locali… e la solita Napoletana fatta ancora come una crêpe, decenni e decenni da oggi, sempre più mangiata dai turisti quasi come una tassa per vedere il Golfo più bello del mondo.

Insomma, tutto uguale o giù di lì.

Uguale. Quello che poi, tutto sommato, a Napoli non spaventa, anzi, per certi versi se lo cerca pure. L’uguale. L’uguale perché sicuro, perché non deve impegnare in ricerca di nuove strade, non richiede di investire ma, soprattutto, non richiede di cambiare.

Ecco, io almeno una cosa auspico: il silenzio di chi non vuole cambiare. Silenzio. Nessun ostacolo, confronto, ripicca, attacco, levata di scudi, oltre a “Difese”, “Tradizioni”, “Territori”, niente insomma, contro chi a Napoli vuole cambiare e rendersi interprete di una Pizza Napoletana moderna, vicina ai gusti più diffusi ed anche avanti ad essi, dove possibile.

Chi non vuole cambiare è in questo caso un macigno contro l’evoluzione, la ormai necessaria evoluzione della Pizza Napoletana o, meglio, della Pizza di Napoli, perché questa è nella realtà, e i macigni, a casa mia, non parlano.

Caro Guglielmo Vuolo, amico mio, ti è più chiaro adesso perché penso quello che ti dissi al telefono e che ho scritto all’inizio?

Nulla cambia a Napoli.

E, forse, anche in questo è la sua bellezza.

29 Commenti

  1. E io che lo avevo intolato “La Pizza Napoletana: come è, come dovrebbe essere, e come probabilmente invece sarà… secondo me.”….
    Senza quel titolo, appare un atto di pura presunzione e non una analisi di come stanno le cose per quello che ho visto io, per quella che è, appunto “secondo me”, la situazione.

    Ae.

    Con questo titolo hai ragione a parlare di chiavica.
    Sì.
    Quella in cui mi ritroveranno la prossima volta che scendo a Napoli, con un pezzo di pizza in bocca.

    :-D :-D :-D :-D :-D :-D

  2. Non concordo quasi con nulla. Ma ne parliamo a voce. Qui è da poema.
    Una sola precisazione. Essere la Ferrari non significa costare. La Dino costava meno di una Flaminia.

  3. Non condivido nulla, ma l’articolo è un continuo stimolo al ragionamento. Se penso a nemmeno molti anni fa ricordo che il mondo pizza napoletana era fatto da qualche ottimo interprete della tradizione, molto olio di semi, e una platea di pizzerie piu’ o meno rionali, che chiudevano o aprivano nel giro di poco.anche allora, con inflazioni luculliane, gli indicatori economici, che misurano ,anzi sono l’esatta misura di ogni azione umana, erano sconfortanti, la pizza era uno “scarfastommaco”. in una ipotetica classifica la pizzeria era ben al di sotto di carnacuttari e friggitorie.c’è , si presenta prima o poi, l esigenza, di provare a spostare le asticelle un po piu’ in la, e comincia quello che possiamo definire la rifondazione della pizza napoletana.dal già citato Coccia, che rimane senz’altro il capostipite del manifesto della rifondazione,man mano la sperimentazione, perchè di questo si tratta, e piaccia o no, la rifondazione è tutta metodo scientifico, si arrichisce di nuove prospettive e nuovi interpreti, è in divenire;una strada intrapresa di cui non si conosce l’arrivo.sempre gli indicatori economici , relativamente alla pizza, segnano un altro segno;nascono monumenti, in quella ipotetica classifica le pizzerie scalano posti e si pongono quasi ai vertici,generano flussi,lavoro, e discussione.in definitiva la sperimentazione, il metodo scientifico, necessita di teoria prassi e teoria, in un arco di tempo non quantificabile secondo il nostro tempo di riferimento, ma possiamo dire che proprio la pizza ha generato una mutazione per la quale indietro non si torna.intanto una codifica, un disciplinare, un “linguaggio” col quale nuove genie di pizzaioli, possono eseguire il “programma/pizza” sul quale possono essere scritte nuove “stringhe” di informazioni è possibile ,anche grazie al “sorgente/disciplinare. una costante è quella che lega la pizza napoletana a napoli, difficilmente,se non impossibile, replicare questo prodotto ad altre latitudini e con altre variabili.per me è un punto di forza.questa latitudine, napoli, smessa quella che per un po sembrava essere la sua vocazione(un industrialismo senza infrastrutture)in modo disorninato e incoerente(ma è la bellezza del caos)sembra voler partorire se stessa di qui ai prossimi millenni.prova,senza buoni risultati, a fare sistema di se stessa,e se tra non molto si riuscisse a vendere il prodotto turistico napoli attraverso la degustazione della verace pizza napoletana, magari acquistando il kit completo(panetto,pomodoro,oliofiordilatte) per potersi fare la napoletana a casa per 1 per 10 per 20?è una estremizzazione, ma serve a far comprendere che lievitazioni indirette,forni elettrici, tra non molto(fase teorica) diventeranno materia di studio anche agli alberghieri(la prassi).non è tutto fermo, ed Einstein c’è lo spiego’ bene,se siamo in un treno in corsasembreremo comunque fermi rispetto ai moti celesti e alla velocità della luce, ma ci muoviamo, e come se ci muoviamo.

  4. Carmine, intanto grazie per avermi letto e per aver dissentito, meno male… ;-)

    Alla fine hai scritto: “Einstein c’è lo spiego’ bene,se siamo in un treno in corsasembreremo comunque fermi rispetto ai moti celesti e alla velocità della luce, ma ci muoviamo, e come se ci muoviamo.”
    Bene, se leggi in questo articolo ed in un altro precedente di qualche tempo fa, così come dissi al Pizza Formamentis, è che questo moto (che io però vedo quasi impercettibile), non basta a colmare il gap che si è formato con gli altri. Purtroppo è così, anche se magari ci vogliamo poi soffermare su alcuni aspetti specifici ma di relativa importanza nel discorso generale, Napoli con la sua pizza è indietro. Secondo me, la realta dice questo. Così come ho risposto a Tommaso Esposito su Facebook, avendo curato anni fa la preparazione tecnica (impasti e pizza) di una catena brasiliana, loro hanno persino una Giornata Nazionale della Pizza, il 10 luglio, noi manco quella ma vogliamo andare a prendere il riconoscimento dell’Unesco. Questa è una piccolezza, una Giornata Nazionale. Una cosa che però, concettualmente, pesa eccome e segna una bella differenza. Noi dovevamo farla prima, decenni fa!!! Così come cambiare tante altre cose che sappiamo che non vanno e che non trovano mercato perchè insistere a fare una cosa di decenni fa, e forse pure male, non può pagare. Fai che finisca questa moda del “prima era meglio”, e vedrai tante di queste cose, di cui molte legate proprio alla pizza, saranno dimenticate e ripudiate. Il treno cammina lo stesso, sì, ma Einstein dovette rivedere la Teoria della Relatività per divilgare poi la Ristretta dove, nel succo, l’insieme di equazioni valevano nel frame di riferimento. Ecco, se tu dici che la pizza a Napoli si sta evolvendo, certo, il treno è in movimento, però con la velocità relativa all’area di riferimento. Se questa area la allarghi, vedi che la Pizza Napoletana evolve quasi nulla al confronto delle altre e ne è stata ampiamente superata in molti aspetti. Questa realtà a Napoli è anche difficile da percepire e da accettare perché è un ambiente fortemente autoreferenziale, e questo si vede benissimo, per cui personaggi che a Napoli girano con il santino da visita, fuori dalla Tangenziale devono presentare quasi il permesso di soggiorno (ho estremizzato per rendere chiaro il concetto). Anche questo non fa crescere, perché non si può dare l’illusione che il treno di cui sopra si muova, facendo scorrere il paesaggio attorno…

  5. La presunzione è un atteggiamento, nel caso di un testo ha a che fare con la forma più che col contenuto, per cui non credo che l’altro titolo avrebbe cambiato granché e nel caso di questo testo forse poteva fare la differenza porre degli interrogativi più che affermare. Che la qualità della pizza a Napoli non sia uniforme è cosa umana, direi. Che il disciplinare sia limitato e limitante è un controsenso visto che serve a delimitare. Che fuori dalla tangenziale la pizza col cornicione alto e il centro pieghevole non piaccia è un dato ben lontano dall’essere dimostrato e lo stesso esempio fatto proprio da lei su alcune pizzerie a Roma fa vedere un’altra realtà, come la fanno vedere il successo di tutte le trasferte dei pizzaioli napoletani sia nei one night show che nelle vere e proprie filiali (vivo inoltre da più di un decennio in Lombardia e di polentoni convinti di non gradire la pizza napoletana ne ho convertiti tanti semplicemente portandoli con me a Napoli ad assaggiarla, perché purtroppo molti fuori Napoli proclamano di fare la vera napoletana ma si rivelano una chiavica di imitazione ). Quella del canotto o gommone come lei saprà poi sta diventando una faida interna ma è curioso che i difensori della pizza dal cornicione moderato – che lei predilige a quanto sembra – si appellino proprio alla tradizione – che invece lei identifica come possibile zavorra – senza contare che uno dei pizzaioli più “canottari” del momento non solo ha dimostrato in un video che quel canotto si forma ugualmente anche mettendo il condimento fin sul bordo e non per come viene ammaccata – cioè per le caratteristiche della pasta molto idratata e matura in un forno in cui i vari tipi di calore non sono lasciati al caso – ma è anche uno dei pochi che impasta trasgredendo al disciplinare, con procedimento simile al panificatori. Che poi il cornicione pronunciato lasci al centro solo un dischetto di condimento è un’iperbole che ci sta tutta nella verve retorica del pezzo ma resta una simpatica esagerazione. La parte davvero pesante e che ritengo meriti davvero una profonda analisi è quella sul fare sistema, sul prezzo in rapporto al valore, e sulla deriva modaiola degli ingredienti,e questo suo contributo è opportuno,lucido e coraggioso. Tutto con il massimo rispetto per la sua innegabile competenza e passione.

  6. Non capisco perchè vogliamo imporre la nostra pizza nel resto d’italia o all’estero.
    La pizza napoletana è e resta un nostro prodotto tipico, che negli ultimi anni è molto migliorato negli ingredienti e nell’impasto grazie alla applicazione di alcuni pizzaioli che stanno facendo sempre più proseliti. Chi vuole mangiare la vera pizza napoletana deve venire a Napoli.

  7. Mi è piaciuta la definizione di questo pezzo data da Carmine: non condivido nulla ma invita a ragionare.
    Personalmente questi discorsi li ho sentiti fare più di 20 anni fa sui bianchi e sull’Aglianico che erano troppo tipici e che dovevano avere come modello il cabernet e chardonnay.
    I fatti dimostrano che chi ha tenuto la barra sulla tradizione, aggiornata nella forma e nei contenuti, ha avuto ragione. Chi invece ha inseguito altri modelli ha prodotto vini caricaturali e imbevibili dopo dieci anni.
    Per la pizza la storia è più semplice: c’è il modello napoletano e il modello delle grandi catene angloassassoni a cui fa da pandant la pizza gourmet, quella che è buonissima ma non è una pizza.
    Non sarebbe possibile un articolo sulla pizza napoletana così critico se la pizza napoletana non fosse un modello affermato e in espansione in Italia, in molti paesi europei, in Asia e negli Stati Uniti. In Italia esiste la pizza di tizio e caio, ma non c’è altra pizza territoriale così forte e diffuso.
    Marco Lungo sbaglia a considerare che il gusto è circoscritto alla tangenziale, in primo luogo perché tutti gli italiani o sono, o sono stati o saranno napoletani, in secondo luogo per il sounding del nome napoletano è la prima cosa che tutti cercano di prendersi quando aprono una pizzeria, un po’ come un tempo era per le trattorie toscane a Roma e Milano. Se è il 2 per cento non lo so, so che gli altri modelli saranno lo 0,00001 per cento.
    Questo non significa chiudere le porte alla ricerca e all’aggiornamento, e in nessuna città come Napoli si sta sperimentando e approfondendo, ma il modello è chiaro: impasto elastico, ben indratato, cornicione equilibrato e ingredienti semplici.

    Mi complimento con me stesso per due cose: primo per aver dato spazio a opinioni oppposte alle mie. Secondo aver fatto un titolo che attrae la lettura su questo polpettone che su intenret sta volando contro ogni legge, proprio come un calabrone:-)
    Buona pizza a tutti, napoletana. E buone focacce a Marco Lungo:-)

  8. Sergio, grazie!
    Hai ragione su molte cose, rileggendo il pezzo il titolo non avrebbe cambiato il tono che è di un veemente che sconfina nel presuntuoso facilmente. Per il resto, apprezzo quello che hai scritto, posso ovviamente non concordare ma riuscire ad aprire un confronto qui non è possibile, purtroppo.
    Grazie per l’apprezzamento finale, mi fa piacere che il messaggio ti sia giunto chiaro nella sua essenza concettuale.

  9. Quello che dice Marco ora è un riassunto della storia della pizza napoletana. Dejavu e già sentito. Avete mai letto quello che della pizza napoletana hanno scritto tra il 1850 e il 1900 Emmanuele Rocco Mariano Lombardi e Matilde Serao? Descrivono una pizza immangiabile. Poi le brioche i babà furono le pizze cantate da Di Giacomo, Capurro, EA Mario (leggete il mio libro). Già c’è stata la rivoluzione e la presa di coscienza che auspica Marco. Non ci fasciamo la testa. 300 anni di storia sono tanti e tali che di corsi e ricorsi ne abbiamo visti tanti. Oggi la pizza napoletana ha una varietà tassonomica che fa fuori completamente le preoccupazioni di Marco Lungo. Ho già cercato di dirlo in un articolo su Il Mattino in cui ho provato a delineare una sorta di tassonomia.
    1 Senza dubbio la famiglia Condurro nelle sue diverse diramazioni e presenze in città, soprattutto Da Michele in Via Sersale, detiene il primato della pizza napoletana antica, quella lievitata oltre un giorno con il criscito da pasta di riporto prima nella madia, con cornicione basso e disco extra large.
    2. La pizza napoletana nuova, caratterizzata soprattutto da impasto diretto con lievito di birra, lievitazione a temperatura ambiente non oltre 12 ore, idratazione entro il 63 – 65 %, la farcitura con materie materie prime eccellenti dal pomodoro all’olio extra vergine di oliva, cornicione non pronunciato, misura L del mio pizzometro ha avuto come caposcuola Enzo Coccia.
    3. Ciro Salvo ha aperto la strada, per poi assestarsi un tantino al di qua, alla pizza napoletana nuovissima a cui guardano oggi soprattutto i giovani pizzaioli poco più che ventenni. Si tratta di idratazione dell’impasto spinta fino al 70%, cornicione pronunciatissimo, a canotto, con grandi alveolature, disco sottile di dimensioni che non arrivano al bordo del piatto, grande fantasia nelle farciture. Oggi questi nuovissimi pizzaioli hano come guru anche Marco Lungo e alcuni di essi fanno una pizza che mi piace molto e non poco. D’altra parte alcuni pizzaioli casertani, pensiamo a Pasqualino Rossi e Francesco Martucci, fanno delle pizze che sono brioche, nuvole e il loro sguardo è fisso puntato su napoli, non sul Taburno o oltre la tangenziale.
    4.Gianfranco Iervolino, ritornato ora all’utilizzo della farina fiore, è stato invece il primo grande interprete della pizza diversamente napoletana, quella per intenderci che, nonostante nasca dalle farine semi-integrali o da grani diversi dal frumento, conserva la morbidezza e la scioglievolezza dell’impasto trasformandolo in un goloso boccone unico.
    Quale sarà allora la pizza napoletana del futuro?
    Sarà esattamente questa che oggi si ritrova nelle sue diverse sfaccettature tassonomiche e si replica magnificamente oltre. Altrove.

  10. La Pizza Napoletana è nata perfetta.
    Tutto ciò che si aggiunge lo si fa solo per mettere in mostra la figura del Pizzaiolo che di volta in volta trova IDEE BRILLANTI.
    Al salone delle ARTI BIANCHE di Verona fine anni 90 ci fu un primo convegno organizzato Mr Green edite si pmc rivista americana sul mondo pizza faceva confronto tra i volumi di vendita di catene di pizzeria tipo domino o hut con la pizza napoletana.
    La pizza napoletana non si è mai imposta fuori da Napoli perché in primi i grandi pizzaioli hanno sempre lavorato in loco mantenendo la tradizione e non avevano lo spirito imprenditoriale odierno.
    La moda della pizza col cornicione a canotto è un fatto attuale,è una specie di gara a chi lo gonfia di più,e rimane un fine a se stesso nei vari disciplinari da pizza Doc sto è sempre servita a definire la pizza.
    La pizza napoletana la sanno fare bene in tanti a Napoli se poi uno crede di essere il massimo esperto e quindi le pizze devono rispettare il suo credo è una sua opinione.
    La pizza a portafoglio è sempre stata un cibo di strada (molte volte di pessima qualità) ed oggi la fanno diventare un “cult”.
    Non è vero che a Napoli vanno di moda i canotti ci sono pizzaioli che seguono tale tendenza .
    chi conosce la storia della pizza napoletana sa anche che non esisteva tanta tecnologia quindi il problema del riporto di pasta era tanto sentito dai pizzaioli che non potevano conservarla nel modo adeguato (oggi ci sono i frigo a temperatura controllata) utilizzavano parte dell’impasto in un nuovo impasto.Un saluto ed un abbraccio a tutti i pizzaioli.PsAvolte sono i giornalisti o blooger o esperti del settore a dare vita alle mode.

  11. Vincenzo, da un parte ti posso dare ragione ma dall’altra no. Se c’è una cosa che ho detto, al riguardo proprio delle IDEE BRILLANTI, è proprio citando il mio amico Gugliemo Vuolo, uno che di idee brillanti e valide troppe se ne è fatte venire. Lui sta proprio all’inizio ed alla fine dell’articolo a rappresentare come uno, bravo, creativo ed innamorato della pizza ma soprattutto di quello che fa, inventa, fa, crea, e che cosa succede? Addirittura napoletani che gli danno addosso. Ma è un modo di crescere questo, secondo te? No, dimmi, è questa la maniera? Questo è quello che dico che è uno dei problemi grossi. Napoli, l’ambiente della pizza di Napoli è tutto autoreferenziale, ci si loda e ci si sbroda ma, nella sostanza, ci si danno i pacchi coi mattoni uno all’altro. Quest’è. E da fuori si vede. Ecco perchè scrivo anche di questo. Ed è questo chein primis, penso debba cambiare. Leggere il mio articolo andando a fare le pulci sulle cose degli impasti e dei cornicioni, è riduttivo assai, credimi.

  12. Caro Marco,probabilmente un articolo più breve avrebbe permesso a quel paio di suggerimenti giusti di non annegare in un mare di inesattezze. Usi le statistiche in maniera strumentale e semplicistica.Qualsiasi pizza prodotta oggi al mondo costituisce un mercato di nicchia,se nella statistica ci inserisci quella dei colossi commerciali americani che però si fa fatica a chiamare pizza. Poi il riferimento alle bruschette romane (perché questo sono) è inaccettabile. Trovo giusto lo stimolo a fare di più sui condimenti,ma in quanto agli impasti credo che la gente che non nasce a Napoli non ce la faccia proprio a capire. Il cornicione può darsi che serva pure a non far colare i condimenti fuori,ma quando una pizza è buona mangi prima quello e poi il resto. Se lo straccio o crepe,come li chiami tu in maniera dispregiativa,trasuda,rappresenta il mezzo di coesione degli ingredienti che formano un “prodotto” e non più la “somma” di ingredienti. A Napoli si son sempre curate di meno le varianti dei condimenti,perchè a Napoli è l’impasto ad essere buono.Qui anche una pizza bianca,spoglia, è buona.Prova a servire una romana o una Pizza di Hunt senza condimenti…… Tu parli di pizza e pensi ad una fetta di pane con un condimento.Mi sembra che più che essere interessato a migliorare la pizza napoletana sia interessato a stravolgerla e non è detto che non ci riesca visto il credito che riscuoti o almeno le strategie che attui. Io ho 58anni ed avendone trascorsi tanti a mangiar pizza in qualsiasi buco di Napoli,so mangiarla,cosa che ti garantisco,non è facile fare. Non basta essere giudici compiacenti nelle competizioni spettacolo create dai molini,che per ovvi motivi necessitano di discepoli sparsi un po’ nel mondo,queste aziende si dovrebbero sforzare di trasmettere anche il senso profondo del mangiare una pizza,che nella mia città è un atto mistico. Spero non ti sia offeso,caro Marco,ma è quello che penso.

  13. Caro Marco mi sa che tu di pizza non capisco proprio nulla, gommosa? a me non sembra, piu’ che altro mi sembrano al quanto biscottate tutte le altre. Sono pizze pesanti anche se piu’ sottili. Ma quale piatto e forchetta e 15 minuti? La pizza va mangiata calda e nel 90% dei casi con le mani anche a ristorante.
    Si vede che di pizze ne capisci poco e nulla e si vede che non hai girato abbastanza a Napoli per sapere dove si mangia la Pizza. La lievitazione naturale con il lievito madre che si usa a Napoli e’ di un altro livello, le pizze fatte con lievito di birra sono pesanti e continuano a lievitare nello stormaco mentre le mangi, una porcheria.
    Stai zitto che e’ meglio e fai piu’ bella figura, purtroppo l’invidia e’ una brutta bestia.
    Purtroppo quando danno a gente come te la possibilita’ di parlare male di altri e di popoli che fanno Pizza da piu’ di cento anni questi sono i risultati.
    Nel resto del mondo non si mangia la Pizza Napoletana? Beh forse anche perche’ i Napoletani che fanno i pizzaioli all’estero sono pochi ma ti posso garantire che quei pochi che ci sono lavorano molto bene e meglio di altri.
    Cambia mestiere senti a me.

  14. In Germania i tedeschi ci fanno i soldi con la Pizza Napoletana e ne apprezzano il valore piú di tanti italiani.
    Guardate il concept 485Grad a Colonia e Düsseldorf , cornicione e “straccio moscio” accompagnato da una strategia di marketing pazzesca e con una maniacale attenzione nell’abbinamento Pizza&Vino. Abbiamo molto da imparare e lo dico con un pizzico d’amarezza, da napoletano amante dello “straccio moscio”.

  15. Mi pare che nell’articolo la pizza venga giudicata come se fosse un prodotto industriale da vendere su un mercato globale. Si afferma che la pizza napoletana debba inseguire gusti comuni al resto del mondo. Si dice che ci siano turisti che a Napoli si ritrovano a mangiare di malavoglia dischi gommosi, con poco condimento e con scarsa varietà di gusti. Allora facciamola questa pizza globale. Rendiamola non più scioglievole in bocca, aboliamo lo stanco abbinamento tra pomodoro e mozzarella e facciamola finalmente come piace a chi ne ha la ricetta perfetta. Peccato che in quella ricetta manchi un ingrediente fondamentale: Napoli. Napoli che ha la forza di guardarsi dentro e riconoscere quando è il momento di vincere l’inerzia e migliorarsi, come dimostra il fermento che vediamo in questi anni tra i suoi pizzaioli. Napoli che non deve inseguire modelli non propri, ma che deve esaltare i suoi. E pazienza se a Rio de Janeiro mangiano una pizza diversa, perchè non credo sia realistico pensare che a Napoli la pizza avrebbe più successo se fosse come quella di Rio. Questo è il mio pensiero, o almeno lo sarà finché non avrò visto il sig. Lungo aprire una pizzeria sul lungomare di Napoli o ai Tribunali capace di far chiudere tutte le altre per mancanza di clienti.

  16. Ieri ho commentato con grande rispetto e attenzione l’articolo del signor Lungo al quale continuo a riconoscere una competenza e una capacità di interrogarsi in maniera stimolante. Anche gli altri commenti sono stati tutti puntuali e circoscritti ai temi che ha scelto di toccare. Ne trarrà la giusta lezione? “Leggere il mio articolo andando a fare le pulci sulle cose degli impasti e dei cornicioni, è riduttivo assai, credimi” chiosa il signor Lungo rispondendo a uno dei commentatori che gli fanno notare ciò che non funziona nel contenuto del suo pezzo. Ma lui, oltre a dirci come va fatta la pizza napoletana, ci deve dire anche come dobbiamo leggere il pezzo, però poi teme di passare per presuntuoso, guarda un po’. Visto che gli piacciono i dati con i quali per primo cerca di “fare le pulci” alla pizza napoletana, metterei in evidenza che il suo pezzo consta di 3723 parole e che ben 1949 di queste (52 %) riguardano le “cose degli impasti e dei cornicioni”, ma questo, signori, è “riduttivo”, fatevene una ragione (ora non è che l’altro 48 % sia “precisamente” incentrato su qualcos’altro, a eccezione del paragrafo sui condimenti, ma solo su generiche lamentele verso atteggiamenti autoreferenziali che impedirebbero di fare cose la cui efficacia per ora è solo un’altra ipotesi). I dati non sono una religione, signor Lungo, e il fatto che fuori dalla tangenziale il modello di pizza sia un altro dimostra solo che il modello napoletano non viene replicato e non che non piaccia, tant’è che ogni uscita fuori dai confini in realtà riscuote successo, ma lei questi dati non li conosce o non li usa. Dire che non viene replicato perché non piace è un’ipotesi tutta da verificare, e le verifiche empiriche che possiamo fare finora raccontano un’altra storia. Sarebbe come dire che poiché fuori dal GRA la carbonara viene fatta secondo altri modelli – usando la panna oppure in quella tremenda cottura one pot che è circolata viralmente in video qualche settimana fa – allora ne dovremmo concludere che la carbonara tradizionale non piace o soltanto che la fanno diversamente? Che l’articolo possa sembrare presuntuoso potrà anche dipendere dalla capacità di chi lo legge nello scindere forma e contenuto, ma se lei ci deve anche venire a dire che in realtà non voleva veramente parlare di “cose degli impasti e dei cornicioni” – 1949 parole su 3763 – forse sarebbe stato il caso di rileggere l’articolo prima di farlo uscire.

  17. Sono nell’ambiente da troppo poco tempo per dare giudizi tecnici e non ne sarei nemmeno capace. Concordo sul fatto che l’ambiente dei pizzaioli napoletani é in ritardo sotto tanti punti di vista. Troppe gelosie, troppi egoismi. Addirittura si fa a gara a registrare, inutilmente, pizze per dire : io sono stato il primo….
    La pizza è bella perché ti emozioni quando la mangi… il resto passa in secondo piano.
    Per quanto riguarda il discorso dell’evoluzione, credo che questa debba avere SEMPRE un occhio di riguardo alla tradizione. Questo non significa restare ancorati al passato, ma evolversi senza stravolgere.
    Per quanto riguarda la questione dei cornicioni, penso che sia questione di gusti. Chi vuole la pizza a “canotto” sa da chi andare, mentre chi vuole la pizza classica ha i suoi punti di riferimento. (Io sono per una via di mezzo…. né piatto, né troppo alto). Grazie a Marco per questo contributo, che di sicuro non voleva essere distruttivo ma costruttivo.

  18. Sono Stato al Pizza Formamentis, e di sicuro è stato un buon momento di confronto, dove si è capita la difficoltà nel proteggere un nome che è quello della Pizza Napoletana, ormai troppo usato e diffuso addirittura su pizze Surgelate!!!! Che nel resto del mondo non vince nelle classifiche di vendita la Pizza Napoletana è solo per una ragione, Non sanno fare la pizza, ovvero, per molte culture la pizza e solo un miscuglio di acqua farina ecc.. stese con aggeggi meccanici, cotte con le più ultime tecnologie intelligenti, in modo da meccanizzare tutti i processi, mentre nel Napoletano o chi vive la pizza quasi come ragione di vita non si sognerebbe mai di avvalersi della tecnologia da star trek.. L’evoluzione è giusta che ci sia, ma non condivido sul fatto che l’unico modo per fare una buona pizza e quella di metterla in frigo, o la realizzazione di Biga o altre tante tecniche, credo che ognuno debba avere un evoluzione ed è giusto staccarsi dalle usanze familiari almeno per provare nuove tecniche. In 300 anni tanto è cambiato, le farine, le nostre acque l’ambiente in cui lievita il nostro impasto e quindi anche noi dobbiamo portare degli aggiornamenti. C’è poca pizza Napoletana perchè pochi hanno voglia di andare in pizzeria 3 volte al giorno per verificare che il nostro impasto messo in un determinato luogo, che cambia in base alle temperature, sta lievitando come da noi desiderato, per poi capovolgere i cassetti per dare meno pressione ai panetti che si trovano sotto, inumidire il legno dei cassetti di tanto in tanto per evitare di far seccare i panetti, prevedere le temperature del giorno successivo e capire in che modo dovrà essere incordato il proprio impasto, capire che miscela di farina usare in base alla tipologia di lavoro e alle temperature, mettere in conto se piove oppure c’è afa, che farina ci è arrivata e come è stata conservata, com’è il lievito che inseriamo, troppo umido o un pò secco.. Ecco queste sono tutte azioni che fanno di un pizzaiolo, fare la pizza uno stile di vita, tanto d’arrivare ad avere un rapporto sentimentale con la nostra creazione: – Quando l’impasto è pronto, te lo dice lui, basta guardarlo e capire quali sono i suoi segnali. Diceva “Guglielmo Vuolo” lo so siamo sciocchi e forse un pò fessi, perche ci basterebbe andare a temperatura controllata e far lavorare la matematica calcolando tutte le dosi ed i tempi per poi gestire i fattori varianti con l’orario di uscita dal frigo. Ma piuttosto cambio lavoro, e quindi per far maturare l’impasto ecco che sperimentiamo farine più deboli quasi al limite della panificazione, incordature sempre piu snelle, impasti più idratati e cotture adeguate non troppo spinte ma non ad Hoc per Biscotti, per lasciare alla temperatura l’ultima fase della nostra creazione. Intanto la sua riflessione come sempre anima le menti.. Buona Pizza a tutti…

  19. Concordo con cornicione e gommosità e concordo che al di fuori del capoluogo partenopeo l’offerta è più diretta alla soddisfazione della platea, al contrario della filosofia casereccia che preferisce “nu chiummo” al posto della reale pizza “fatt a mestier”.
    A mio parere la pizza deve essere una relazione di fattori, materia prima, quantità(acqua/farina/lievito/sale) e qualità nella preparazione e lievitazione, porzione sufficiente, ingredienti adeguati qualitativamente e quantitativamente , per ottenere una pizza dignitosa e degna di tale denominazione e poi in ultimo ma non ultima la cottura, che sancisce la differenza in termini di sapidità e consistenza.
    PS il tuo esempio pratico di chi fa le pizze oltre la tangenziale non è proprio così oggettivo, forse a napoli è buona, ma dove sono stato io l’ultima volta, fatta eccezione per gli ingredienti che potevano anche salvarsi, l’impasto era letteralmente un “chewingum”.

  20. @MarcoLungo: ottimo articolo, largamente condivisibile eccezione fatta per un paio di aspetti (“gommosità dopo 3 minuti”, ad esempio), al quale sarebbe da aggiungere la questione delle bruciacchiature così facilmente riscontrabili nelle pizze pseudo napoletane.

    E un piccolo appunto: nun me confonde l’aggettivo “fragrante” con “friabile”. Son proprio due concetti totalmente differenti, sebbene “sonoricamente” similari.
    :P

    Saluti e grazie per l’interessante spunto di riflessione, Stefano.

  21. La particolarità di Napoli è che reinterpreta,trasforma le cose dandogli delle caratteristiche che nascono prorio dall’ essere “Napoli”.Faccio il paragone con la moda;la giacca napoletana non ha sicuramente la rigorostà del taglio inglese, la sua manica detta “a mappina”, le poche imbottitute ed non un perfetto appiombo del capo (si dice che “zompano arreto”),ma è riconosciuta come eccellenza del made in italy.Una cosa che ci distingue in tutto il mondo, nata ed avvenuta solo a Napoli;perche?.Secondo mé solo l’estro, la genialità di una popolazione è capace di fare ed dare una proria impronta a cose che si distinguono da tutte le altre.Il bello ed il bouno della “napoletana” è prorio l’essere scaturito dal modo di fare ed essere di Napoli, come paese,storia,cultura e vita.Con i suoi pro e contro,vi piace la “napoletana” fatta bene per intenderci ???Mangatela,altrimenti desistete!!.La pizza nasce come un piatto popolare e tale deve rimanere per sua natura, oggi sta diventando troppo filosofica elaborata e cara.A napoli si dice “jammece a fa na pizza” che descrive oltre alla pizza ance tutto il contesto attorno.
    p.s. A Napoli ci sta chi fa pizze da schifo, chi non sa fare un impasto diretto semplice, chi perfino ruba sulla pizza, ma “nun facimm a pizza co ‘o gorgonzol “!!!!!

  22. Da anni vado e vengo dalla Germania… e le migliori pizze le ho mangiate qua, fatte da Egiziani o Pakistani.
    Il Cornicione se è alto… è pure ripieno di formaggio…
    E poi la pizza, è piena di quello che desideriamo. Se si prende anche solo una margherita, la pizza è riempita… se si prende una al salame… il salame c’è…..
    Non come le pizze che mangio in Italia, in cui gli ingredienti sono messi al contagoccie.
    Tantè che le persone tedesche che conosco… quandoo vengono in Italia, non amano particolarmente le nostre pizze, perche sono sempre povere… Non parliamo poi dei “prontopizza” o “pizzaevai”… dove fanno a gara a non metterci gli ingredienti.
    Roby

  23. Come mai la pizza napoletana si sta diffondendo in tutto il mondo con l’apertura di tante pizzeria con tanto di scritto pizzeria napoletana e si fanno mandare anche I forni Artigianali mobili da napoli

  24. Gentile Luciano, mi occupo di sviluppo business per una grande azienda italiana. NON HO LETTO MAI TANTE SCIOCCHEZZE come nell’articolo del sig. Lungo.

    Concordo pienamente con lei.

    Detto questo, che ci sia un problema di “classe imprenditoriale” e’ noto non da adesso.

    Non a caso i grandi marchi del Caffe, Lavazza e Illy, sono del Nord e non certo del posto dove, spero che almeno questo c’e’ lo conceda Lungo, si fa il miglior caffe.

    A Napoli, ed in genere in Campania piu’ che nell’Imprenditore in genere ci si imbatte in una figura che e’ piu’ vicina a quella che si puo’ definire ” ‘O Padrone” . Sono due cose leggermente diverse…

    Un piccolo consiglio per Lungo. Lasci perdere la pizza napoletana. Si dedichi alle focacce di pane visto che le piacciono tanto. C’e’ ne faremo una ragione.

  25. salve Roberto,molti anni fa c’era una pizzeria a Napoli che non faceva pagare la pizza a chi riusciva a mangiarla tutta. Considerato che io altrove ne mangiavo 3 di seguito, accettai la sfida. Mi arresi a pochi bocconi dalla fine. Il pizzaiolo,napoletano, aveva lavorato in Germania diversi anni e la sua pizza era di dimensioni normali ma stracolma di ingredienti. C’era di tutto,talmente di tutto,che dopo il primo quarto già avresti voluto vomitare ogni cosa. Non arrivavi alla fine semplicemente perché faceva talmente schifo che sarebbe stato impossibile mangiarla tutta. Da allora ne ho viste molte di pizze del genere, con accostamenti che fanno rabbrividire,tedesche, americane,australiane. Non c’è nulla da imparare da quelli. La pizza napoletana è musica,il resto è rumore.

  26. Ringrazio la Madonna e San Gennaro perché la piazza napoletana è perdente, se “vincente” vuol dire avere le caratteristiche descritte nell’articolo. Spero vivamente che non lo diventi mai “vincente”.

    La pizza è solo quella napoletana, fatevene una ragione. Così come il Bordeaux è solo quello che fanno in Francia. Mica deve piacervi per forza! Il mondo è bello perché è ricco di individualità ed originalità irriducibili alla omologazione, alla tendenza del moderno capitalismo alla riproducibilità seriale di ogni cosa.

    Che la pizza napoletana abbia dei difetti sarebbe come dire che il miglior curry wurst non è quello che fanno a Berlino, perché in quella città ci mettono i würstel ed il ketchup, mentre a San Giovanni a Teduccio lo sanno fare molto meglio in quanto usano salsiccia e friarielli. Il malcapitato berlinese che si trovasse ad assaggiarne direbbe semplicemente: ma questo non è il curry wurst! Ed infatti non lo è, così come la focaccina croccantella che vuole Lungo semplicemente non sarebbe la pizza. Sarebbe un’altra cosa, magari buonissima per carità, ma un’altra cosa. Lascia perdere Lungo, dedicati che so, alla filatelia….

  27. Se magicamente dimenticassimo di essere nel 2016, leggendo l’articolo del Sig. Lungo sembrerebbe di vivere nel 1987.
    Nonostante io sia giovane, non avevo mai visto la pizza napoletana così protagonista e così in evoluzione come negli ultimi anni.
    Roma e il pianeta tutto devono adattarsi alla pizza napoletana, non il contrario. Sarebbe la fine della pizza napoletana, che proprio negli ultimi anni grida e sottolinea al mondo la sua tradizionalità, il suo essere diversa da quello che il cliente si aspetta, perchè quello che si aspetta il cliente non è la vera pizza napoletana. Semplice.

    Nonostante sia d’accordo su qualcosina (ulteriore cura per i condimenti e diversi metodi di impasto, ad esempio) spero che lei si lasci rassicurare da questo fermento positivo, da questa ricerca che è iniziata SOLAMENTE da pochi anni.

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