La ricetta della mia vita | Lardiata con pomodorini gialli di Salvatore Giugliano, Mimì alla Ferrovia


Salvatore Giuliano

Salvatore Giugliano

di Luciano Pignataro

Salvatore Giugliano, classe 1981, da pochi giorni è diventato papà per la prima volta: è nato Michele, come il nonno e lo zio che per oltre mezzo secolo hanno regnato nella sala di Mimì alla Ferrovia, il ristorante più famoso di Napoli. A domanda risponde senza esitare: il piatto della mia vita è la lardiata.

Lardiata

Lardiata

Come mai questa scelta?
“Lo stiamo proponendo con successo al nostro ristorante e l’ho scelto perché è emblematico di una tradizione che si rinnova senza spiazzare i clienti abituali ma conquistando anche il palato dei giovani. Anche Geolier quando è venuto l’ha chiesto e gli è piaciuto moltissimo”.

Come hai cambiato questo piatto antico e quasi dimenticato?
“Niente di speciale, uso gli ziti al posto dei classici mezzanelli perché un formato più contemporaneo, al posto del pelato San Marzano schiacciato a mano metto i pomodorini del piennolo del Vesuvio gialli. Il trucco è che il lardo, ridotto quasi ad una pomata perché lo frullo, lo aggiungo solo alla fine insieme alla pasta invece di utilizzarlo come basa per cucinare la salsa. Il risultato è un boccone molto più fresco, contemporaneo, in cui il profumo del lrdo, di altissima qualità, non è mortificato dalla lunga cottura perché si aggiunge alla fine a crudo”.

Tu e tua cugina Daniela siete la novità di Mimì alla Ferrovia perché lavorate in cucina. Come è nata questa tua vocazione?
“L’ambiente del ristorante mi è sempre piaciuto molto sin da piccolo, una sensazione che mi ha trasmesso mio padre. All’inizio pensavo di fare la sala, poi mio zio mi spinse a conoscere le cucine contemporanee stellate grazie ai giovani cuochi che hanno fatto la rivoluzione gastronomica portando la Campania ai vertici della Michelin”.

Lardiata

Lardiata

Quale è stato il tuo percorso formativo?
“Nel 2011° trent’anni vengo accolto al “Marennà” da Paolo Barrale a cui devo molto, perché il suo spirito allegro mi ha fatto innamorare della cucina, lui è davvero un grande professionista A seguire sono stato dalla famiglia Mellino a “Quattro passi” , poi al “Faro di capo d’orso”. Fra un’esperienza e l’altra e periodi di formazione nelle cucine internazionali in America Latina, negli Usa in Spagna e Francia. Nel 2014 al ristorante il “Mosaico”  dell’Hotel Manzi, di Nino Di Costanzo grazie al quale il mio bagaglio tecnico si arricchisce notevolmente. Nino è il maestro che tutti vorrebbero avere: sempre concentrato sui pitti, poco mediatico, ama la sua Ischia in maniera viscerale. Successivamente ho fatto un lungo viaggio in Giappone che mi ha formato molto. Tre le tappe fondamentali: il ristorante “Rakushin” ad Osaka, il “Nishikawa” a Kyoto e il “Tsuyama” a Tokyo. Quando poi sono rientrato in cucina a Napoli ero in possesso di un buon bagaglio tecnico con cui affrontare e migliorare i piatti della tradizione che hanno fatto grande il nostro ristorante.”

Appunto, in che direzione ti sei mosso? A volte prendere il timone di una eredità cosi forte e vincente può essere un problema
“Il patrimonio gastronomico napoletano è immenso, è esso stesso il risultato di continue contaminazioni che la nostra città ha avuto nel corso dei secoli. Per questo non bisogna essere rigidi e fermi, la tradizione non è un museo, ma un bagaglio culturale che si rinnova proprio attraverso gli scambi con altre culture. Oggi il nostro modo di mangiare è cambiato, non c’è quella ricerca della carne ossessiva, si va molto sul mare e sull’orto e in questo siamo avvantaggiati. Ma anche meno grassi, piatti pià snelli e semplici, senza complicazioni. La nostra città sta vivendo un momento fantastico e abbiamo anche tantissimi stranieri”.

Cambiamo anche le modalità d’uso del ristorante?
“Assolutamente si, i giovani sono più abituati alle prenotazioni on line e le usano con piacere ed efficacemente. E se trovano il tavolo libero solo alle 19 si anticipano senza problemi, oppure cercano un altro giorno”.

La vostra famiglia tramite il ricambio generazione riuscito alla perfezione riesce a mantenere la leadership in città. Qual è adesso il tuo sogno nel cassetto?
“Quando fra cento anni mio padre si sarà stancato, di sostituirlo in sala e diventare oste. Si, perché per i due Michele sono l’esempio perfetto di oste all’italiana e a me piacerebbe tornare fra i tavoli  e curare i clienti come hanno fatto loro per mezzo secolo”.

Uno chef che vuole fare l’oste? Sarebbe quasi da farci il titolo a questa intervista in un momento in cui tutti vogliono fare lo chef.
“Ognuno deve seguire la propria vocazione. Ma dal mio punto di vista la cucina italiana è grande grazie all’accoglienza, grazie agli osti. Tutti questi format anglosassoni che spersonalizzano il servizio sono un rischio mortale per la cucina italiana. Il cibo è condivisione, piacere, divertimento e il regista di sala fa sempre la differenza. Il nostro paese, da Nord a Sud, sarà sempre al top solo fino a quando ci saranno gli osti che la portano a tavola e che la raccontano facendo sentire gli ospiti come a casa. Questo è. Stato il segreto dei due Michele e di tutte le grandi famiglie della ristorazione italiana. Perciò tutti i napoletani ci vogliono bene.