La rivincita dell’asino


Ecco gli articoli della pagina sull’asino che ho pubblicato sul Mattino domenica scorsa

Dopo sette millenni di onorato servizio stava per estinguersi. Il suo competitor non è stato un altro animale, ma il furgoncino Ape, il mitico «tre ruote» che lo ha rapidamente soppiantato prima in città, poi in campagna. Ma adesso l’asino si prende la rivincita. È mansueto, piace ai bimbi, il suo latte è simile a quello materno, quasi tutte le aziende agricole e gli agriturismi ne tengono un paio per animazione o, più semplicemente, come portafortuna.


E la sua carne torna di moda perché leggera e ricca di ferro, poco calorica e a basso contenuto di colesterolo, come quella di cavallo e, per questo, ancora una volta destinata ai bambini.
La rivincita dell’asino viene dai parchi naturali italiani, dove è stato reintrodotto per le sue doti mansuete e le capacità di adattamento di gran lunga superiori ai cavalli. Non solo, il suo costo di gestione è di gran lunga più basso. In Abruzzo, per esempio, dove nei pressi di Sulmona c’è un’azienda chiamata «Asinomania» capace di offrire molteplici servizi, dalle passeggiate al latte. Internet amplifica il fenomeno e mette in rete diverse realtà, come il sito dell’associazione «L’Asino» (
www.asino.org) in cui sono riunite quasi tutte le aree italiane, a cominciare da Montefiascone sino ad Arezzo, passando per la Sardegna. È stata stilata una «Carta dell’Asinaro» in cui si sancisce la superiorità sul cavallo. I motivi? «Gli asini tra loro non sono aggressivi.

 

 

'o Ciuccio

Un asino non obbedisce, ecco perché va educato piuttosto che domato. È un animale conviviale, che tiene sempre conto del gruppo, di conseguenza non ama la competizione. Le relazioni asinaro-asino devono essere reciprocamente confidenziali ed armoniose». Ovviamente, mangiarlo non è un segno di amore: «Un asinaro professionista non alleva i suoi animali per la macellazione, ma per lavorarci insieme».
Altro grande polmone per gli asini è il Parco del Cilento, dove non è mai scomparso fatta eccezione degli anni ’80. Sono ormai dieci anni esatti che la popolazione è in crescita: «L’asino – sostiene lo psicoterapeuta Eugenio Milonis – è stato il motore diesel dell’antichità, motore biologico ad altissimo rendimento. Questo è il motivo per cui torna di moda nei Parchi». Qui l’azienda «L’Asino volante» di Alfredo Galietti alleva con successo gli asini vicino Palinuro ed è impegnata nella produzione di latte.Insomma, il business, oltre che l’ambiente, è assicurato: il raglio è più chic del nitrito.

L’asina fa poco latte, da poco meno di un litro a un litro e mezzo. Eppure quel latte è inseguito sia dai pediatri perché è il più simile a quello materno che dagli estetisti per i suoi benefici straordinariamente propagandati sin dall’antichità da Cleopatra e Poppea.
In Campania la facoltà di Agraria ha in piedi un progetto coordinato dalla professoressa Rossella Di Palo che punta ad andare oltre la leggenda orale per cercare di mettere dei paletti scientifici. «È importante – dice il ricercatore Vincenzo Veneziano – capire che tipo di alimentazione dare, quali farmaci usare. da questo punto di vista siamo davvero alle prime battute». Analogo progetto è in piedi anche con la Regione. Una cosa è sicura, il latte d’asina può essere bevuto tranquillamente da tutti i bambini che non sopportano quello vaccino. Una marcia in più di non poco conto nell’età della crescita.
Però è solo questione di fatturati che crescono, ma anche di forti simbolismi culturali: a luglio è uscito il primo numero de «Gli Asini», bimestrale di educazione e intervento sociale. Non si tratta di una rivista di settore, ma del tentativo di leggere la crisi che stiamo vivendo in questi anni a partire da uno dei grandi temi rimossi della nostra società: la pedagogia. Dietro il progetto (
www.gliasini.it) c’è Goffredo Fofi con le sue Edizioni dell’Asino

La storia del simbolo parte da lontano. Nel 1927 a causa di un campionato deludente della squadra partenopea, al bar Brasiliano, ritrovo dei sostenitori più accesi, un giorno, un tifoso esclamò: «Sta squadra nosta me pare ”o ciuccio ‘e fichelle: trentatrè piaghe e ‘a coda frucida”» traduzione: «Questa nostra squadra mi sembra un asino che si lamenta per le sue trentatrè piaghe e per la coda moscia».
La battuta piacque così tanto che alcuni astanti la riportarono alla redazione di un giornale. Il quotidiano la riprodusse col disegno di un asinello mal ridotto, pieno di cerotti e con una misera coda. Da quel giorno il «ciuccio» fu il simbolo della squadra del Napoli, al posto del cavallino.

5 Commenti

  1. In Aghanistan senza asini sarebbe impossibile vivere, i locali lo sanno da secoli. I militari stranieri hanno dovuto impararlo a proprie spese. In montagna mancano le strade ci sali solo con le tue gambe, con almeno 30 kili di materiali addosso e se non hai cinque litri d’acqua con te vuol dire che vuoi finire disidratato. E’ così che adesso gli asini li usano anche gli iper-tecnologici americani…Quando dici la rivincita del somaro…

    1. Bellissima questa storia, la ignoravo
      Però gli americani gli asini li usano da sempre: sono gli strateghi del Pentagono da dieci anni a questa parte

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