L’Ispettore Michelin e l’odore del mare


Le Chat qui Peche, quello vero


di Fabrizio Scarpato

Ma cosa cavolo fa quel coglione.

Il vecchio Barthélemy si aggirava chino sui campi brulli nei pressi del Faro Grande: tra i muretti a secco cercava porri, carote e asparagi selvatici per la zuppa di homard che la sera avrebbe preparato per quel suo amico poliziotto, taciturno e scontroso. Ne aveva raccolti abbastanza ormai e con qualche fatica si alzò dritto sulla schiena: anche questa è fatta, pensò. L’occhio si posò su una barca a vela che ormai scarrocciava di traverso in mezzo agli scogli della Chaussée de Sein. Avvertì in modo chiaro l’arrancata di uno scoglio sulla chiglia, capì immediatamente che, per quanto coglione, il tipo che stava sulla barca avrebbe avuto scarsissime probabilità di raccontare la sua disavventura. Va senza dire che quel coglione ero io.

Chaussée de Sein

Colonne d’Ercole una seppia, più che altro un inferno. Avevo visto subito che non sarei riuscito a fare un benché minimo bordo là in mezzo, tenevo tutto al lasco orzando e poggiando qua e là, alla fine confidando su un po’ di culo, le chiappe strettissime, in piedi nel pozzetto. Poi una specie di apriscatole di granito squarciò la barca come una scatoletta di tonno: ricordo solo il morso del freddo e un dolore lancinante, poi più nulla.

Il vecchio guardiano sapeva che l’unica possibilità di non perdermi nell’Oceano erano gli scogli dell’Ar-Men e prese a flottare lì intorno finché il mare non mi sputò tra le rocce sotto al faro, semisvenuto, lacero, una gamba girata in modo innaturale subito sotto al ginocchio. Il cervello registrava lo schifo delle alghe e delle conchiglie taglienti sulla faccia, inalava il puzzo di me e del mio sangue mescolati col sale, s’accecava della luce bianca del faro, avvertiva il calore di Barthélemy che silenzioso, muto, mi portava via.

La morfina è una brutta bestia, allontana il dolore e le parole scontate della gente che ti sta intorno, ma insieme ti asciuga l’anima, fino alla fragilità di un cristallo. Affiorano le facce amiche, da accarezzare dolcemente, da abbracciare, sale da chissà dove l’insano desiderio di toccare tutti, di sentirli sorridere, senza parlare. Una condizione maledettamente accattivante, una sorta di anonimato affettuoso, un buco nero che ti risucchia nel nulla. Ho capito che stavo meglio quando mia sorella Annette, che vede troppi telefilm, propose di farmi ascoltare la voce di Chabal per favorire il mio risveglio: povera Annette, alzai una mano, puntai l’indice contro di lei e le mostrai perentorio il dito medio ben disteso. Per un certo verso mi schifò abbastanza il ritorno alla normalità, ma mi riscaldarono assai le risate dei presenti.

Tra questi non c’era Mariana, lei non è venuta a trovarmi. Mi ha spedito una maglietta da New York e un grandioso mazzo di crisantemi, di quelli che piacciono a me. Mia madre nel vederli sbottò dicendo “ E belìn, non c’abbiamo avuto ancùa sfiga ‘a basta?” Quando mia madre parla in quel che resta del suo dialetto d’origine significa che è molto stanca, coi nervi a fior di pelle. Era tempo di sbaraccare la compagnia e rimettere il naso tra la gente.

Ed eccomi qui, al solito tavolo dello Chat qui Peche, senza niente da fare. Sono convalescente, lo si deduce dal bastone che mi aiuta in una camminata ancora incerta, ma sono anche sospeso dalle mie funzioni di ispettore, lo si deduce dal fatto che passo le giornate sul Vieux Bassin; non che prima non lo facessi, ma adesso ho proprio trasferito qui il mio ufficio, appena accanto all’ingresso, ai margini della tenda giallo ocra: non è stato bello vedere l’ispettore Michelin arrancare col bastone sul molo con sotto braccio due metri di Chabal in cartone. Ma lui sembra contento, il vecchio Seb, intendo. Abbiamo stappato un bel Calvados per festeggiare la novità.

Mi hanno buttato fuori perché non era previsto che durante un corso di perfezionamento andassi in giro in barca col solo scopo di cenare per i cazzi miei all’Ile de Sein, anzi sono diventato famoso perché ho pure rischiato di rimetterci la pelle, naufrago per un homard breton con patate e ortaggi e un bicchiere di Muscadet. L’ha detto la televisione: insomma non c’è scampo, coglione dall’inizio alla fine.

Mi sono lasciato crescere barba e capelli che spesso raccolgo in un codino disordinatamente preciso. Mia sorella dice che mette troppo in evidenza il mio naso: le ho risposto che il naso è l’unico difetto buono che ho. Ogni mattina indosso la maschera del sopravvissuto: sembra desti qualche interesse specie tra il pubblico famminile, o almeno sono sempre donne che chiedono di intervistarmi, mostrando inopinati moti di affetto nei miei confronti. Babette ogni volta ride divertita, mi passa accanto apostrofandomi “Eh…Michelin è sempre Michelin…”, sospira e se ne va sculettando, prendendomi amabilmente per i fondelli: forse ha capito, sicuramente mi vuole bene.

Risacca

Me ne sto a bere Kir a tutte le ore del giorno inseguendo senza affanno qualcosa di dolce, donne o bicchieri fa lo stesso: mi sento impregnato della puzza di alghe marce, di quel putridume da risacca che è diventato il mio odore, dopo quella notte, quando, come tutti pensano, sono naufragato per una stronzissima zuppa di pesce. Lascio fare, perché alla fine non me ne può fregar di meno. “Da uno a dieci, quanto te la godi, vecchio figlio di puttana?”. Routtier ha sempre questo modo delicato per testimoniare il suo affetto. Esito, e lui “Vieni qui al Monte qualche giorno, ci facciamo un bella abbuffata di ostriche e qualche boccia”.

Ostriche

Ecco, una sola cosa mi fa star male: non riesco più a mangiare le ostriche e i frutti di mare, proprio non ce la faccio.

Un commento

  1. Grazie. Soprattutto perché sembrerebbe di capire che non ho scritto castronate dal punto di vista velistico (o velico?), altrimenti forse me lo avrebbe fatto notare (oppure chissà ha taciuto per pietà). E’ curioso e divertente: la stessa cosa è successa col rugby e con la coltura delle ostriche. Nessun botanico ha avuto a che ridire sui crisantemi. Per ora. Quanto ai frutti di mare abbia pazienza: Michelin è tipo evidentemente complicato con percorsi tutti suoi.

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