Lo chef è un Dio, ho letto il libro di Ilaria Bellantoni


Ilaria Bellantoni

Primo.
Questo è un libro che si deve leggere perché è sempre sbagliato il rifiuto aprioristico culturale, fosse anche il Diario di Max Laudadio o un salmo vespertino di fra Vincenzo Pagano da Velletri.

Secondo.
Dopo la lettura si dimentica facilmente, come una puntata di Desperate Housewives. Puff, ed è svanito. Ossia non ti resta niente tranne la frase ventriloqua “Io odio cucinare” declinata dall’indicativo al trapassato prossimo ogni cinque pagine.

Terzo.
Brillante operazione dell’Ufficio Stampa di Carlo Cracco, come mi ha fulminato semiserio l’amico Alberto Cauzzi:-))

Lo chef è un dio

In sintesi, l’autrice-giornalista fa uno stage nella cucina di un grande ristorante milanese e ne traccia un ritratto di prima un po’ sputtanante, a seconda botta assolutamente innocuo e infantile chiamandolo Vito Frolla.
Altra premessa: lei non è la cattiva e Cracco (lo chef in questione) non è il buono ( o viceversa, eh!). Sono due facce di una stessa medaglia, perché lo star system produce numerosi psicopatici che lo alimentano proprio con la loro frustrazione. Molti la reprimono, altri la trasformano in odio, pochi ci costruiscono il loro successo. Ilaria si iscrive abilmente a questo gruppo. O almeno è autorevolmente candidata dopo vari tentativi.

Perciò indignazioni e solidarietà stile fatwa non sono infatti ascrivibili a questo piccolo caso para-letterario che a me ricorda invece Porci con le Ali di Lidia Ravera e Marco Lombardo Radice che nel 1976 mise in subbuglio una intera generazione cresciuta nel mito del maschio di sinistra diverso da tutti gli altri, additandolo invece come eguale se non peggiore e soprattutto incapace di comprendere la radicalità del mutamento dei costumi nel privato.

Anche allora si parlò di nausea, disgusto, i due autori furono messi sulla graticola dalla critica ufficiale. Ma il racconto pornosoft senza trama fece furore e i due autori ci hanno campato per il resto della vita senza scrivere altro di significativo e memorabile. Un buon 45 giri come si diceva prima.

Per questo non serve a nulla criticare indignati anche perché il cliscé è lo stesso: cogliere le contraddizioni tra pubblico e privato di un fenomeno molto trendy e diffuso, allora la politica (sì, lo so che sembra incredibile agli under 45), adesso l’alta gastronomia. Un segnale, questo, della vitalità del settore, avremo sempre più libri e film dietro le quinte così come è già capitato con la moda.

La copertina di Porci con le ali (Edizioni Savelli)

Non a caso, badate, uno dei pochi posti di lavoro capaci di imporre volontariamente una vita di duri sacrifici e uno stile di caserma a trentenni e ventenni: come il calcio, la moda, appunto, e poche altre cose. E l’autrice sottolinea molto questo aspetto giocandoci in maniera populista e destrorsa, socchiudendo la porta ad accuse di “sfruttamento”, “nonnismo”. Il tema sottinteso? “Ecco cosa piace alla sinistra, ristoranti costosi dove c’è lo sfruttamento delle aspettative dei ragazzi”.

Non si tratta di un instant book, il progetto è premeditato con largo anticipo, da una giovane mamma free lance dotata di buona scrittura, esondante di fantasie sessuali piccolo-borghesi (ossia trasgressiva a parole e mai in prima persona salvo poi esibirti perbenisticamente come scudo rassicuranti e codificate appendici di figli e marito).
E, infine, certamente ricca dell’inventiva tipica di questa generazione trentenne di precari che arriva spesso ad esercitare il mestiere in modo più vero di quanto non lo siano i giornalisti professionisti prigionieri nelle redazioni.
A Ilaria capita così di intervistare una decina di personaggi famosi e li cita un po’ tutti nel libro come quando si deve presentare un curricula. Il prototipo classico del nuovo millennio creato dagli editori che hanno mandato in pensione inviati speciali e redattori di esperienza.
I suoi capitoli su Ducasse e sui critici sarebbero infatti banali pezzi ordinari in un quotidiano o in un settimanale (Pronto? Ho questo, vi interessa?), ma qui sono invece abilmente costruiti come cornice del racconto la cui essenza è il suo stage. Una cosa simile capitata due anni fa alla nostra Monica Piscitelli da Gennaro Esposito, la quale però non aveva l’arrembante ambizione di scriverne un libro con retroscena piccanti sputtanando chi l’aveva accolta.

Luca Gardini

Dunque Lo Chef è un dio mette il microfono in cucina e, come in tutti gli ambienti di lavoro, ne escono di cotte e di crude, è il caso di dirlo. Una sceneggiatura da telefilm americano ben sostenuta, soprattutto nella prima parte, da una scrittura fresca. Ma non troverete niente di trascendentale, anzi si conferma la maniacale cura del dettaglio di una grande cucina ben organizzata che in realtà rassicura chi si siede al tavolo dopo aver letto questo libro. Certo, si dicono un po’ di cattive parole e si fanno sgambetti. Oddio, Ciroooo….
In questa sorta di grigio reality si intrecciano appunto le interviste, ricordini personali di famiglia, la noiosa storia della sua amica con il solito turpe uomo sposato che, come l’acidità nel vino, rinfranca la beva di un libro che altrimenti si rischia di chiudere a un quarto per la pochezza di contenuti.

Carlo Cracco e Davide Oldani

Il tonfo di stile di Ilaria è aver personalizzato i presunti sgarbi ricevuti, e questo le apre il fianco all’accusa di essersi voluta vendicare indebolendo oggettivamente la narrazione. Un po’ di immaturità, insomma. Si legge la voglia di farla pagare oltre che di raccontare.

In fondo le critiche a Cracco sono di essere troppo narciso, a Oldani di non averle dato credibilità perché, molto professionalmente, non ha voluto parlare del collega, e al sommelier Luca Gardini di essere malato di sesso. Capperi, vorrei vedere a quell’età se non ti svegli con gli ormoni a mille ogni mattina.
Insomma, niente di che.
Anzi, a uscire sputtanato forse è il solo Marchesi loquace e in pieno, solito, sbracamento da superego in dripping di pesce davanti alla prima venuta.

Altro elemento populistico del libro, stile Benedetta Parodi, è il penoso mestare nel sentimento di invidia sociale, anche questo tipico della piccola borghesia italiana, verso questi ristoranti dove i conti sono alti, sostenere quasi l’accusa che si tratta di un bluff nel quale non si dovrebbe cadere perché finti e pretenziosi.
L’incipit, ripetutamente ripetuto, è il non sapere cucinare, quasi un antidoto al veleno istillato nelle menti da parte di chi sfrutta la credulità della gente per ingrassare i propri conti.
E la piccola borghesia non deve saper cucinare perché è la base sociale di massa del fast food in ogni paese. La classe omologata per eccellenza, uguale in ogni dove.

Insomma, il gioco delle parti: sappiamo come l’alta ristorazione italiana sia quasi tutta a conduzione familiare, che la filiera gastronomica è uno dei fenomeni più importanti, uno dei pochi capaci di far muovere i giovani in giro per l’Europa, capace di salvaguardare l’agricoltura di qualità.

Anche l’autrice ne è in fondo ben consapevole quando riscrive il comunicato della Negroni 2009 sul fenomeno dei foodies: il gioco è fare a sponda non solo ai 4,5 milioni di appassionati censiti, ma anche rispetto a tutto il resto degli italiani di cui cerca di esprimere in qualche modo perplessità e luoghi comuni.

Benedetta Parodi

Molto abile, ad esempio quando dice che da diverse generazioni in casa non si cucina.
In questo Ilaria sta alla gastronomia come Berlusconi alle tasse. Costruisce la propria fortuna criticando quello su cui basa il suo successo.

Tutto qui? Yes, tutto qui, ma ben confezionato con quei furbastri di Feltrinelli che tentano di ripetere il colpo della Savelli.

Un libro che si presenta come contraltare al gastro system ma che in realtà, criticandoli, ne esalta i difetti con il destino di essere esso stesso parte del sistema fortificandolo e rassodandolo.

In fondo Ilaria ha bussato solo un po’ bruscamente alla sua porta, ora fa chic fare i duri perché non ci sono contenuti ma c’è posto per tutti: per lei, come altri che hanno fatto lo stesso.
Non c’è nulla di più permeabile al momento dell’enogastronomia: basta essere decisi, fare il muso duro e dire le cose con convinzione. L’approfondimento non è più cosa italiana, è roba vetusta.

Ed è questo lo scopo dell’autrice. Il colpo è andato a segno, senza neanche una rivelazione degna di nota o tale da cambiare un giudizio sui protagonisti.
Non è una inchiesta, non è un reality, non è un pamphlet, non è un racconto, non è uno studio: è esattamente quello che va di moda in Italia in questo momento, ossia chiacchiericcio non documentato, un salottino tv senza contenuti con l’ovvio  e conseguenziale attacco a Carlo Petrini e a Slow Food.

Consiglio perciò a Cracco e Oldani di ringraziare l’autrice per aver dato loro questa possibilità, di non scatenare inutili crociate e suggerisco a Ilaria di usare il capitolo di Marchesi come introduzione per la ristampa. Aggiungendo almeno un paio di scopate in cucina.

Ilaria Bellantoni, Lo Chef è un Dio. Feltrinelli, pp.188 euro 13,50

Nota di lettura. Quando bisogna scrivere di qualcosa che si è letto, mangiato o bevuto conviene sempre ripetere due volte prima di mettersi all’opera e mai agire d’impulso, ché l’effetto studiato dall’autore è sempre la cosa appunto di cui non si deve tenere conto. Alla seconda lettura, ammesso che la terminiate, avrete la precisa sensazione di non aver speso bene i vostri soldi.

Ps: in arrivo per Ilaria un invito da Daria Bignardi e la recensione favorevole di Carlo Cambi

PPs: “Io odio cucinare” negli anni 60 è liberatoria per la donna costretta in casa, nel 2010 è analfabetismo culturale. Oggi chi “odia cucinare” odia anche il prossimo.

37 Commenti

  1. Beh, la tua forte recensione per me è un buon motivo per leggerlo. Ho avuto la fortuna di essere da Esposito e penso sia un’esperienza che vorrò ripetere, se qualche chef vorrà. A La Torre del Saracino, si tratta di una cucina professionale gestita con casalinga semplicità. Nel senso buono. E’ infatti una cucina vera quella di Gennaro. Il clima è sereno e tutto sembra di incredibile naturalezza. Il pranzo con lo staff è un momento speciale. C’è da calarsi nell’atmosfera e assorbirne il meglio ponendosi con modestia tirando fuori anche il “decimo senso” per cogliere tutto. Di fronte a questi campioni bisogna disporsi con animo sereno, senza cercare di fare lo scoop o ecrcare il pelo nell’uovo. Il rispetto è la chiave, ma non solo di fronte a un dio. : )

  2. bellissima recensione, esattamente quello che pensavo, ma scritto meglio. Finalmente qualcuno che coglie nel segno e non fa il loro gioco (come ha detto qualcuno, il punto 2.0 della “crociata” squallidoborghese iniziata da striscia la panza).

    1. Ho comprato questo libro convinta che fosse realmente qualcosa di serio e interessante sul panorama gastronomico italiano ma mi ha fortemente delusa per i contenuti squallidi e di scarso appeal! Una vera cavolata !!!!

      1. Un libro che non ha nulla a che vedere con l’arte della cucina . molto piatto privo di senso. bha.. parere mio

  3. della serie una piccola Laudadio in fieri, aiutata da appeal charmant e collegamenti appena piu’ elevati del buon max.è facile sparare a zero tra l’altro con giochetti poco trasparenti, bisogno capirne a fondo di cucina, conoscere le persone e i territori, le loro storie, la fatica, non cercare il facile scoop “giornalaio” da microfono sotto il banco di cucina. non credo lo comprero’.

  4. scarterei l’ipotesi di opera letteraria . O è puro arrivismo da quattro soldi oppure erano tutti d’accordo per tirar su il fatturato della casa editrice e del ristorante, legittimo e intelligente sistema per fa quadrare 4 conti, quindi bravi, perchè bisognaarrangiarsi cari ragazzi. Il colpo sarà sicuramente riuscito da tutte e due le parti alla stragrande. Bravi! Bravi!

  5. il problema è che l’autrice si è permessa di “pisc….” fuori dal vaso , e ha scatenato l’ira dei soliti accoliti , poichè questo sparare contro è frutto dell’invidia di tutti quelli che si vorrebbero trovare in quelle cucine per lec… ulteriormente i didietro delle loro superstar o bruciapentole che dir si voglia,
    secondo me potrebbe essere considerato un bvuon inizio per far scendere quste grandi star dei loro luccicanti piedistalli , anche perchè fatto 100 , 95 sono quelli che veramente affollano i ristoranti e 5 sono i gastrofanatici che adulano i vari vito frolla .
    Questo è un lavoro bellissimo , ma la stampa lo sta facendo diventare impossibile ci fa correre dietro recension i ventesimi e blog togliendo tempo alla cucina e a quello che è il nostro vero lavoro , non tutti abbiamo 20 persone che mandano avanti i locali per dedicare tempo a rispondere e polemizzare con la stampa, quindi ben venga chi umanizza questi falsi miti

    1. Armando, però ogni tuo intervento, ovunque scrivi, batte sempre su questo stesso tasto

      “Gli chef dei grandi ristoranti sono tutti imbroglioni incapaci che vendono fumo. E quelli ai quali piacciono sono degli emeriti imbecilli che vanno nei loro ristoranti per moda e per sentirsi fighi”

      Lo abbiamo capito che hai un’altra idea di cucina (e tra l’altro mi dicono che nel tuo locale si sta molto bene). Però che ne diresti di rispettare anche le idee degli altri, nonché il lavoro dei tuoi colleghi? E magari dovresti anche porti il dubbio che se qualcuno è star e qualcun altro no, beh, magari un motivo concreto ci sarà

      1. forse io mi spiego male , non sono contro assolutamente ai “grandi chef” infatti sono assiduo frequentatore di ristoranti stellati amo ad esempio la cucina degli iaccarino,esposito,arnolfo,pinchiorri,savoy,caino etc…. personalmente non mangio assolutamente interiora e se vedi il servizio di bonilli su cracco sembra che abbia servito solo quello onestamente troverei difficoltà a mangiare in un posto con un menù del genere, quello su cui batto e che per una fascia di persone giornalisti in testa o sei bottura e simili o non sei degno neanche di menzione ovviamente questi chef sono bravissimi ,geniali nel loro lavoro ma sono anche bravi a cavalcare l’onda , ma sempre a mio parere negli annali rimarrà più il tortello di zucca di santini che l’animella sulla bietola di cracco senza nulla togliere alla genialità e all’inventiva di cracco,e poi visto che il 95% dei ristoranti vive produce lavoro e ricchezza (poca) anche non essendo sotto i riflettori sarebbe giusto da parte degli addetti ai lavori dare un pò di attenzione anche a questi ultimi , l’ultima cosa si diventa star quando hai il tempo di fare la star e puoi permetterti personale che manda avanti il tuo locale in tutto e per tutto al tuo posto non dimentichiamo che dietro a un grnade chef c’è sempre un gande secondo e se non ricordo male su questo argomento il gambero scrisse anche un articolo , grazie e chiedo ancora scusa se il mio intervento non era abbastanza chiaro

        1. Permettimi di confutare questa tua tesi. I giornalisti che si dedicano solo agli chef star? Ma quando mai? Ma dove? Su alcuni blog (e di certo non su questo). E di sicuro non sulla carta stampata. Mura sul Venerdì si occupa solo di trattorie, Raspelli sulla Stampa idem, con qualche eccezione di tanto in tanto. Vizzari sull’Espresso parla quasi sempre di ristorazione di fascua media, e solo ogni tanto di locali top. La rubrica di ristororanti di Repubblica per linea editoriale non recensisce locali di budget superiore ai 65 euro. Dente sul Messaggero e Zanini sul Corriere parlano quasi solo di locali di fascia media. Insomma, di cosa stiamo parlando, a chi ti riferisci?

          Anzi, se devo dirla tutta, sulla stampa italiana ciò di cui si sente la mancanza sono proprio recensioni e valorizzazioni dei ristoranti top

  6. Fra i tanti, forse troppi, post nei vari blog dedicati a questo libello, questo di Luciano mi sembra il più ragionato, il più serio, il più giornalistico.
    Altri sono frutto della “pancia” di chi li ha scritti oppure perseguono maldestramente il filo conduttore dello squallido pettegolezzo enogastronomico a tutti i costi.
    .
    Una cosa però la voglio dire anche io. Premetto che il paragone è senza dubbio azzardato e le rispettive tematiche non potrebbero essere più diverse. Però mi chiedo come faccia un grande Cuoco a mettersi in cucina una “giornalista” senza averne preventivamente valutato le capacità, la serietà e le finalità. Un po’ come Berlusconi che fa entrare in casa sua tante ragazze, senza sincerarsi preventivamente della loro effettiva maggiore età, rettitudine morale e onestà lavorativa.
    .
    Mi vien da dire che chi è causa del suo mal, pianga se stesso…..anche se poi mi sorge il dubbio che comunque, per talune menti commercialmente distorte, questa potrebbe essere intesa comunque come una pubblicità: “……purchè se ne parli…”
    .
    Ciao

  7. D’accordo quasi con tutto con l’analisi di Pignataro. Anche con il suo suggerimento di non scatenare inutili crociate, in un senso e nell’altro. Qui il mondo della gastronomia c’entra fino ad un certo punto. Ilaria è una giornalista di nuova generazione, solo molto più sveglia di altri, ma come gli altri figlia dei taglia e incolla televisivi e/o internettiani. Se fosse stata un maschio (ma solo perchè da noi il calcio femminile non fa audience popolare pari a quello maschile) avrebbe potuto chiedere uno stage in uno spogliatoio di campionato della serie A e scrivere con gli stessi effetti speciali « IL COACH E’ UN DIO». Il linguaggio sarebbe stato lo stesso, il sesso (ovviamente qui sotto la doccia) pure.
    Per questo, non toccatemi PORCI CON LE ALI. Su questo dissento dal Pigna: ma scherziamo? Due scrittori impegnati in politica che rimettono in discussione le relazioni tra amore, politica e sesso nella costruzione della propria identità (non propriamente quelle tra uno chef e il suo secondo in cucina o il sommelier, ecco) fregandosene della censura perbenista e di quella del proprio partito negli anni in cui su questi temi ci si svegliava tutti la mattina e si discuteva ad ogni latitudine del mondo occidentale. Un libretto che da quando è stato scritto ha venduto due milioni e mezzo di copie!
    «Lo chef è un dio» è un’abilissima operazione commerciale e di comunicazione, benissimo lanciata e organizzata, dove luoghi e persone sono facilmente intercambiabili. Ilaria inclusa, purtroppo per lei.

  8. Leggere questo libro, per una gastrovittima, è scontato, terribilmente scontato. Come quando diventi sommelier e tutti ti regalano un cavatappi. Sembra poi, e il post trasparente e articolato del Pigna lo confermerebbe, sembra che tutto sommato non ci sia nulla di che, né di nuovo, né di scandalistico.
    Sarebbe persino leggibile, tra le righe, seguendo addirittura diversi punti di vista.
    Il vero problema, da più parti sollevato, è perciò la sincerità delle persone e del progetto: l’autrice e i suoi corifei fanno di tutto per risultare antipatici. Come, a suo tempo, Laudadio ti piazzava in faccia il microfono, oggi si ostenta una contundente sgradevolezza, lavata con l’acqua un po’ sporca, o quantomeno non limpida, della presunta e ripetuta incapacità cuciniera ( son giovane e bella, ma mica casa e chiesa come la Parodi).
    Buttarla sull’antipatia sembra un valore, una necessità per distinguersi rispetto al popolo bue e così poco moderno. Mode, artefatti. A tal punto da suscitare tenerezza: a cosa ci si deve ridurre per vendere, per emergere. E venderà, magari, facendo leva su scopate e cagate diarroiche. Banalità, ma astutamente compiaciute, sgradevoli e antipatiche, come da copione. Tronisterie. In questo sono decisamente out, invidioso come uno scolaretto avvizzito.

  9. per 13,50 euro vado a mangiare nella trattoria a piedigrotta che consiglia Giulia oggi…….con sti libri hanno rotto le scatole……ogni giorno si sveglia uno e scrive qualcosa……ma dico……ma chi ce l’ha il tempo oggi di leggere????!!!!!!!!!

  10. totalmente, indiscutibilmente, perentoriamente e c…..mi mancano gli averrbi, d’accordo con marco.

  11. PPs: “Io odio cucinare” negli anni 60 è liberatoria per la donna costretta in casa, nel 2010 è analfabetismo culturale. Oggi chi “odia cucinare” odia anche il prossimo.

    Io aggiungerei: odia prima di tutto se stesso!!!
    O meglio….non sa amarsi!

  12. Luciano, grazie di aver letto la mia prestigiosa operetta. Mi hai fatto felice. Io odio cucinare, ma non sono una sciocca. In Italia è pieno di donne che non amano stare ai fornelli, fatevene una ragione. E non si tratta di “analfabetismo culturale”, preparare un minestrone non è proprio come firmare un’opera d’arte edddài. Abbiamo poco tempo a disposizione, figli di cui occuparci, un lavoro (precario) su cui concentrarci per evitare di perderlo, nemici/competitor virtuali e non. Me ne frego se non so tirare la sfoglia cantando. Contenti voi criticoni gastronomici di pagare 200 euro a cranio per una cena… Sempre ammesso che li paghiate, ovvio. Bon appétit!

    1. una donna che non cucina dimostra uno scarso amore per la sua famiglia.Cucinare per i propri cari è un atto d’amore.Dire che non si cucina per mancanza di tempo è un alibi per chi “Non tene ncuorpo e faticà”.Se ha trovato il tempo per scrivere,lo trovava benissimo per preparare una frittata per i suoi cari,qui non si parla di manicaretti ma di cose semplici fatte col cuore.Mi sono rotto gli zebedei di donne in carriera e figli cresciuti(male)a merendine e playstation……..concordo solo sull’ultima cosa che ha detto…….spendere 200 euro per una cena vuol dire buttare il denaro come spenderne 13,5 per un libro scritto da una donna che “odia” cucinare”.Magari se ne scrive uno di ricette me lo compro……

    2. A me non interessa affatto se lei sappia cucinare o meno, non mi sembra nemmeno importante ai fini del suo lavoro e del libro che ha scritto, salvo il fatto che, non richiesta, è lei a sottolineare continuamente questo fatto, una sorta di certificato di non appartenenza, un salvacondotto per poter arrivare ai suoi potenziali lettori, che mi sembra di capire lei ricerchi tra i duri e puri dell’intransigenza sulla cucina della nonna e del vuoi mettere un bel piatto di spaghetti. Secondo me sbaglia. La cosa sicuramente non la toccherà, ma credo che invece i suoi potenziali lettori sarebbero stati proprio i fighetti che lei sembra detestare, i soli a conoscer Frolla e tutti gli altri e a poterne eventualmente ridere, se caso.
      Invece, sempre se ce ne fosse stato bisogno, con le ultime tre righe della risposta poco sopra, lei si è giocata anche questi, gettando la maschera e facendo uscire tutto il suo livore, vecchio, scontato, opinabile, stantio, lontano, consunto, superato. Mi spiace, e dire che l’idea era buona.

    3. Tra l’arte dei vari Cattelan e un minestrone fatto come Iddio comanda, credo vinca il secondo su tutta la linea. Anche quella culturale. Anzi, forse soprattutto su quella culturale.

  13. Mi rammarico, ché a me sulle prime era anche passato via come un libretto godibile e scorrevole.
    A tratti inutilmente autoreferenziale, e di un’autoreferenzialità se possibile ancora più becera del mondo dei gastrocriticoni. A tratti fuori tema. A tratti semplicemente molto, molto superficiale. Ma godibile.

    Anche perché ha strappato più di un sorriso a me, che questo mondo lo bazzico da utilizzatore finale (occasionale) e che spendo qualche centinaia di euro per una cena nel noto ristorante di Modena, via Astro, dello chef Carmelo Fillo -presumibilmente Massimo Bottura. Ma anche nei mocassini coi gommini che fan tanto orrore a Vito Frolla. Così, per soprammercato, e non farmi mancare nulla. Non possiedo un’auto, purtroppo i bilanci -precari- li si deve far quadrare anche noi.
    Ma divago. Ha strappato un sorriso a me, dicevo, che questo mondo lo bazzico.
    A chi no, invece, interesserà poco. E servirà nel caso a corroborare i giudizi a priori, i rifiuti per partito preso, di chi non ha voglia di provare. Pazienza. Immagino siano due audience diverse, e che difficilmente i fan di cotto e mangiato prenotino da Vito Frolla, presumibilmente etc etc. E forse lei sbaglia audience, che erano questi snob fighetti qui i suoi lettori e non le casalinghe che vorrebbero odiare cucinare ma non possono, povere stelle. o forse è molto più furba e ci sta portando proprio dove vuole. Peccato comunque, e le spiego perché.

    E’ che quel che resta delle polemiche di questi giorni, è una battaglia tra due snobismi che sono veramente povera cosa.
    Quello dei gastrocosi, che si ritengono superiori e fanno branco -sistema, pardon, désolé- e quello al contrario dell’apologia dell’ignoranza. Perché Ilaria, lei che è persona non stupida, e si vede, si vanta apertamente della sua ignoranza, almeno in un campo specifico.
    Eppure si sente investita da una qualche autorità (maturata in uno stage di un mese, cinque giorni, mai vista nei registri degli ultimi due anni, poco importa) per non dico discorrere durante un brunch al Roialto, ma scrivere UN LIBRO sull’argomento. Buon per lei, anche di successo. A Novi, almeno.
    Lei è giornalista. Io di giornalismo capisco quanto lei di cucina, eppure mi sembra che il giornalismo sia un’altra cosa. Anche lei che odia cucinare saprebbe distinguere la cacca da un purée di Robuchon, quindi mi ritengo in grado di cogliere qualche grossolana differenza nel suo, di campo.
    A meno che il giornalismo non sia, appunto, un lieve volo sulla superficie delle cose cercando a tutti i costi la notizia. Uhm, forse in effetti mi sbaglio io. E Robuchon il purée lo defeca. Può darsi.

    E quindi giungiamo ad un bivio. Io propendo per un’ipotesi, e per questo scrivevo peccato.
    Il modo puerile in cui fomenta la polemica circa il suo libro, comparendo come una vera star in qualunque pagina del web che citi la sua prestigiosa, lascia un aut aut abbastanza netto.
    O lei è davvero la biliosa e livorosa ragazzina gâtée che tratteggia Cracco (quello di Bonilli, non quello di Bernardi che non la conosce – e stia tranquilla, ne esce maluccio pure lui), che pur non è affatto VF, oppure, al contrario, è furba e non certo stupida, gioca deliberatamente sulla sindrome da gatto spiaccicato da grande fratello per la quale tutto fa audience, lo sporconamento soprattutto e allora giù cristoni, che alla fine tiene famiglia e la tata di Berenice come la si paga, se no.

    In entrambi i casi, peccato, che l’acume sembra non mancarle, a quanto pare non la saggezza, nonostante l’età. E non si crucci, purtroppo per questioni anagrafiche posso ampiamente, di un bel lustro almeno, darle della milf attempata ;)
    L’onestà intellettuale, e non quella di non raccontare il falso, ma quella di non raccontare cose più o meno vere ma di scarso spessore, metterle tutte lì, perché alla fine la cucina tira, guarda la parodi, i ristoranti tirano, guarda anche striscia, e un Bourdain italiano non c’era e allora, wow, una niche nella quale accucciarsi… Ecco, quella manca.
    E badi, non giudico tanto il libro quanto l’affannarsi a rispondere ficcante in ogni sacrosanto blog quando uno tutto suo, per dir la sua, lei ce lo avrebbe anche. Ma quanti lo sanno?

    Se, delle due ipotesi di cui sopra la seconda, come temo, comunque gioisca: ha vinto lei. Io il libro ce l’ho. Berenice non morirà d’inedia. E di questi miei due centesimi poco le cale, quando ci sono quegli altri (13 euro e) quarantotto.

    Ci vediamo in corso Buenos Aires, che almeno me lo riporto a casa dedicato.
    Ho pagato, ciò diritto.

    1. Tutti possono scrivere quel che pensano sulla prestigiosa opera e io non ho il diritto di difendermi? Io non ho paura, Ciro. Già lo scrissi. Quindi l’aspetto giovedì 18 novembre alle 18.30 alla Feltrinelli di corso Buenos Aires. Lei e tutti gli altri. Ci sarà anche Berenice. Che ringrazia tutti.

      la Melissa P della Padella

      PS: voglio proprio vederla in faccia, lei che mi ha dato della Milf. Mi sembra strano che un minorenne abbia una penna così puntuta. Add su FB subito.

      1. 1) “Non polemizzo con i miei critici. Io sono un gentleman.” Umberto Eco

        2) Mi scusi, gentile Ilaria, ma paura di cosa? Carlo Cracco non appare come una multinazionale del tabacco; stonato sarebbe certamente l’epiteto del “Saviano dei Fornelli”, d’altra parte alle sue spalle c’è un editore come Feltrinelli.
        Non mischiamo per cortesia (lo dice un trentenne, più o meno precario, che prova ad esercitare la professione) il giornalismo con i fenomeni da baraccone. Un pizzico di sobrietà, por favor, anche nel rispetto del mestiere e dei “colleghi”.
        D’altronde, se tanto mi da tanto, Melissa P. è quel che è, e l’unica cosa di cui potranno rallegrarsi i nostri occhi è, probabilmente, quando la vedranno in reggicalze su un inserto del Corsera o de La Repubblica per promozionare il suo libro.
        La dieta in questo sicuramente sarà d’aiuto.

      2. Cara Ilaria, ha tutto il diritto di difendersi, preferirei nel merito, invece che attaccando beceramente quelli che spendono (o peggio non spendono) soldi per mangiare.
        Le scrivevo dei mocassini coi gommini non tanto per vantarmi del mio budget o delle mie giacche sartoriali con l’occhiello dietro l’asola del revers, quanto per chiarire che non sono un invasato monomaniaco e che capisco -e forse condivido- anche i suoi, di vizietti mangiasoldi, e non li uso per dare un giudizio nel merito su di lei.

        Mi permetto solo di appuntarle, e quello credo di aver fatto, che i cuochi che critica, uno come VF, per dirne una, il loro lavoro sembrano saperlo fare bene, e impegnarcisi.
        Mi è sembrato invece che il suo, di lavoro, se davvero era una inchiesta giornalistica che si proponeva di fare, sia stato condotto con una certa superficialità.
        Se invece doveva essere un libretto di intrattenimento, ho capito male io.

        Ad ogni modo, non vedo di cosa aver paura.
        Posso forse fare una decina di centimetri d’altezza più di lei, e qualche decina di chili in più, ma a cartoni io non mi esprimo, d’abitudine. E alla fin fine -spero per lui- nemmeno Oldani.
        Scongiurate le minacce fisiche, invece, anche in un ipotetico confronto verbale, guardi, gliela dò vinta volentieri. Io lavoro coi mattoni, non con le parole, quindi.
        Non vedo davvero di che aver paura. Forse sta peccando un poco di immodestia, a sentirsi così minacciata.

        Infine, vede, faccio il suo gioco, che la palla per la marchetta della presentazione gliel’ho alzata io. E le assicuro, avrà un sorriso, e un ‘brava Ilaria, me la fai una dedica?’.
        Senza nessun rancore.
        Sarà la sua carriera, letteraria e giornalistica, e il modo più o meno onesto e appassionato con il quale farà il suo lavoro, a giudicarla, mica io.

        PS
        ‘Voglio proprio vederla in faccia’.
        Quanto astio.
        E poi, me la prenderei più per l’attempata che per la milf.
        Del primo mi scuso: se davvero ad avere un lustro meno di lei s’è davvero minorenni, allora sbaglio mio, devo essere per forza più vecchio.
        Per quanto riguarda la milf, è vero che ci starebbe meglio un ‘on

        1. Cara Ilaria, ha tutto il diritto di difendersi, preferirei nel merito, invece che attaccando beceramente quelli che spendono (o peggio non spendono) soldi per mangiare.
          Le scrivevo dei mocassini coi gommini non tanto per vantarmi del mio budget o delle mie giacche sartoriali con l’occhiello dietro l’asola del revers, quanto per chiarire che non sono un invasato monomaniaco e che capisco -e forse condivido- anche i suoi, di vizietti mangiasoldi, e non li uso per dare un giudizio nel merito su di lei.

          Mi permetto solo di appuntarle, e quello credo di aver fatto, che i cuochi che critica, uno come VF, per dirne una, il loro lavoro sembrano saperlo fare bene, e impegnarcisi.
          Mi è sembrato invece che il suo, di lavoro, se davvero era una inchiesta giornalistica che si proponeva di fare, sia stato condotto con una certa superficialità.
          Se invece doveva essere un libretto di intrattenimento, ho capito male io.

          Ad ogni modo, non vedo di cosa aver paura.
          Posso forse fare una decina di centimetri d’altezza più di lei, e qualche decina di chili in più, ma a cartoni io non mi esprimo, d’abitudine. E alla fin fine -spero per lui- nemmeno Oldani.
          Scongiurate le minacce fisiche, invece, anche in un ipotetico confronto verbale, guardi, gliela dò vinta volentieri. Io lavoro coi mattoni, non con le parole, quindi.
          Non vedo davvero di che aver paura. Forse sta peccando un poco di immodestia, a sentirsi così minacciata.

          Infine, vede, faccio il suo gioco, che la palla per la marchetta della presentazione gliel’ho alzata io. E le assicuro, avrà un sorriso, e un ‘brava Ilaria, me la fai una dedica?’.
          Senza nessun rancore.
          Sarà la sua carriera, letteraria e giornalistica, e il modo più o meno onesto e appassionato con il quale farà il suo lavoro, a giudicarla, mica io.

          PS
          ‘Voglio proprio vederla in faccia’.
          Quanto astio.
          E poi, me la prenderei più per l’attempata che per la milf.
          Del primo mi scuso: se davvero ad avere un lustro meno di lei s’è davvero minorenni, allora sbaglio mio, devo essere per forza più vecchio.
          Per quanto riguarda la milf, è vero che ci starebbe meglio un ‘on’ impersonale che una prima persona. Io non saprei.
          Però pare piacente, e di sicuro è madre, quindi nella categoria dovrebbe rientrare senza possibilità d’appello.

          1. Chiedo scusa per il doppio commento, il primo è solo il secondo incompleto e eliminabile. Ho i diti tozzi, e i pulsantini sullo schermo dei telefoni Apple son proprio piccoli: a volte si sbaglia.

    1. Più che gastrofissati, siamo il tuo pubblico:-)
      Noi e gli chef internettiani che sono corsi a vedere se hai davvero fatto una monnezza uno di loro.

  14. a me pare un film già visto

    da una parte un professionista, e a detta degli esperti un grande professionista, che, come tutti, può sbagliare
    e dall’altra una oppurtunista che, di luce riflessa, vuole il suo quarto d’ora di popolarità
    e lo ottiene (non ci era riuscita prendendo in giro gli utenti di Linux http://www.openitalia.net/print.php?sid=393 ora il colpo va a segno con l’alta ristorazione, d’altronde Striscia docet)

    e la diffamangiatrice di chef usa metodi furbi, compreso fare la vittima della pericolosa e rissosa setta dei gastrofanatici (che dal canto loro sono tra gli esseri meno dotati di auto-ironia del mondo)

    che noia che barba

    anche l’aspetto estetico utilizzato per avere più visibilità, alla faccia delle persone serie che il successo cercano di guadagnarselo solo con l’impegno e con il lavoro (che palle, lo so, me lo dico da solo, sembro il grillo parlante)

I commenti sono chiusi.