Macchia dei Goti 2006 Taurasi docg


Antonio Caggiano (foto www.acquabuona.it)

ANTONIO CAGGIANO

Uva: aglianico
Fascia di prezzo: da 15 a 20 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno

Complice l’annata che inizia ad annuncirarsi straordinaria per l’Aglianico nelle sue diverse declinazioni (Taurasi e Vulture prima di tutto), The Fox ha colpito ancora e si riprende la cattedra.
Parliamo di Antonio Caggiano, soprannominato simpaticamente The Fox dagli amici di Taurasi per la sua capacità di raggiungere sempre e comunque l’obiettivo. In effetti aveva più o meno sessant’anni quando la sua vita è cambiata grazie all’aglianico, da geometra a vignaiolo, grazie al sodalizio mai interrotto con Luigi Moio: fu proprio lui a spingerlo a tornare, e così spuntarono le prima barrique in Irpinia, anno domini 1994.
Da allora Antonio ha inanellato un successo dietro l’altro, le sue batterie degli anni ’90 sono tutte straordinarie, poi qualche millesimo segnato da distrazioni e smarrimento, la crescita della cantina finalmente ormai a regime, la decisione, che a noi non è mai piaciuta troppo, di produrre anche Fiano e Greco acquistando le uve. Insomma un percorso lungo sedici anni segnato dalla coerenza e da un rapporto non facile, e direi ormai irrisolto, con il paese, con Taurasi. Un borgo che prima di Caggiano era solo il nome di un vino e niente più. Fu grazie ad Antonio che i primi appassionati dell’Aglianico decisero di visitarne una delle capitali.

A partire dal 2004 l’impressione di un colpo di reni, la riproposizione di grandi millesimi. Come questo 2006 davvero straordinario. Una continuità in cantina è data dall’impegno di Pino, il figlio di Antonio, ormai enologo ufficiale dell’azienda, sempre comunque impegnao ad interpretare l’impostazione data da Luigi Moio. L’esperienza degusativa ha ormai dimostrato che si tratta di vini di lungo corso: esattamente un anno fa stappammo il Macchia dei Goti 1994 ricavandone giovinezza e grandissima soddisfazione. Ma anche il Macchia dei Goti 1995 ha dato buone soddisfazioni.Direi che è questa la chiave per capire fino in fondo i vini di Moio, lasciar davvero passare molto tempo, almeno un deca, per dar modo alle diverse componenti del vino di riequilibrarsi. L’esperienza di questi primi Taurasi infatti è quella di una vinificazione per nulla invasiva, anzi.

Il 2006 è segnato da una burbera freschezza annunciata dal solito naso balsamico e di liquirizia che è marker di cantina, a cui subentrano le tostature del legno che si avvertono soprattutto quando il vino tende a riscaldarsi e che in questa prima fase mortificano una frutta già resa scarna dall’annata. Ad ogni buon conto il naso è cangiante, ricco, interessante, mai fermo e monocorde, preno di ulteriori interessanti evoluzioni. In bocca c’è il solito Aglianico, i tannini però, una delle ossessioni bordolesi di Luigi, sono come sempre ben risolti e vellutati, pur presenti non sovrastano il vino, ma lo sostengono insieme all’alcol e appagano il palato in cerca di sostanza. Come sempre è l’acidità il tocco risolutore di queste situazioni aglianicose, giustamente non contenuta, vivace, vibrante, capace di determinare l’allungo necessario.

Direi nel complesso un grande vino, capace di tenere desta la nostra attenzione nei confronti del Taurasi, sicuramente una delle migliori interpretazioni del millesimo.
Caggiano continua così a rappresentare la continuità, un progetto di vino assoluto e continuativo.
E noi ne siamo ben lieti.

Sede a Taurasi, Contrada Sala
Tel e fax 0827.74043
www.cantinecaggiano.it
Enologo: Giuseppe Caggiano
Bottiglie prodotte: 150.000
Ettari: 20 di proprietà
Vitigni: aglianico, fiano di Avellino, greco di Tufo

7 Commenti

  1. Non so se qualcuno abbia già definito il grande Antonio l’ “architetto del vino”, ma in ogni caso è una definizione che gli spetta di diritto. A incominciare da come “tiene ” le vigne” per finire alla meravigliosa cantina, che ti da la senzazione, visitandola, di essere in una catacomba paleo-cristiana di millenni fa, tutto è legato da un solo filo conduttore: l’azzeramento del parametro tempo. Uomo di grandissima esperienza, potrebbe scrivere tanti libri, su tantissimi argomenti, Antonio ha indicato ai taurasini la strada per lo sviluppo di un territorio, attraverso, mò ci vuole, il fare sistema di tutte le sue componenti. Qualche volta ascoltato, tantissime altre ignorato, a cominciare dalle istituzioni locali che molto spesso gli hanno creato non pochi problemi. I suoi vini sono, nel bene e nel male, originali. A parte un breve periodo, durante il quale si è fatto incantare anch’ egli dalle sirene del legno “a go go”, troviamo sempre delle cose molto originali nelle sue “creazioni”.

  2. Mi sono sempre chiesto: nel dualismo Caggiano-Molettieri, a parte le annate particolari, in generale chi vince come miglior produttore del Taurasi. Lello e Luciano cosa ne pensano? Abbracci.

    1. Impossibile una risposta, sono due stili opposti. Io sono, di gusto personale, più per Caggiano perché meno materico, ma sicuramente Molettieri interpreta con coerenza una filosofia anni ’90 senza trucchi e per questo va apprezzato

      1. Chiamato in causa dall’ottimo Enrico, anche se incontrovertibilmente offuscato dalla grande esperienza del Pigna, gli devo una risposta.
        Naturalmente sui vini incide sempre l’annata, quindi paragonando le stesse annate( si dice in orizzontale tra gli addetti ai lavori), concordo in pieno con Luciano sull’interpretazione più “cruda”
        che da Salvatore,rispetto a quella più “ruffiana” di Antonio. Ma questo è scontato per chi conosce i personaggi : Salvatore Molettieri incarna il “prototipo” dell’irpino purosangue, che non conosce mezze misure, poco avvezzo ai compromessi, testardo, grandissimo lavoratore , ruvido ma sincero.
        Antonio è l’antitesi di tutto ciò : ha girato il mondo, quindi è abituato a farsi “concavo o convesso” come sostiene (ma sostiene solo) qualche grande personaggio, riesce ad interpretare il pensiero dell’altro e a venirgli incontro, ha un’eloquio affabulatore che ti prende sin dal primo momento che gli parli. Un solo appunto a tutt’e due: evitiamo per il futuro errori fatti nel passato nell’eccessivo uso del legno, per il resto avanti così. Sono ambedue perfettamente funzionali al discorso di zonazione che cerchiamo di portare avanti da tempo : Antonio per l’interpretazione magistrale dell’areale di Taurasi e Salvatore per quella di Montemarano-Castelfranci.

  3. Dibattito molto circostanziato ed esaustivo. Seguo da qualche anno la produzione irpina e le sue anteprime (http://www.acquabuona.it/2010/06/anteprima-irpinia-in-mostra-il-territorio-irpino-e-le-sue-tre-docg/), peccato quest’anno non aver potuto degustare il 2006 di Antonio.
    Ho trovato invece in splendida forma quello di Salvatore e concordo in pieno sulle analisi e sui commenti fatti … anche se il termine “rufiano”, per quanto virgolettato, mi suona un filo eccessivo.
    Personalmente sono più affine alla filosofia di Molattieri, ma.ho conosciuto Antonio Caggiano ed è un personaggio che ti porta in viaggio con sè nelle sue digressioni e nei suoi racconti, specialmente se gioca in casa, in quella Cantina che gli fa da palcoscenico e che racconta molto di lui. I suoi vini non ti guardano mai con gli occhi dolci, ma ti danno sempre la sensazione che in loro trovi un momento di seduzione.

  4. ma infatti il mio bicchiere è esploso a paestum, mi son detto: epperò, bel taurasino questo 2006 (uffa ma chi l’ha detto che è una brutta annata? strana sì ma niente male..).
    ..e di chi è?
    caggiano!
    :O
    erano anni che un taurasi di caggiano non mi piacesse tanto.
    vedremo col passare degli anni che succederà.
    ma al momento pare un bel vino proprio, frutto integro e poco legnoso!

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