Mangiare in ospedale? Di peggio c’è solo il Fast Food che ti porta in ospedale


Dieta ospedaliera? L'immagine sorridente non corrisponde alla realtà

Abbiamo preso una immagine positiva per esorcizzare la realtà. Negli ospedali italiani l’attenzione alla dieta dei pazienti è ancora scarsa. E così la metà dei ricoverati rischia la malnutrizione, soprattutto quelli più fragili e anziani. Nel nostro Paese, infatti, appena il 10% delle strutture ospedaliere, concentrate in particolare al Nord, può contare su un servizio di nutrizione clinica. E mentre nei casi di eccellenza i malati possono usufruire di diete personalizzate, per la maggioranza dei ricoverati le pietanze sono più standardizzate e non sempre servite con le dovute accortezze.


Con il risultato che i cibi vengono «bocciati» in un caso su tre, secondo uno studio dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni. Altri dati indicano, inoltre, che il 40% dei pasti finisce nel cestino perchè poco gustosi, freddi o portati in orari inadeguati.

Nel 2010 la Conferenza Stato-Regioni ha approvato le linee di indirizzo nazionale per la ristorazione ospedaliera e assistenziale, messe a punto dal ministero della Salute, con l’obiettivo di migliorare la gestione la prevenzione e la cura della malnutrizione e per migliorare il rapporto con il cibo dei pazienti ricoverati. Ma ancora i passi avanti, complice anche la crisi economica, sono lenti.

«Bisognerebbe migliorare, nel nostro Paese, la cultura dell’alimentazione in ospedali, se ne ricaverebbero vantaggi per la salute dei pazienti e per le casse dello Stato, perchè in molti casi una dieta adeguata può ridurre le giornate e i costi di ricovero», spiega all’Adnkronos Salute Riccardo Caccialanza, responsabile del servizio di dietetica dell’ospedale San Matteo di Pavia e segretario nazionale della Società italiana di nutrizione artificiale e metabolismo (Sinpe), autore di uno studio che ha valutato oltre 1.200 pazienti dall’ingresso in ospedale alle dimissioni, confermando i dati di letteratura: dal 30 al 50% dei pazienti ricoverati ha già, all’accettazione, un rischio di malnutrizione. Un problema legato «sicuramente alle patologie- aggiunge l’esperto – ma anche alla scarsa attenzione all’alimentazione nell’assistenza territoriale e a casa. I pazienti anziani, che vivono con la pensione minima, fanno fatica ad alimentarsi bene».

Negli ospedali italiani l’attenzione alla dieta dei pazienti è ancora scarsa. E così la metà dei ricoverati rischia la malnutrizione, soprattutto quelli più fragili e anziani. Nel nostro Paese, infatti, appena il 10% delle strutture ospedaliere, concentrate in particolare al Nord, può contare su un servizio di nutrizione clinica. E mentre nei casi di eccellenza i malati possono usufruire di diete personalizzate, per la maggioranza dei ricoverati le pietanze sono più standardizzate e non sempre servite con le dovute accortezze. Con il risultato che i cibi vengono «bocciati» in un caso su tre, secondo uno studio dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni. Altri dati indicano, inoltre, che il 40% dei pasti finisce nel cestino perchè poco gustosi, freddi o portati in orari inadeguati.Nel 2010 la Conferenza Stato-Regioni ha approvato le linee di indirizzo nazionale per la ristorazione ospedaliera e assistenziale, messe a punto dal ministero della Salute, con l’obiettivo di migliorare la gestione la prevenzione e la cura della malnutrizione e per migliorare il rapporto con il cibo dei pazienti ricoverati. Ma ancora i passi avanti, complice anche la crisi economica, sono lenti.«Bisognerebbe migliorare, nel nostro Paese, la cultura dell’alimentazione in ospedali, se ne ricaverebbero vantaggi per la salute dei pazienti e per le casse dello Stato, perchè in molti casi una dieta adeguata può ridurre le giornate e i costi di ricovero», spiega all’Adnkronos Salute Riccardo Caccialanza, responsabile del servizio di dietetica dell’ospedale San Matteo di Pavia e segretario nazionale della Società italiana di nutrizione artificiale e metabolismo (Sinpe), autore di uno studio che ha valutato oltre 1.200 pazienti dall’ingresso in ospedale alle dimissioni, confermando i dati di letteratura: dal 30 al 50% dei pazienti ricoverati ha già, all’accettazione, un rischio di malnutrizione. Un problema legato «sicuramente alle patologie- aggiunge l’esperto – ma anche alla scarsa attenzione all’alimentazione nell’assistenza territoriale e a casa. I pazienti anziani, che vivono con la pensione minima, fanno fatica ad alimentarsi bene».

3 Commenti

  1. Ritengo che l’ospedale non sia un ristorante seppure una giornata di ricovero costi allo stato + di mille euri ma quello che è necessario essere curati bene e portare a casa la pelle il prima possibile.Ho trovato differenza da ricoverato nelle strutture ospedaliere tra sud e nord ,tra quelle private e quelle pubbliche,quello che è importante essere rispettati dal personale della struttura sia medica che paramedica, aggiunto anche da una buona dose di psicologia verso il paziente e un po di incoraggiamento, controllando anche che l’ufficio dove vie imboscato il personale adibito ed assunto per i diritto del’ammalato funzioni correttamente vigilando anche sul pasto dell’ammalato .

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