Manuel Lombardi e Le Campestre, la rinascita del conciato romano: una straordinaria favola moderna


Le Campestre – Manuel Lombardi

Le Campestre – Manuel Lombardi

di Dora Sorrentino

La storia della famiglia Lombardi e del conciato romano è una di quelle che senti più volte senza mai annoiarti, perché è talmente ricca di passione che chiunque la ascolti ne resta affascinato. Il conciato romano è il più antico formaggio italiano: si tratta di un pecorino aromatizzato con olio, aceto, peperoncino e pimpinella e fatto stagionare nelle anfore di terracotta e la sua tradizione risale a molti secoli addietro, anche se delle sue origini si sa ancora poco. Nasce nella provincia di Caserta, ci troviamo nel Medio Volturno, nello specifico a Castel di Sasso. Anche se oggi questo formaggio viene prodotto in buona parte dell’areale, è grazie alla famiglia Lombardi che si è riusciti a recuperarlo, o meglio lo si è sempre fatto ma non si sapeva che fosse conciato romano. Per conoscerlo in maniera approfondita, abbiamo intervistato Manuel Lombardi, rampollo della storica famiglia che ha dato dignità ad un prodotto tutto campano.

Quando nasce l’azienda agricola Le Campestre?

Tutto comincia nel 1984, quando mamma Liliana dà vita all’azienda agricola ereditata dai suoceri. La sua ispirazione nasce da un periodo vissuto precedentemente in Belgio insieme a mio padre Franco, dove si erano trasferiti in cerca di lavoro nel 1975. Lì i miei genitori vengono a contatto con numerose realtà, soprattutto agricole, e quando decidono di tornare in patria è proprio perché Liliana comprende che nella nostra terra si può fare molto, grazie anche ad una mentalità che ha acquisito all’estero. Questo formaggio veniva prodotto dai miei nonni e precedentemente dai miei antenati, si conservava già in queste anfore per averlo sempre a disposizione. Ciò che mia madre ha assorbito dall’esperienza in Belgio sono le tecniche di tracciabilità. Così quando torna in Campania, comincia ad osservare tutto ciò che realizzavano i nostri parenti, recupera tradizioni, prodotti tipici, addirittura riesce a restaurare mobili antichi che i miei nonni avevano barattato in cambio di altri beni. Da brava coltivatrice diretta quale è, comincia ad informarsi ed a formarsi per valorizzare i frutti del suo territorio. Negli anni Novanta frequenta un corso per trasformare l’azienda in agriturismo: dopo la lezione, in genere i corsisti portavano un po’ di loro prodotti e, oltre al nostro Casavecchia, una sera mamma Liliana porta il conciato. Uno dei relatori è Leandro La Manna, funzionario della regione Campania, che all’assaggio si rende conto che il formaggio gli ricorda qualcosa e da lì in poi guida Liliana nel recupero del conciato romano. Mia madre è una persona che ci tiene a fare le cose in regola, il suo motto è “o così o no”, e quindi fa di tutto per dare una certificazione precisa a questo formaggio. Nel 2000, grazie a Vito Puglia, il conciato romano diventa presidio Slow Food, il primo della provincia di Caserta, dopo un lavoro di ricerca sul disciplinare svolto insieme a mio fratello Fabio. Si comincia a partecipare ai primi eventi enogastronomici, come il Salone del Gusto, ma non è ancora tutto in regola, perché non si aveva la deroga, il casale non andava bene così strutturato e neanche le fuscelle in vimini per il formaggio erano ritenute “legali”.

Quando si arriva alla vera svolta del conciato romano?

Tutto avviene grazie a mio fratello Fabio, perché il conciato romano era un suo sogno. Fabio frequentava l’istituto alberghiero, ebbe una proposta per lavorare nella moda, andò a fare una sfilata ma si rese conto che quello non era il suo mondo. Quando tornò a casa, la sua frase fu “vorrei far sfilare il conciato”. Lui già dava una mano nella gestione dell’agriturismo, che era stato aperto nel 1995, poi comincia prima il corso di assaggiatori Onaf a diciassette anni e successivamente anche quello di Sommelier Ais. Attraverso il suo lavoro in sala, Fabio ha un contatto diretto con i clienti, parla del conciato e lo fa conoscere a tutti, anche ai ristoratori. Io nel frattempo mi occupavo di altro, avevo un negozio di informatica e nel tempo libero davo una mano in azienda. Inizialmente ero un po’ distaccato da tutto, se qualcuno mi chiedeva informazioni sul conciato, mi defilavo lasciando questo compito agli altri. Era Fabio il vero regista, tant’è vero che lo hanno sempre chiamato “il conciato di Fabio” e tutto questo solo per passione, una passione che ha coltivato si da giovanissimo, era il casaro più giovane d’Italia. Purtroppo un brutto incidente in campagna ce lo ha portato via a soli ventidue anni. Per noi familiari è stato un momento durissimo e molto difficile, ci siamo completamente fermati. Per nostra fortuna, in casa è arrivata Eulalia, all’epoca mia fidanzata ed oggi mia moglie, che aiutava mamma Liliana in cucina. È grazie a lei che la storia del conciato romano è ricominciata, ha ereditato il sogno di Fabio e lo ha portato avanti. Io ci ho messo due anni per capire che quella era anche la mia strada. Eulalia, come me, aveva altri sogni: io da piccolo volevo fare il dentista, lei dopo il matrimonio voleva aprire un negozio di fiori, ma abbandona tutto per dedicarsi completamente a Le Campestre. La svolta avviene nel 2009, quando il conciato romano diventa un formaggio in piena regola e si ottiene la deroga per le fuscelle di vimini e le anfore. Grazie alla nascita di mio figlio Francesco, ho capito che la mia vita è al servizio di questa azienda.

Com’è nata la figura del contadino 2.0?

È nata perché per portare avanti la tradizione e far parlare del conciato, bisognava imparare a comunicare. La prima mossa è stata quella di creare un menu parlante, fatto solo di presidi Slow Food, che Eulalia raccontava a voce in sala. Un altro passo importante è stato quello di raccogliere le mail dei clienti per parlargli in maniera specifica del conciato e creare un rapporto diretto con loro attraverso i canali social e multimediali. Tutto questo non solo per parlare del conciato, ma per far conoscere la provincia di Caserta troppo spesso maltrattata dai media. Lo scopo è tutt’oggi quello di trasmettere il concetto che la Campania è un territorio ancora “felix”, cercando di concretizzare un altro sogno di mio fratello Fabio: ridare dignità al contadino casertano. C’è stato bisogno di dire anche tanti no, perché il concetto di agriturismo più diffuso purtroppo è errato. Quindi abbiamo detto no ai prodotti commerciali e questa è un’idea che deve essere portata ovunque, per dare il giusto riconoscimento ai prodotti del territorio.

Cosa sta facendo la famiglia Lombardi per il futuro?

La nostra attività con l’agriturismo procede. Oggi sono presidente degli Agriturismi Campani e della Coldiretti Caserta, stiamo facendo dei corsi per cuochi contadini e agri-osti, anche in inglese, soprattutto per il turismo enogastronomico. Non è facile, ma bisogna fare rete per vincere. Mi auguro che altri produttori si aggreghino a noi, per aumentare la produzione del conciato romano visto che è sempre più richiesto e creare un piccolo consorzio per soddisfare le esigenze di tutti, utilizzando sempre il metodo artigianale di produzione. In questo modo dovremmo riuscire anche ad ottenere una stagionatura del formaggio più lunga, che per ora non riusciamo a realizzare perché viene subito venduto. Attraverso l’esempio del conciato romano, insieme ad altri prodotti cerchiamo di far conoscere la nostra terra.

7 Commenti

  1. purtroppo la nota dolente e’ il prezzo scandaloso ( 50 euro al Kg. fino a 3/4 anni fa, ora nn so) di questo formaggio…per carita’ sara’ unico, superlativo, ecc, ecc, ma un prezzo del genere non ci siamo proprio, di questi tempi poi nn ne’ parliamo..

  2. Recentemente ho apprezzato il conciato romano dell’Azienda Agricola Le Campestre, prodotto di nicchia, quasi unico nel suo genere; come per il formaggio di fossa o per il Formai de Mut etichetta blu è necessario qualche sacrificio al momento dell’acquisto, sacrificio ampiamente ripagato all’assaggio, il conciato in questione era un dono e ho goduto due volte…

  3. Marco sto formaggio l’ho scoperto 17 anni fa, mi ricordo benissimo Fabio che perla di ragazzo, quando era ancora pressoche’ sconosciuto al grande pubblico, all’epoca costava 25/30 euro al Kg un prezzo giustissimo…poi, come tutte le cose che si sputtanano, ha fatto il grande “balzo” di prezzo, una vera e propria speculazione…

  4. Si specula in borsa non sulla pelle degli artigiani che a stento riescono a pareggiare i costi per prodotti unici e fatti iin piccolissima serie mentre sono i prodotti in serie fatti in milioni di pezzi che anche se hanno margini di guadagno bassi moltiplicati per i grandi numeri finiscono per creare grande ricchezza ai titolari.FM

  5. Raddoppiare un prezzo gia’ alto ma giusto e’ una speculazione o come vogliamo chiamarla “piccola rapina” sulla pelle dell’acquirente, che se ne produca anche 1 solo pezzo…

I commenti sono chiusi.