Nicolas Joly, l’uomo de La Coulèe de Serrant


Nicolas Joly

Chissà quanto tempo rimane a Nicolas Joly  per accudire le sue splendide vigne .

Il globe trotter più bio-dinamico del pianeta , impegnatissimo a portare per il mondo il metodo e il pensiero di maggior tendenza degli ultimi venticinque anni ha fatto proseliti ovunque grazie  a fascino e carisma, ma soprattutto dimostrando che i risultati della ricetta Steineriana applicata sull’appellation Savennières ha pochi eguali al mondo.

I terreni della denominazione Savennières tracciano una linea lunga una decina di chilometri lungo il corso della Loira in corrispondenza di due località ( La Possonière e Bouchemaine ) che devono la loro notorietà mondiale e il conseguente inserimento nell’agenda dei conoscitori dei grandi vini di questo pianeta grazie proprio alle etichette di Nicolas Joly.

Dei circa 350 ettari che delimitano la possibilità di coltivazione di chenin nell’appelation solo un terzo sono  produttivi e la resa per ettaro è considerata tra le più scarse tra i vini bianchi francesi.

Un ingresso ai vigneti.

Le caratteristiche uniche della conformazione territoriale costituita essenzialmente da scisti  prendono localmente diversi nomi a seconda della prevalenza di elemento acido o basico e la scarsa profondità di terreno che copre le rocce rendono particolarmente favorevoli le condizioni per la produzione di vini bianchi di alta qualità.

La cultura è la storia hanno indicato come unico cèpage compatibile con le condizioni terreno/clima della zona il vitigno chenin, in grado di produrre vini che genericamente si esprimono nel bicchiere su toni mielosi e floreali . La struttura, l’acidità, il frutto e un leggero ritorno amarognolo si combinano armoniosamente e sottolineano una classe e una complessità originalissima per un vino bianco della Loira.

Le due appelations di grande rilievo sono denominate Roche aux Moines e Coulèe ( vallone ) de Serrant  e si evidenziano nel panorama della zona come speroni rocciosi protesi verso il fiume.

Su questi terreni la biodinamica è stata applicata già dall’inizio degli anni ottanta e i risultati straordinari hanno contribuito alla diffusione della filosofia applicata un po’ ovunque nel panorama vinicolo. Oltre ai sette ettari della denominazione più nota , essendo considerato il vino de le Coulée de Serrant tra i più grandi di Francia , anche i tre ettari di Clos de la Bergerie, situati all’interno della denominazione Roche aux Moines hanno contribuito alla diffusione mondiale dei vini di Nicolas Joli, anche in funzione di un prezzo più che accettabile.

Ancora più economico l’altro Savennières tout court , che è commercializzato sotto l’etichetta  Les Vieux Clos.

Si tratta nel complesso di una quindicina di ettari da cui si ricavano mediamente 45-50.000 bottiglie annue discretamente rintracciabili in prestigiose enoteche o ristoranti di fascia medio alta.

Tuttavia non ritengo opportuno bere le Coulèe de Serrant al ristorante.

Ciò perché questo è un vino non si apre agevolmente neanche a provocarlo con una frettolosa caraffatura.  Ormai le esperienze plurime ci dicono e ci confermano che questo vino non ti consente di apprezzarlo a breve distanza dall’apertura. Genericamente moltissimi vini appena vengono stappati già fanno intuire quale sarà l’esito della bevuta. In questo caso il lungo periodo da dedicare all’ossigenazione sarà quanto mai opportuno e significativo, anzi direi indispensabile.

Leggendo sui sacri testi che questo è un vino da aprire e caraffare 24 ore prima del suo consumo potremmo pensare ad una forzatura, ad una enfatizzazione spropositata, invece qui non si scherza, qui veramente il vino continua ad evolversi, a sgranchirsi , a stiracchiarsi come un gatto pigro e per nulla voglioso di fare le fusa.

Ma un vero amante dei grandi vini, invece di abbandonare a se stessa la caraffa per una notte, dovrebbe attingere alla caraffa periodicamente, diciamo ogni ora, prelevando qualche centilitro di liquido e cercare di individuarne le diverse sfumature, le diverse sensazioni che si avvertono in progress. Alla fine della giornata si avrà un bloc notes pieno di appunti che sembrerà un diario di viaggio. Ed un vero viaggio sarà stato, attraversando giardini di fiori e frutti, cogliendo le profonde mineralità della roccia.

Questo è un vero vino da guardiano del faro.

Un vino lento,  paziente,  che ti chiede considerazione , calma e attenzione , da bere da solo, senza condizionamenti, senza premura,  seduto per ore a fissare l’orizzonte dell’oceano dalle coste bretoni, un bicchiere ogni tanto,  con il ritmo della luce del faro che gira, che torna, con uno sguardo periodico da rivolgere alle spalle, non per mancanza di fiducia, ma solo per ricordarsi da dove scende la Loria.

Tanti pensieri, tante cose in mente che scivolano via, dalla bottiglia al bicchiere, che a volte sembra mezzo vuoto, e a volte mezzo pieno.

Nicolas Joly

 gdf

GDF

18 Commenti

  1. Ciao Roberto. Il vino che hai scelto stavolta è certamente di non facile fruibilità e, soprattutto, di comprensibilità. Così dicasi per il produttore, come tu stesso hai magnificamete tratteggiato il personaggio. In Italia lo si potrebbe paragonare ad uno Josko Gravner o uno Angiolino Maule, altri due significativi esempi di epigoni del professor Rudolf Steiner. La stessa uva, con la quale viene confezionata la bottiglia del Clos de la Coulée de Serrant cioè lo Chenin blanc localmente chiamato Pineau Loire, è tutta particolare. Con essa, infatti si producono anche vini semplici e popolari come il Vouvray e il Saumur, dal gusto abboccato e addirittura frizzante. Solo in questo caso e pochi altri, come nel Savennières Aoc Clos du Papillon di Baumard, si raggiunge la massima qualità di questo vino, che solo dopo molto tempo dalla stappatura fa emergere aromi di frutta secca, fiori di tiglio, miele, mela cotta, pesca,nocciole e sfumature di arancia. Abbacci.

    1. “Savennières Aoc Clos du Papillon di Baumard”
      Questo mi manca, mi metto alla ricerca. Merci!

  2. E’ sorprendente come in questa stessa pagina convivono due post che sostanzialmente trattano lo stesso argomento : la caratterizzazione dei vini. Ancora più sorprendenti sono le diverse risposte che i produttori francesi (in questo caso Nicolas Joly) danno rispetto a quelle dei produttori calabresi del consorzio di tutela del Cirò. I primi tendono a valorizzare i loro vitigni ed i relativi vini seguendo la strada della naturalezza, del biologico e del biodinamico che conferiscono ai vini così prodotti caratteri di originalità, di scontrosità che per essere attutita ha bisogno di tempo e quindi di evoluzione. I secondi, invece, proprio per aggirare questo “carattere” forte del gaglioppo, vitigno difficile al pari dell’ Aglianico, hanno modificato il disciplinare di produzione della doc Cirò in senso estensivo, permettendo così oltre al vitigno-base, l’utilizzo di altri non specificati , ciò al fine di rendere più piacevole al gusto, più “ruffiano” un vino che fa della connotazione autoctona la sua arma vincente. Ma non è che state andando contro qualsiasi logica che non sia quella commeriale del breve termine, cari amici calabresi?
    Ma voi pensate che il Guardiano scherzi? O lo dica per costruirsi il personaggio?
    Posso testimoniare di persona delle interminabili ore trascorse davanti alla scaraffatura di un Jerez del ’77 a verificare minuto per minuto per cogliere le labili sfumature evolutive nel corso della nottata, con uno sguardo sull’orizzonte dei noccioleti di Forino, un bicchiere ogni 10 secondi, con la luce giallognola dell’illuminazione pubblica e con uno sguardo alle spalle, giusto per capire da dove potrebbero venire gli uomini dell’Interpool…

    1. :-))

      Dobbiamo riprovare con tre Gintonic per vedere l’effetto che fa in terrazza e girati verso la collina…Attrezzati, mi raccomando.

      Fever Tree Tonic , Martin Miller, Handricks, Tanqueray ten. In quest’ordine .

  3. Una raffinata pagina di pura poesia…enologica ! Complimenti GdF! Tra le varie recensioni lette sul le Coulèe de Serrant , ritengo,senza ombra di dubbio, la migliore! Certamente un viaggio affascinante tra sentori e profumi che con estrema calma e pazienza ti accompagna in una lunga e attenta riflessione che ti ripaga del tempo dedicato. Un esempio di come ogni tanto dire “addà passà a nuttata” rende il perdurare del tempo lieto e piacevole.Complimenti.

  4. Un paio di anni addietro chiusi di domenica l’Osteria pur di andare a sentire una sua conferenza in Puglia presso l’Azienda Vinicola Cefalicchio.
    L’occasione era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire: avere ad un tiro di schioppo un simile personaggio non è facile, specialmente al sud.
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    La mia curiosità verso la biodinamica e la mia buona volontà ed apertura intellettuale sono bastate per il 90% della conferenza. Giunti al momento di ascoltare dell’influenza dello zodiaco sul vino (badate bene, non della luna, proprio dello zodiaco) ero sul punto di scoppiare.
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    Perchè un trinaricciuto comunista come me proprio non ci arriva ad ammettere che quell’ammasso di stelle lontanissime da noi e lontanissime fra di loro, che ad esempio formano la costellazione del toro, possano influire in maniera determinante sul prodotto vino…..o no ???
    .
    Ciao

      1. Non penso ci sia un “trucco”, penso solamente che un ammasso di stelle distante miliardi di anni luce, raggruppate dell’uomo in ipotetiche costellazzioni figurate, abbia influenza nulla sul ciclo della vite e del prodotto vino.
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        Ciao

        1. Anch’io preferisco pensare che sia merito nostro e non delle stelle se facciamo un vino buono, Lalou insegna.

    1. In riferimento ad un assaggio recente di un impressionante Viognier (Gerges Vernay, Rodano sett. di cui ha parlato di recente il GdF ) e la coscienza che fuori dalla Borgogna solo la Loira riesce ad avere una storia bianchista importante…

      Della serie, so ancora leggere la bussola… :-)

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