Notti del rosato. I produttori bevono i produttori e piccola inchiesta sensitiva: perché i ristoratori non lo propongono?


Monica Piscitelli

di Monica Piscitelli

Due novità nell’ambito delle Notti del Rosato che ha allargato, quest’anno, anche alle Bollicine: le degustazioni di rosati francesi a cura di Giovanni Ascione, nel tipico suo stile disarticolato e ricco di spunti di riflessione e studio, e le due degustazioni dedicate ai produttori. Una formula del tutto nuova che la sottoscritta, con Francesco Muci, co-coordinatore per la Puglia della guida Slow Wine, ha provato ad interpretare al meglio mettendoci un po’ di fantasia. La traccia su si è lavorato: “far bere ai produttori i vini degli altri produttori, regalar loro un’oretta di aggiornamento e gioco prima dell’inizio della kermesse, selezionando e proponendo a due voci sei etichette”. Ne è venuto fuori un gioco di società, la società di chi fa vino.

Francesco Muci

L’idea di “i produttori bevono i produttori” ha certamente nelle pagine di questo sito la sua origine. Più volte si è provato a ficcare il naso nella faccenda “che bottiglie si trovano sulla tavola di chi le bottiglie le produce”, eppure non si è del tutto esaurita la curiosità. Parlo di curiosità, ma la questione è, invero (penso di interpretare anche il pensiero del promotore della degustazione, con questo), qualcosa più che un capriccio. E i risultati delle due serate parlano chiaro in questo senso.

La sala degustazione

Vestite rigorosamente le bottiglie in degustazione, i produttori, si sono spogliati in qualche modo della paura di un giudizio sul proprio prodotto e lavoro, e sono stati al gioco: si sono espressi, con tutta la voglia di capire e farsi capire che hanno potuto, sul vino proprio e altrui. Si è giocato insieme a provare a individuare le provenienze, i vitigni, le tecniche e cosi’ via. Alla fine, inconsapevolmente posando la prima pietra di un nuovo dialogo tra “avversari”, tra un commento dell’ottimo Muci – che si è occupato della descrizione della realtà produttiva di Puglia e Abruzzo – e quello mio, che mi sono dedicata alla Campania e alla Basilicata – sono venuti fuori una serie di spunti interessanti sulla identità del rosato, sulla sua ragion d’essere nella gamma aziendale, sul modo di concepirlo e realizzarlo da parte dei produttori, sulle prospettive della tipologia e sulle armi a disposizione per renderlo più attrattivo. Insomma: tutti hanno contribuito, con tutta la capacità di confrontarsi e dialogare che è in genere considerata merce rara tra gli imprenditori del Sud. Per questo, e per la fiducia che ci hanno accordato, li ringrazio di cuore.

La notte del rosato avvolge Fabbrica dei Sapori

Come è andata
Le degustazioni si sono aperte con alcuni dati e un breve resoconto sullo status quo del rosato che ho chiamato “Piccola indagine sul rosato che va e che non va” e che è il frutto di una piccola indagine che ho condotto nei giorni precedenti la kermesse tra appassionati, ristoratori, enologi, agronomi, sommelier, degustatori, sommelier, giornalisti e produttori. Un piccolo gruppetto (che ringrazio per la sollecita risposta), composto da uomini e donne, ha risposto a un questionario sulla percezione della tipologia rosato, con i suoi punti di forza e debolezza, e sulla sua visione dell’offerta campana in particolare. Senza velleità di scientificità, ecco i risultati della “indagine”.

Monica Piscitelli e Francesco Muci durante la degustazione

La piccola indagine
LA VERSATILITA’ A TAVOLA e LA FRESCHEZZA/ BEVIBILITA’ (al 50% ciascuna) sono i PUNTI DI FORZA del rosato per gli intervistati. Solo per uno di loro, il COLORE.
Sui MOTIVI DELLA DEBOLEZZA la risposta è stata più articolata, gli intervistati hanno preferito spiegarsi, compilando sotto l’opzione “ALTRO”, uno spazio apposito. Emerge cosi’ che la PRODUZIONE NON E’ ALL’ALTEZZA, che, secondo gli intervistati, non sempre sono sfruttati i VITIGNI GIUSTI e che la tipologia soffre un difetto di COMUNICAZIONE. Una piccola parte confluisce sull’idea che il rosato è percepito come ANONIMO. Il fatto che i rosato possa dare l’IDEA DI UN VINO FEMMINILE, invece, non ha avuto il consenso che mi aspettavo. E questo sfata un primo falso mito sui motivi dello scarso gradimento del rosato.

Vigna Villae, Irpinia

Quello del capitolo CONSUMO rappresenta un difficile passaggio. Piu’ della metà NON CONSUMA affatto rosato e dichiara di PREFERIRGLI sia bianchi che rossi.
Tra chi lo beve c’è un gruppo di INDEFESSI sommellier, o degustari, che lo consumano per lo più per RAGIONI DI LAVORO.
Per lo più questi non superano i 5 bicchieri al mese, solo un paio arriva a 5-15.
In ogni caso, la cosa sorprendente, è che i suddetti indefessi, per lo più, NON LO PROPONGONO AD AMICI O PER LAVORO (questo dato ha fatto emergere la necessità di un’azione mirata da parte dei produttori su ristoratori e sommelier, quelli che sono gli influenzatori del pubblico). Altra cosa interessante è che il rosato è dagli intervistati, se e quando bevuto, consumato con gli AMICI o a CASA. Quindi prevale una dimensione sociale di questo genere di vini.
Poi si passato ad esaminare le ragioni della presenza del rosato nella GAMMA AZIENDALE. 1/3 degli intervistati ha detto che è un COMPLETAMENTO desiderabile,
1/3 una pura esigenza COMMERCIALE e per 1/3 potrebbe essere (ma non è detto che sia) l’ESPRESSIONE DI UN VITIGNO O TERRITORIO.
Per fortuna nessuno ha dichiarato che è UNA TIPOLOGIA INUTILE e neanche LO SPAZIO PER UNA PRODUZIONE SCADENTE.

I colori del rosato

Tutti, a parte i semplici appassionati intervistati, conoscono bene L’OFFERTA CAMPANA di rosati o VORREBBERO CONSCERLA MEGLIO.
Non si registrano, però, buone notizie sul fronte della valutazione della PRODUZIONE della CAMPANIA. Questa è considerata dalla metà degli intervistati BUONA e dalla metà MEDIOCRE. Interrogati su quali siano i TERRITORI più vocati per la produzione di rosati, escono fuori bene l’IRPINIA (mediamente 7 +), la COSTA D’AMALFI E COLLINE SALERNITANE (mediamente 7), seguite dal SANNIO e CASERTA (con una maggiore variabilità delle valutazioni per quest’ultima). MEDIOCRI LE ALTRE produzioni: NAPOLI, Campi Flegrei e Vesuvio, oltre al Cilento.

Francesca Salerno, Casa di Baal

Parlando dei VITIGNI più vocati alla produzione di rosato, meglio dell’AGLIANICO fa solo il PIEDIROSSO. Una sorpresa è la buona considerazione di cui gode il TINTORE. Una risicata minoranza segnala PALLAGRELLO E CASAVECCHIA.
Sono quasi tutti d’accordo che la produzione campana è SOTTOSTIMATA, 1/3 poi, approfondendo, dice che è IN CRESCITA, 1/3 che è IN RITARDO e 1/3 che non SI DISTINGUE AFFATTO.
Per quanto riguarda la POSIZIONE DELLA CAMPANIA, per nessuno la regione è leader. Alcuni non si sono espressi, ma chi lo ha fatto la vede preceduta in classifica dalla PUGLIA (della quale abbiamo Francesco Muci ha proposto in degustazione tre etichette), dai rosati del GARDA O e della LOMBARDIA in genere (penso a Corvina Veronese, la Rondinella, il Groppello e il Marzemino ma anche ai rosè di Franciacorta e Oltrepò Pavese) e da quelli dell’ ABRUZZO (due Cerasuolo sono stati proposti in degustazione) rispetto al quale segue o precede. Qualcuno, una minoranza, segnala ALTO ADIGE (pensiamo a Lagrein e Schiava) e SICILIA (pensiamo a Nero d’Avola, Nerello Mascalese e Syrah).
In generale, come valutazione finale, dei vini rosati campani si segnala la PIECEVOLEZZA, ma anche che sono WORK IN PROGRESS, il fatto che in sostanza siano ancora IN CERCA DI IDENTITA’.

Stefano Garofano, azienda Monaci


Due considerazioni

Il vino rosato ancora arranca, schiacciato dal dualismo bianco – rosso. Questo sebbene tutti gli dimostrino simpatia e sostegno. Scongiurata, a principio 2009, l’ipotesi paventata all’Ue di autorizzare la mescolanza di vini rossi e bianchi per la produzione di rosati (cosa che resta ed è tradizionalmente fatto in Champagne per questo genere di prodotti che è sempre più caro dei Blanc de noirs o dei Blanc de blancs) i rosati si possono realizzare solo per pressatura diretta di uve rosse giocando su modalità e tempi di macerazione delle bucce, o per pressatura di uve bianche e nere in uvaggio. Il colore (è emerso chiaramente dalla chiacchierata con i produttori), è un aspetto sul quale si appunta molta attenzione. Forse anche troppa e spesso con una scarsa considerazione perfino della migliore espressione del vitigno utilizzato e del progetto che il produttore ha per il suo vino. Spesso per valorizzare questo colore si utilizzano bottiglie trasparenti, in barba alle regole per un sano e duraturo invecchiamento. Dal vetro bianco il rosato ammicca al cliente.

Libero Rillo, Fontanavecchia

Ma il colore non è solo un fattore attrattivo, dicendo molto di più sul corredo polifenolico del prodotto finale, oltre a evidenziare derive ossidative o altri problemi dovuti alla impostazione del lavoro stesso a monte.
E’ noto che il vino rosato, ha il suo antesignano nella Lacrima, cioè quella prima porzione di mosto, general¬mente di colore gialliccio ottenuta dalla compressione naturale delle uve nei palmenti, prima della pigiatura da parte dei «calcatores».
Plinio lo chiamava «PROTROPUM» e Columella lo definiva «MOSTUM LIXIVIUM>. Era considerato un prodotto per gusti raffinati, molto delicato, destinato agli ospiti di riguardo. La Lacrima veniva tenuta a parte o mescolata con miele per essere servita come aperitivo, oppu¬re passava nei dolii per la fermentazione insieme al mosto «calcatum».

Gerardo Vernazzaro e Antonio Pesce

Dal web, i dati
Il rosato riscuote un crescente successo soprattutto nei mercati del NORD EUROPA, in cui il consumo di rosé sta sostituendo sempre più quello della birra durante gli happy hour pomeridiani.
Di grande interesse è il mercato britannico che per il rosé italiano rappresenta l’8,9% dei vini complessivamente esportati. L’Italia è al 2° posto come Paese fornitore alle spalle degli Stati Uniti e davanti alla Francia.
Dati Vinexpo/IWSR (International Wine and Spirit Record) di marzo 2009 che stimano i mercati mondiali del vino fino al 2012 proponendo una visione del uturo per il mercato del vino a dir poco brillante, affermano che il CONSUMO di vino rosé nel mondo dal 2003 al 2007 è cresciuto del 13%, per un quantitativo di circa 219 milioni di casse.
Per il 2012, secondo Vinexpo/IWRS, l’interesse del vino rosé potrebbe crescere ulteriormente (a ritmi del 3,3% all’anno), superando le 257 milioni di casse.
Cioè una quota pari al 10% delle bottiglie complessivamente commercializzate.
Ciò vuol dire che le casse di vino consumate nel Mondo diventeranno 2.6 miliardi nel 2012. Di queste, 257 milioni di vino rosato. Mentre 1.3 miliardi saranno di vino rosso, 1 miliardo di vino bianco. (E’ bene ricordare che erano 2.46 miliardi nel 2008, contro le circa 2.3 nel 2003).

 

Valle dell'Asso, Galatina


Note di degustazione

I vini della prima serata
Cantine Barone e Fontanavecchia (Campania), Cantine del Notaio (Basilicata); Mille Una, Leone De Castris (Puglia) e Pasetti (Abruzzo).
Commenti: si va dal vino piacevole rosa quasi confettato di Cantine Barone alle interpretazioni quasi rosse, cupe e complesse al naso di Leone de Castris e Cantine del Notaio. Che il rosato non sia un vinello lo dimostrano questi due ultimi vini insieme al prodotto di Mille e Una, con i suoi 14,5 gradi d’alcol. Tutto frutto.Si passa per una interpretazione più nei canoni del rosa e con una buona eleganza di Fontanavecchia.Merito del freddo del Sannio.

 

Vincenzo Mercurio


I vini della seconda serata

Martino (Basilicata), Reale e Tenuta del Cavalier Pepe (Campania); Santi Dimitri e Cantine Monaci (Puglia) e Torre dei Beati (Abruzzo).
Commenti: una minore variabilità dei colori in questa serata, ma una gran voglia dei produttori di chiacchierare su i vini tendenti al “giallo” dei francesi e sui vitigni piu’ adatti alla vinificazione in rosa. Tra i campioni, ugualmente, si va dal rosa tenue leggermente salmonato del vino di Milena Pepe (spiccatamente minerale) a quello cerasuolo degli altri, con varie tonalità. Le sfumature del vino da Montepulciano di Torre dei Beati vanno nel violaceo. Il Tintore marca il bicchiere di Reale, seppure presente al 20%, mentre quello di Martino evidenzia al naso una piccola percentuale di Malvasia Bianca. La Puglia con i Negroamaro si fa rispettare in questa batteria. Tanta acidità e frutta nera.

19 Commenti

  1. Ottimo report Monica,
    Sono in sintonia su molti punti messi a fuoco sul tema rosè, tipologia che mi sembra ingiustamente soffrire sulle tavole della ristorazione italiana. Sulle tavole di casa non so, ma per quanto attiene le carte dei vini della la ristorazione di ogni segmento qualitativo salta all’occhio la sproporzione inspiegabile , anzi, la quasi totale assenza di vini rosati.
    I ristoratori dicono che non c’è richiesta, ma è la solita storia, se un prodotto non ce l’hai come fai a sapere se lo vendi o non lo vendi?
    Il vino al ristorante è ancora una questione maschilista?
    Accidenti! Ma lasciamo scegliere alle signore cosa bere!
    Sono sicuro che la sensibilità andrà spesso in quella direzione.
    Però anche i produttori facciano il loro passo concreto e diano la sensazione di impegnarsi in quella direzione con convinzione e non solo per riempire il listino con una voce che alla fine fa più comodo ai piazzisti del vino, quelli che devono avere in gamma tutto il possibile da proporre ad ogni possibile cliente, non importa di quale livello qualitativo.
    Posso solo aggiungere che vivendo non lontano dalla Provenza, ho notato che lì il mondo va al contrario, i prodotti ci sono, e sono ottimi , e si vendono di conseguenza alla grande, anche a prezzi insospettabili altrove.
    Quindi signori, lasciate scegliere il vino alle signore al ristorante, il consumo di rosè salirebbe sicuramente, così profumato di fiori rossi e sensualità.
    Però attenzione, perché se in carta non ci sono prodotti di buona qualità, giustamente la scelta potrebbe cadere su uno Champagne Rosè, con gli effetti conseguenti…

  2. Brava Monica, davvero un bel pezzo, l’ho letto d’un fiato, con tanti spunti di riflessione.

    @Guardiano del Faro: l’osservazione sui ristoratori non la condivido, gli si può imputare di tutto, ma che il vino rosato soffra tantissimo la mancanza di domanda a tavola, fatta le dovute eccezioni, è vero.
    In Italia poi manca il fenomeno culturale così com’ è in Francia, in estate si beve tantissimo se non quasi esclusivamente rosato, ovunque. Non ho mai capito se sono stati bravi i produttori, i media o che altro, fattostà che lì è uno status e che a quanto pare non sembra soffrire affatto la crisi.

    Da noi, a parte gli storici strenui difensori dell’identità in rosa, De Castris su tutti, c’è sempre stato, diciamolo, poca ciccia in materia. Quasi sempre solo torchiatura, ma fesso mi ci puoi fare una volta..!

    E’ bene l’inversione di tendenza, però per favore, adesso non scateniamo la caccia al rosato (come per esempio in Campania sta succedendo, non sempre con successo, con le bollicine), sennò con la capacità che abbiamo di programmare e valorizzare il nostro patrimonio viticolo…

    1. Caro Angelo, mi fa piacere far due chiacchiere sul tema rosè. E’ un argomento molto sottovalutato e io devo ancora capire che senso abbia avere in carta 200 rossi e 200 bianchi, 100 bollicine e 50 vini dolci e… 1 o 2 rosè… Guarda che di carte così, in proporzione, ce ne sono quante ne vuoi ad ogni latitudine.
      Così tanto da far due chiacchiere prima di cenare, ma credi che abbia ancora un senso avere in carta centinaia di prodotti invenduti o invendibili e poi sul tema rosè mettere dentro i primi due che capitano tanto per non offendere qualche cliente strano?
      E ovvio che sia però indispensabile che l’oste scenda in pista a proporre qualche cosa di diverso che risvegli dalla monotonia, ma senza prendere per il c. il cliente, voglio dire, io abito a Sanremo, e di turisti francesi ne piovono a dirotto, e lo sanno tutti qui che quelli bevono rosè, però gli danno mediamente di quelle cose che non darei neanche…
      Poi quelli se tornano a casa e bevono Bandol rosè, Palette e qualche Cote de Provence esclamando … Ah! Les italiens…

      1. anche per aver abitato per dieci anni in costa azzurra e quindi avendo ben presente le tematiche esplicate dal guardiano, quoto il medesimo in tutto e per tutto e lo straquoto nella parte che riguarda la mancanza di sensibilità dei ristoratori.

        1. Ne più ne meno di tanti altri pregiudizi sulle mancanze dei ristoratori, ma di vini rosati che vanno ossidandosi a poco più di un mese dal fiorir dell’estate ne vogliamo parlare….

          Nessun vino è perfetto, ma di delitti col rosato se ne consumati…

      2. Purtroppo storie locali come quella che ci racconti ce ne sono a bizzeffe, io faccio delle mie esperienze pregresse in materia un piccolo spunto di riflessione: in enoteca non mi sono mai fatto mancare il rosato, ma lo comprava 1 su 10. Al ristorante, alle primissime esperienze, non mi sono mai fatto mancare il rosato, 1 su 10 forse lo beveva, ma solo se fosse costato non oltre le diecimilalire. Oggi che ho la fortuna di lavorare in un posto che mi permette di non farmi mancare il rosato, di ogniddove, continua a berlo (ne ho tre a bicchiere, tre – diversi dai primi – mezze bottilgie, una ventina in carta), 1 su 10. Non sarà un dato statistico fondamentale, ma questi sono “i miei” ultimi 12 anni e ne fanno, per me, un riferimento.

        La Grande Notte rimane un gran bell’evento, nessun può dire che non abbia suscitato un certo pensierino in molti produttori, ma sono questi, capaci di offrire al 100% un prodotto espressivo, contenuto economicamente (se si ragiona, in generale, sul problema prezzo poi non la finiamo più) e che non sia banale come il brett in certi vinacci spacciati per biodinamici?

  3. Su questo blog leggo il racconto di Gigi Rizzi:
    Erano le dieci di mattina e Brigitte Bardot mi chiese: “The o caffé?”. “Un bicchiere di rosé, grazie”

  4. Bellissimo post, veramente interessantissimo. Complimenti.
    Rispondo in fretta perchè poi inizio a servir la cena, spero di esprimermi in maniera sufficentemente chiara, ma son costretto ad andar per schemi e pensieri veloci, magari non compiutamente espressi.
    .
    Secondo me il rosato sconta anni ed anni di produzioni raffazzonate, con vini dal gusto e profumo improbabile, vagamente difettati e organoletticamente non piacevoli. Questa cosa, unita ad una grande ignoranza dei consumatori sul come il rosato viene prodotto, unita ad una generalizzata ignoranza e mancanza di voglia di investire in etichette e conoscenza di noi ristoratori osti enotecari, ha creato il mostro.
    .
    Posso parlare per la Puglia con maggiore compiutezza, ma ve li ricordate i rosati presentati a Radici quest’anno ? Nord Puglia molto poco espressivi, ad esser buoni. Salento con i rosati a base di negroamaro un po’ meglio, ma peggio di altre annate.
    .
    Parlando delle produzioni penso che un grosso problema risieda nei Produttori. Forse non hanno capito cosa il consumatore richieda in termini di profumi, colore, nitidezza interpretativa. Penso, forse mi sbaglio, che siano loro stessi a pensare il rosato come un prodotto di serie B…..e da questa considerazione le conseguenze son scontate. Inoltre bisognerebbe “costringere” Produttori ed Enologi a bere bene……così avrebbero un termine di paragone ben preciso fra il loro vino e la produzione di riferimento da inseguire, raggiungere, superare.
    .
    Io in carta ne ho 6, credo di buon livello. Se spiegati per bene, serviti alle giuste temperature, abbinati non forzatamente, riscontrano un buon successo di vendite. Vendite che spesso sono con un ottimo rapporto qualità/prezzo che in questo periodo di crisi è molto benvoluto dal cliente al tavolo.
    .
    Ciao

    1. Con sei rosè di buon livello sei sicuramente tra i primi dieci locali in Italia sul tema. :-)
      Ah, non dimentichiamoci anche qualche spagnolo degno come Lopez de Heredia, e non mi posso neppure dimenticare che in un posto che fa di nome e cognome Carme Ruscalleda ( tre maccaroni michelin ) , il sommelier non sapesse neanche di cosa si stava parlando. però non consoliamoci di mal comune… possiamo far meglio degli spagnoli… e senza troppi sforzi.

      1. Lopez è straordinario, ma in Italia non si arriverà mai a maturare una simile concezione di rosato così evoluta
        Questo sento di poterlo affermare con effimera certezza

    2. beh, vigna, se ancora hai in testa di trasferirti in francia per fare un ristorante italiano … con quei presupposti in carta ti vedo stellato nel giro di un paio d’anni :-))

    3. Quoto completamente il mio amico Luciano, ed aggiungo con la mia ventennale esperienza di produttore di rosato, i miei ricordi degli anni 90 in cui il mercato ci costringeva pure a spersonalizzare quel poco rosato che si vendeva imponendoci colori ed odori, chi ha resistito oggi ha buone prospettive di mercato. comprendo meno il grande interesse del mercato per le bollicine rosè, molte delle quali improbabile e costose.

  5. Soltanto appassionati competenti indefessi amanti del vino come voi potevano apprezzare un pezzo “Divina Commedia” come questo. Mi fa molto piacere. Grazie a tutti. E ringrazio il mio compagno di vaiggio Muci (oltre che il Pigan che una ne fa e cento ne pensa perchè sennò si annoia- è gemelli!) del quale a parte la capacità di tenere la sala ho apprezzato (piccola digressione al femminile) gli occhi come due olive nere! Un vero uomo del Sud. : )) Secondo me, per entrare nel merito,. va spiegato che il vino rosato non nasce dalla mescolanza di bianco e rosso. Lo sento ripetere sempre piu’ spesso. Credo che molti rpoblemi di vitigni poco conosciuti, tipologie poco affermate e aziende piccole e in cerca di consenso si risolverebbero con la mescita al bicchiere. E poi con il prendi e porta a casa la bottiglia. Non sarà elegante secondo i canoni ingessati del Belpaese, ma se aiuta a sconfiggere le nuove fobie dell’etilometro e la crisi economica…Infine: mi onora l’attenzione di tanti bei giovanotti impeganti nel vino, dalla Francia alla Puglia passando per Capri. Vi premierò : ) …coinvolgendovi tutti nella mia prossima indagine. Credo che possano andar bene 350 domande a risposta a aperta. : ) Un abbraccio jazz da Perugia!

    1. Maffi già starà pensando di mettere su un appuntamento a lume di candela… 350 domande sono giusto due ore e mezza, aperitivo al bar con veduta compresa, in uno stellato decente!!

      1. effettivamente……. la cosa è già all’ordine del giorno da un po’. ma , ci scuserete, resta segreta fino a quando avremo tutte le autorizzazioni del caso ,anche perchè sarà cosa molto impegnativa. sarà questa volta un sogno di FINE estate nel mese dei ripensamenti ( cit guccini ), alla fine piu’ o meno.
        sarà ad inviti ma per tutti quelli che vorranno esserci . ( richebourg prepari idocumenti ). escluderemo solo scroccatori professionisti e loro accoliti ).
        ma, scusate, LA CASA DI BAAL produce rose’ ?
        no perchè devo trovare un modo professionale per invitare la signorina di cui vedo ribadita la foto in alto. ma che le è successo, francesca, con quell’espressione un po’ cosi’ ? sapeva di tappo ? non si preoccupi : se verrà al nostro festone terro’ in fresco una bottiglia di rosè, pero’ selosse. le passerà d’incanto quell’aria un po’ immusonita…..per non farle farle fare il viaggio da sola puo’ portare anche un componente della sua famiglia. non se ne dolgano papa’ e mamma ,simpaticissimi nelle foto, porti la sorella :-))) .

        non serve altro, grazie. di pomodoro ho gia’ quello che mi rifornisce casa del nonno 13 .

        @brava pischi : bel post.

  6. @ GdF – Lopez de Heredia di Vina Tondonia nella Rioja va sempre bene, anche se in quella zona un altro rosado superiore lo produce la Bodegas Muga. A proposito poi dei rosati francesi di Bandol, Bellet, Palette ed altri provenzali, secondo me sono sopravvalutati. A parte il grandissimo Còtes de Provence di St.Baillon e pochi altri della zona e qualche rosé del Languedoc-Roussillon, tipo Costière de Nimes di Tuilerie, non vedo questa grande qualità rosastica.
    @ Monica volevo sapere se il vino lixivium era un rosato ante-litteram, oppure era frutto di una prima spremitura vergine, col mosto già rosso che poi veniva servito agli ospiti di riguardo come aperitivo e accompagnato col miele? Un’altra cosa ancora: tu fai parte, se non sbaglio dela categoria degli haustores, è vero?Grazie. Abbracci.

I commenti sono chiusi.