Ora De Conciliis fa il Primitivo


L’avventura è iniziata da poco, precisamente nel 2001 quando uscì la prima vendemmia etichettata di questa azienda piantata nella terra rossa tra i comuni di Sava, Lizzano e Maruggio. Bruno De Conciliis ancora una volta non ha frenato la sua esuberanza e ha inseguito il sogno del Nuovo Mondo nel cuore del regno del Primitivo di Manduria, il rosso ricco di antociani e di frutta, le due caratteristiche che più affascinano il nostro produttore cilentano. In riva allo Jonio Bruno ci è arrivato con l’amico di sempre, Saverio Petrilli, insieme crearono il vino cilentano partendo da Zero grazie alla complicità di Vinny d’Orta trapiantato a Monaco di Baviera. L’incontro con Dario Cavallo e Michele Schifone, e via libera ad una incredibile batteria di vini in cui non è difficile riconoscere lo stile. L’Aglianico, si sa, fa soffrire, esige pazienza, si ritrae prima di manifestarsi, è lento in campagna e ancor di più in cantina. Esattamente il contrario del Primitivo, la prima uva, appunto, ad essere vendemmiata alla fine di agosto, quando l’Aglianico è appena nella fase finale dell’invaiatura. Sono numerose le variazioni sul tema in cui rientra anche il Negroamaro nel Capitolo Laureto. Andando verso Est è venuta la suggestione dell’Oriente nel dare il nome all’azienda e, ovviamente, al vino di punta, lo Shahrazad realizzato con primitivo coltivato a Torricella con il classico sistema greco ad alberello molto diffuso nelle zone calde e asciutte perché la vite accovacciata sul terreno ha bisogno di meno acqua e conserva l’umidità molto meglio che sulla spalliera dove il vento e il sole l’asciugano dalla brina notturna in pochi minuti. La resa per ettaro, pensate un po’, è di 15 quintali, l’appassimento avviene sulla pianta prima della raccolta. Dopo una lunga macerazione, quasi un mese, a contatto con le bucce, il vino si eleva in barrique per circa un anno e mezzo. Il risultato non è una molotov, ma poco ci manca: l’alcol viaggia sopra i 17 gradi, quasi 18, il bicchiere è possente, l’idea compiuta di come debba essere un vino moderno del Sud: ricco di colore, profumato, caldo, evoluto. Penso che l’esplorazione in questa direzione di Bruno si possa ormai fermare qui, hic sunt leones, grazie alla combinazione tra il vitigno e il clima del terroir di Manduria. Un bicchiere di un’annata straordinaria per chi ama la frutta e la concentrazione qual è stata la 2003 ha poche possibilità di essere speso: pecorini stagionati, carni rosse alla brace e, soprattutto, da meditazione, insieme a un gruppo di amici, proprio come piace bere al Sinbad della viticoltura meridionale.