Palermo, il libro Selezione dei Vini rossi siciliani
di Francesca Tamburello
Nella splendida cornice di Villa Zito –sede della Fondazione Del Banco di Sicilia, è stato presentato il volume “Selezione dei Vini rossi siciliani” progetto editoriale frutto della collaborazione tra la Domenico Sanfilippo Editore che pubblica il quotidiano La Sicilia e la rivista Enos bimestrale di cultura dei vini dell’Isola diretto da Dario Pennica .
Sono state selezionate 149 etichette a fronte di ben duemila campioni censiti da cinque professionisti: Caterina Petrosillo, Maurizio Mattarella, Salvatore D’Agostino, Maurizio Artusi e la sottoscritta Francesca Tamburello, coordinatrice e presidente del Comitato di degustazione.
Il volume, con una tiratura di 10mila copie, sarà in vendita con il quotidiano e nelle edicole siciliane, costituendo non solo una interessante miscellanea ed un vivace commentario al meglio della produzione siciliana,ma soprattutto una specie di contezza dello stato di salute della viticultura isolana, evidenziandone luci, ombre ed ogni imprevedibile new entry. I parametri dei degustatori sono stati permeati dalla ricerca della struttura e dalla piacevolezza complessiva, intrise da un’ attenzione viscerale alla leggerezza della forma ,idonea a veicolarne i forti contenuti propri di un “Continente del vino” qual è la Sicilia nel suo Dna.
E’ quindi la passione del linguaggio”semplice” a differenziare la comunicazione del vino in questa “ennesima” guida alla scoperta della realtà siciliana, ed è il senso del messaggio da trasmettere a chi vorrà sfogliare e leggere la nostra Selezione dei vini rossi ….tenendosela amorevolmente vicina.
La lingua del vino ovvero qualche suggerimento per un uso consapevole…
Nei confronti della cultura del vino intesa come attenzione volta alla conoscenza più approfondita di ciò che versiamo nel nostro bicchiere, assistiamo senza ombra di dubbio a fenomeni macroscopici per l’entità dell’interesse messo in gioco.
Non è banale constatare come su Google-motore di ricerca per Internet, la parola “vino”sia oggetto di ben 4 milioni e 614 citazioni, a fronte di 4 milioni e 620 mila relative a Dio…
Pertanto, con un certo allarme, proprio in riferimento alla lingua del vino, colgo una sorta di compiacimento collettivo per una tendenza non solo all’esterofilia(fenomeno oramai dilagante di erosione della dialettica italiana) ma soprattutto ad un narcisismo estremista, attiguo ahimè ad una studiata complessità saccente!
Questo tema era stato affrontato, è il caso di tenerlo a mente, da Luigi Veronelli e prima ancora da Mario Soldati, personalità lungimiranti alle quali si deve gran parte dell’evoluzione del lessico enologico.
La loro profondità d’intenti ha generato quel certo antropomorfismo –(pensiamo al termine corpo del vino)tutt’oggi modo indispensabile nella disamina della degustazione, ma ciò avveniva attraverso bagagli culturali cospicui ed un esprit de finesse forse ineguagliabile.
Sono considerazioni che inducono, con un sottile rammarico, a riflessioni sulle derive decadenti di tanti wine writers,appiattimenti logorroici, omologazioni ed altro,.. anche peggio…spesso fuorviante da quella che è l’anima del vino…
Non ci convince l’uso smodato di aggettivi inflazionati, che vanno dal fruttato, al minerale all’interessante, come se il reiterato ricorso ad essi costituisse una spiegazione dovuta per tradurre semplicisticamente la personalità del vino laddove è il calice ad essere protagonista della nostra dissertazione linguistica…
“Le parole sono pietre”, ci ricorda Carlo Levi,e padroneggiarle non è da tutti…
Il valore della terminologia ha una specificità sui generis nella letteratura del vino,proprio perché la materia di cui si compone lo rende una bevanda dalla sensazionale varietà e quindi non come le altre.
Il gergo cosiddetto”enologico” deve fare i conti dunque con la carica esuberante ed emozionale trasmessa in ogni degustazione che si rispetti… Ritorniamo a recuperare il valore delle parole senza indulgere in equilibrismi di maniera: se un vino ci piace (e ce ne sono tanti..) non sarà difficile dare un significato al nostro piacere,..magari legandolo ad un impalpabile ricordo di precedenti bevute condivise o semplicemente ad una situazione di godibile stato d’animo.
Solo così renderemo viva, ed anche più semplice nella comunicazione ai neofiti, questa materia affascinante.
Un commento
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Riflessioni certamente condivisibili, cara Francesca, anche se, come affermava proprio il grande Gino Veronelli, “descrivere il vino è come descrivere la musica. Bisogna, ahimè, usare un linguaggio specializzato”. Concordo: è il tempo di cominciare a descrivere le emozioni del gioioso liquido con una comunicazione meno tecnica, meno gergale e più evocativa, umana, semplice. Ciao Francesca! Un bacione!