Ristorazione in crisi? No, non va tutto bene. Soprattutto nei piccoli centri


Non va tutto bene

di Marco Contursi

In un pomeriggio di sabato uggioso, dopo la telefonata di un amico con un locale che mi parlava degli incassi da chiusura dei feriali delle ultime due settimane, con casse non rimpinguate dalle recenti feste natalizie,  mi metto a leggere, un po’ qui e un po’ lì, articoli di food e tra chi definisce conveniente per la pausa pranzo un locale dove mangi per 50 euro a persona, chi consiglia bottiglie da 200 e passa euro come fossero coca cola, e chi dice di abbinare cocktail alle pizze ( ora non più champagne ???) mi rendo conto che qui o c’è gente del settore che vive su Marte o fanno finta di non sapere.

Ma sapere cosa? Che stiamo già con un piede in una Crisi Importante e che certi discorsi valgono solo in pochissime città o per pochissime realtà.

A Salerno ci sono pizzerie che fanno anche meno di 10 coperti a sera in settimana e sono più di quelle che uno crede, in provincia le chiusure sono all’ordine del giorno, e non parlo solo di pizzerie. Si dice che cresce l’occupazione ma nessuno dice che propongono stipendi che non ci campi se non aiutato dai genitori, e che a volte non possono darti di più perché anche per i titolari le entrare sono all’osso. E non solo nel food, provate a chiedere quanto prende una commessa di una profumeria, o quante boutique hanno chiuso nell’ultimo anno.

Alcuni centri commerciali enormi come le Cotoniere a Salerno oggi sono desolatamente vuoti, con le saracinesche abbassate che sono pari a quelle aperte, e tanti piccoli negozi nelle città hanno abbandonato l’attività, come ad esempio le salumerie.

Quotidianamente ricevo messaggi di ristoratori o produttori che mi chiedono se posso aiutarli raccontando di loro o presentandogli potenziali clienti perché hanno parecchio invenduto.

Non va tutto bene

Non va tutto bene

Certo Napoli va, come pure Milano ma è storia a sé, e la Campania come pure l’Italia è fatta anche di Benevento, Salerno, Avellino, Teramo, Ancona, Ragusa, e delle zone interne, e di quelle zone costiere, dove, tolto il turismo estivo, restano pochi residenti e le attività di somministrazione soffrono, e con loro chi li rifornisce. Restare nei piccoli paesi? Si se hai uno stipendio statale, no se devi vendere per campare, perché per vendere servono clienti e in un paese di 2 mila persone, quante pizze vendi in una sera o quanti vengono a comprarsi un maglione??

Il caro vita incombe, il caffè e il cornetto sono arrivati a 1,20 e 1,50, quasi ovunque, e le persone rinunciano all’effimero, come ad esempio mangiare fuori e la colazione al bar diventa una tantum. Anche le Luci di Artista, un tempo periodo di grandi affari per i locali salernitani del centro si sono rivelate un mezzo flop, tanto che un bistrò ha chiuso subito dopo le feste perché se neanche con le luci aveva visto aumentare le entrate, non aveva senso restare aperti. In compenso gli affitti salgono oltre il lecito e a farne le spese un bar piuttosto conosciuto della provincia che ha alzato bandiera bianca. Chi vuole negare tutto questo, mente. Chi pensa che le pizzerie siano solo Martucci, Vitagliano e Pepe, e che l’offerta loro sia proponibile per tutte le migliaia di pizzerie, dice sciocchezze. Perché una degustazione di pizze a 70-80 euro la puoi fare se sei tra le prime 5 pizzerie di Napoli o di Milano ma non se stai in uno delle tantissime cittadine campane e d’Italia. E mi permetto di estendere le mie considerazioni perché un recente giro nel centro Italia mi ha confermato che tante realtà (ristoranti, osterie ecc..) soffrono la crisi con coperti a cena che si contano sulle dita di una mano. Resiste chi ha le mura di proprietà, chi cucina o fa lui le pizze con la compagna in sala. Ma tanti sono in sofferenza grossa, con ritardi nei pagamenti delle forniture. Cocktail nelle pizzerie??? Ma se non si vende neanche la birra artigianale, senza guardare solo a quei dieci nomi famosi, un puntino minuscolo nel panorama campano e nazionale.

Non va tutto bene

Non va tutto bene

50 euro è un menu conveniente, 20 euro può essere il costo di un primo da pausa pranzo? Forse a Milano, non certo a Salerno (ma anche in altri capoluoghi) dove è un fiorire di menu lunch a 10 euro, con punte al ribasso, perché anche il dipendente pubblico oggi più di 7-8 euro a pranzo non vuole spendere, ed ecco che fruttivendoli e salumerie si sono messi a proporre vaschette monoporzione di parmigiana e gnocchi a 5-6 euro con forchettina e tovagliolo.

E la sera? Basta vedere i post dell’ennesimo fuffa blogger per scoprire dove andare a mangiare l’ennesimo all you can eat che oggi è la formula più gettonata nelle comunicazioni del food.

Locali pieni con menù alla carte? Certo ma mosche bianche, ed una rondine non fa primavera.

E allora finiamola di esaltare l’ennesima superpizza con patanegra (Dio maledica chi lo mette sulla pizza) a 20 euro o la braceria da 200 euro al kg la bistecca, facendo credere che sia la norma, che qualche giovane sprovveduto ci crede, fa un locale fighetto affidandosi all’architetto di pizzaioli famosi, si riempie di bottiglie costose e poi mi chiede “come mai non riempio tutte le sere come X? E ora come le pago ste forniture?”(storia vera e recente).

Perchè il podio è solo per 3 persone, un mix di talento e fortuna. Fortuna di aprire nel posto giusto, di avere il socio giusto, di entrare nel giro giusto.

E chi ti dice che basta fare qualità e poi puoi mettere un primo a 20 euro e lavori come un pazzo, chi ti dice di non abbandonare l’entroterra che i clienti verranno da te a frotte, chi ti dice che con la pizza ci vuole lo champagne e il sauternes con la pizza dolce, chi ti dice che se fai un locale figo la gente farà la fila, chi ti dice che la qualità deve fasi pagare e quindi puoi mettere, dovunque, una broccoli e salsiccia a 15 euro, chi ti dice che basta scrivere “presidio slow food” in menù e la gente farà a botte per entrare da te, chi ti dice che è il momento florido per aprire un locale perché si lavora sempre tanto, chi ti dice che le pizzerie non conoscono la crisi, bhè è semplicemente un marziano.

O peggio, un terrestre consapevole di prenderti per il culo.

 

5 Commenti

  1. Marco,
    non conosco assolutamente le dinamiche del settore ma trovo che la tua analisi sia profondamente vera e purtroppo trova riscontro nelle sempre più frequenti saracinesche abbassate (anche a Roma in quartieri non turistici).
    Ora mi chiedo, non c’è modo di fermare questa emorragia ed invertire la tendenza? Non è possibile rassegnarsi così alla decadenza dei ristoranti e trattorie che hanno rappresentato per decenni il fiore all’occhiello della cucina italiana nel mondo. In particolare le trattorie di quartiere nelle grandi città hanno assolto anche ad una funzione sociale e di servizio (tante persone sole ed anziane che hanno trovato un pasto caldo, una chiacchiera e un sorriso con il titolare e con gli altri frequentatori).
    Beh trovo assurdo che in un’epoca in cui ci si riempie sempre più la bocca di made in italy, unicità e tutela del prodotto alimentare si debba assistere a questa disfatta in primo luogo culturale e poi economica.
    Spero che le istituzioni, gli operatori del settore ed anche clienti, tutti insieme possano avviare una profonda riflessione per non disperdere questo patrimonio culturale e di sapori che tutto il mondo ci invidia.
    E’ troppo sperare in questo?
    Un caro saluto.
    Carlo

    1. La disfatta è soprattutto economica.Il mondo ormai è sempre più diviso tra i veri ricchi e i poveri, sempre più numerosi.L’Europa se non si dà una mossa finirà per essere ancor di più stritolata, più di quanto lo è già oggi, dal pragmatismo degli americani, dalla capicità tecnologica dei cinesi, dalle mire dei russi.Tutto questo in nome di una folle ideologia che sta facendo solo macerie creando sempre piu poveri.Da qui la crisi, da qui il fatto che la gente non esce più perchè non ha soldi.E a catena tutto quello che ne consegue.

    2. Carlo hai perfettamente ragione, i primi a doverne prendere atto sono gli operatori della comunicazione gastronomica, giornalisti, blogger, videomaker che dovrebbero dedicare alle osterie la stessa attenzione che dedicano alle pizzerie. Seconda cosa si dovrebbe fermare l apertura di millanta kebaberie e sushi. Non ne abbiamo bisogno e con prezzi stracciati che non si capisce come fanno, mandano in crisi la ristorazione classica. Anche Slow Food dovrebbe recuperare la mission originaria e dedicare forze alle osterie e non solo una guida. Infine le istituzioni dovrebbero varare misure ad hoc a sostegno di un settore in caduta libera, tranne che nei centri delle città turistiche.

  2. Molte cose sono vere ma molti imprenditori al sud ci marciano assumendo personale che risulta in busta paga 4 giorni al mese .ma in realtà lavorano tutti i giorni

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