Rossese di Dolceacqua 2011 / Maccario Dringenberg


Io sono l'amore - Tilda Swinton

di Fabrizio Scarpato

La signora vestita di elegante arancione si avvicina timida e inquieta alla campagna incolta, nei pressi di Dolceacqua, sulle colline del Ponente ligure: non ha paura di sporcarsi, ha paura di perdersi, anzi sa già che si perderà. Afferra con le mani infiorescenze d’erbe selvatiche, porta al viso la cima di un ramo di ulivo, ne respira il profumo, ne avverte la ruvida consistenza, fino a sentirsi rassicurata.

Il Rossese nel mio bicchiere è rosso di un rubino che si lascia trafiggere dalla luce, senza scintille. Ha quello spessore sospeso dell’aria di campagna in un primo pomeriggio d’estate, l’aria lenta che avvolge la signora davanti alla casa di Antonio, muri scrostati e un tavolo all’ombra del pergolato.

Cerchi i profumi, che sono di cose piccole, piccoli frutti rossi, susine e more non ancora mature, spezie sparse, che cogli nella sottile messa a fuoco, esasperata da una minima profondità di campo. Fili d’erba, fiori tra l’erba, l’ape sul fiore, la drupa velata di un lampone e il frinire delle cicale, diffuso e ruvido, dritto e concentrato, secco come un bastoncino di liquirizia, laggiù in fondo.

E sedersi intorno al tavolo col vino rosso, fresco di cantina, per un sorso guizzante di amarene e ciliegie, che sporca la bocca. Il calore tra le foglie è l’alcol che passa, lasciandosi dietro tannini giovani ma ordinati e sassi arsi, per la quiete delle lucertole. E sta lì, fitto come il bosco, una goccia di melograno schioccante, rami leggeri e verdi, come la foglia da tenere stretta tra i due pollici, che poi suona.

Rossese di Dolceacqua - Maccario Dringemberg

Nel bicchiere c’è una Liguria languida, il verde lontano dal blu, che son cesti di vimini che cigolano, scontrosità da esplorare, mani che strizzano succhi di ribes, la ciliegia sotto spirito, che vai a cercare, tra carezze e voci. Sulla tavola con la tovaglia di plastica ci sono involtini di verza e un pollo in casseruola addolcito di mandorle e peperoni, ci sono le seppie in zimino e il tian di acciughe, c’è la quiete sospesa del sorso che appaga, della terra che chiama, c’è un prato da imbandire con melanzane alla parmigiana.

C’è uno spicchio di pesca gialla da immergere nel Rossese: dice che non si fa, ma vuoi mettere sotto un pergolato immaginario, con le cicale e i grilli che cantano?

 

Sovrapposizioni e cortocircuiti dal film “Io sono l’amore” di Luca Guadagnino

14 Commenti

  1. Il film e’delizioso, il pezzo anche di piu’. Ma io ho sempre avuto cattive esperienze con il rossese e non si perche’. Ne ho provati almeno dieci diversi quando abitavo dai galli a un tiro di schioppo, due anche senza saperlo, ma sempre con gli stessi effetti: sobbalzi dello stomaco, palato incatramato, digestione impossibile, perfino acidita’ abbattuta solo con dosi da cavallo di citrosodina. Mi spiace per il produttore qui sopra, che sicuramente e’persona competente e serissima insieme a tutti gli altri di cui ho provato le etichette. Ma alla fine, all’impossibile ricordo, prevale il cattivismo: ma che cazzo ci mettete, dentro?

  2. Giovanna Maccario è un mio mito…vino conosco poco, se ha la sua personalità è spettacolare.

  3. Purtroppo bisogna dare ragione a Maffi:sono vini di cui sempre più frequentemente si fa’ un gran parlare e poetare ma che all’atto pratico di una prosaica degustazione spesso sono veramente deludenti.

  4. grazie per il pezzo, una sorpresa molto piacevole.
    Sarò molto lieta di ospitarla in azienda e farle visitare i vigneti .
    grazie ancora,
    giovanna maccario

  5. Maffi….penso che è da molto tempo che soggiorni in qualche pianeta lontano…forse su Marte. Una discesa sul pianeta Dolceacqua magari per rinfrescare il palato e i tuoi ricordi preistorici.

  6. Ancora sette otto anni fa il rossese entrava nella categoria del vorrei ma non posso, dell’intruso tra i vini bianchi di elezione in liguria. Addirittura qualcuno sosteneva che l’Ormeasco fosse l’unico vino rosso come si deve nella regione, portando a prova la vicinanza col Piemonte e il dolcetto. Il Rossese soffriva un po’ di chiusura e qualche difetto olfattivo, tanto da farne una caratteristica, non richiesta né necessaria.. Il lavoro in vigna, la selezione, il credere a un vitigno che in realtà potesse rappresentare una regione ha fatto sì che negli ultimi tre o quattro anni bere rossese (a parte certi cru da provare) significhi bere sincero, schioccante, scontroso, pulito e senza voli pindarici: ligure in altre parole, almeno secondo me, con buona pace dello stomaco del Maf. ;-)

    1. concordo: a me garba e lo riberrei, con piacere !!

      con buona pace di chi lo descrive come lo sciroppo della tosse degli incubi di ogni bimbo malato !
      ;-)

  7. Come spesso succede parlare fuori dal coro disturba, in questo paese. Da Marte posso dire che le ultime bottiglie le bevvi ad Apricale e ds Paolo e Barbara a Sanremo tre e due anni fa. Poi decisi di rinunciarvi definitivamente. A chi piace posso solo dire di berlo anche per me, cosi’facciamo media.

  8. Il 30 Novembre a Roma ho organizzato una bellissima cena degustazione con alcuni dei migliori produttori di Rossese. Lo dico con molto anticipo. Pignataro e gli altri amici del blog sono invitati!

  9. Gentile Giancarlo Maffi, sarebbe utile che si potesse capire di che vini stia lei parlando.

    Credo che sia ben difficile prendere tale parte in commedia, dando indicazioni concrete. Non per mettere pressione e sfidare la prudenza, ma per mettere davanti all’evidenza del confronto dei bicchieri chiunque lo voglia.

    Quelle descrizioni possono stanno bene al più su certi Dolceacqua di tanto tempo fa, ancora oggi su qualche singola etichetta più arretrata e trascurata. Cosa che succede in ogni zona produttiva, specie se piccola e (fino a poco tempo fa) trascurata dall’attenzione dei più. Sono invece descrizioni semplicemente incongrue con uno qualsiasi dei migliori Dolceacqua degli ultimi anni.

    Dunque, produttori, etichette, annate. Poi si potrà ragionare.

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