Salvatore Tassa il Cuciniere di Acuto: NU’ Trattoria Italiana dal 1960
Nu’Trattoria Italiana dal 1960
Via Prenestina, 21 – Acuto FR
Tel. 0775 56372
Si paga dai 60 ai 70 euro
di Francesco Costantino
Seduto a tavola con chi della cucina italiana conosce ogni piega, ogni evoluzione e ogni deviazione, ho ascoltato il racconto del luogo. Come antichi cantastorie, mi hanno raffigurato la traiettoria di Salvatore Tassa. È emerso il suo “prima”: l’alta ristorazione, la precisione tecnica, l’avanguardia che lo ha reso un riferimento. E subito dopo la sua “metamorfosi”: il ritorno alle radici, alla trattoria, alla terra, al gesto primordiale del fuoco e del fumo, dove la materia non si interpreta ma si ascolta. È con questa chiave che ho letto Nù Trattoria Italiana dal 1960: non solo un locale, ma la sintesi matura di un percorso umano e professionale visto sbocciare, cambiare e compiersi. Da quel racconto è nato il senso del pranzo di domenica.
Salvatore Tassa, cuoco e “cuciniere” di Acuto, è uno dei protagonisti più singolari della cucina italiana. Figlio della tradizione familiare, ha costruito negli anni un cammino che lo ha portato dall’alta cucina alla riscoperta delle origini, trasformando il gesto rustico in un linguaggio colto. Con la sua cucina concentrata, territoriale, essenziale, ha fatto della verdura, del fuoco e delle cotture arcaiche una firma. Niente menu stampato: solo stagionalità, materia locale e un rapporto diretto con l’ospite. Un format che sembra semplice, ma che poggia su tecnica, memoria e una sensibilità straordinaria.
È la cucina a scegliere il ritmo, la stagione a dettare le regole, il territorio a parlare per primo. Un racconto che passa per il vegetale, per il fuoco, per la materia viva che Salvatore Tassa continua a lavorare come un artigiano del gusto, senza fronzoli.
Fatti i biglietti e preso posto in prima fila, possiamo partire: la gola è secca.
Il servizio del vino è compito del figlio di Tassa (premesso che i rossi ce li siamo portati da casa). Braccia tatuate di musica ,Timoria, Pavarotti, Petrucciani , e un modo di muoversi che sembra già un tempo, un ritmo. È lui a costruire la colonna sonora del pranzo. Si parte con una Passerina di Colle Bianco, fresca e verticale: un attacco pulito, come un primo accordo per aprire le danze, mentre arriva l’uovo marinato con cialda croccante ripiena di battuto di carne. Cremoso, profondo, pane che non basta, voglia che sale. Poi l’insalata di campo con pecorino fresco grattugiato: una pausa musicale, un respiro netto, un passaggio necessario prima del crescendo vegetale che sta per arrivare. La scarola con caramello di cavolfiore riprende il ritmo: dolcezza appena accennata. Sorprendente per gusto e per abbinamento.
Il finale è emozionante, il piatto che da solo vale il viaggio: la bieta alla brace, bollita nel brodo del grasso di scarto della lombata. Un colpo secco. Vegetale che suona come carne, carne che sembra verde. Ti lascia lì, a chiederti cosa hai appena mangiato.
Si passa alle paste, preparate a vista, in sala, dalle mani sapienti di una donna di casa. Il tortellino in brodo, farcito di mortadella, pecorino, rosmarino e alloro, è pura goduria per olfatto e palato. Poi i fini fini al pomodoro bruciato alla brace: fumo, concentrazione, semplicità che spiazza.
Qui il figlio alza il volume: nei calici arriva il Testamatta di Bibi Graetz. Sangiovese in purezza, frutto nitido, acidità che spinge. Sembra un assolo di chitarra: preciso, avvolgente, verticale. Perfetto per agganciare la brace.
Al tavolo arriva Salvatore, mantecatura finale e servizio del piatto che, secondo lui, dovrebbe esistere in tutte le trattorie: il piatto della mamma. La tagliatella bianca burro e pecorino, essenziale, definitiva.
Ultimo cambio di calici per accompagnare la lombata e il maiale, con broccoli e purea di patate all’olio. Mentre la carne racconta il territorio, il figlio mette l’ultimo pezzo: Profumo di Vulcano di Federico Graziani. Fumo, sale, profondità. Un vino che chiude il cerchio e dona eleganza a un contesto diversamente rurale.
I dolci non sono la mia musica, così lascio che i miei commensali divorino panna cotta, zuppa inglese, cannolo e una sorta di panettone fritto che sparisce in un lampo. Ne registro solo la presenza, per dovere di cronaca🤣
Poi arriva il caffè, fatto con la moka, che sa di casa. Le ultime chiacchiere con Salvatore: poche parole, qualche sorriso e quel lampo negli occhi di chi sta già pensando al prossimo menu.
“Vi aspetto per il nuovo anno, dice. Sta per nascere qualcosa di straordinario.”
Ed è in quel momento che capisci davvero dove sei stato: in una cucina che non recita, vive. In un luogo dove il fuoco non brucia, ma accorda gli strumenti.
Uno degli incontri più autentici e memorabili: vi lascio il suo indirizzo.

















il Prezzo? non è un dettaglio da poco di questi tempi…
Noi abbiamo pagato 70 euro a testa, i due rossi li ho portati io. Il range è fra 60 e 70 euro pranzo domenicale completo dall’antipasto al dolce
perfetto grazie