Salvo Foti: metafora del pomodoro, elogio all’ignoranza. Il brutto è più buono e sicuro


di Salvo Foti*

Tra le mie mani ho un pomodoro. Un semplice pomodoro come tanti oggi si possono vedere, acquistare, consumare. La pelle liscia, senza una ruga, crespatura. Lo giro su se stesso e mi colpisce la sua forma perfetta. Ne prendo un altro, li guardo insieme, li paragono: entrambi perfetti, uguali. Mi preoccupo. E’ normale avere tale perfezione in natura? Saranno veri? Devo odorarli, assaggiarli. Cerco di ricordare i profumi, il sapore del pomodoro che da piccolo mangiavo nell’orto di mio nonno. Non ritrovo quelle sensazioni.

Nel tempo ho dimenticato? O forse è il tempo che ha cambiato gli odori, il gusto? Il tempo ha cambiato la mia percezione sensoriale? No, no! Non ho dimenticato, perché, non appena per un attimo mi concentro, ricordo.  Ho ancora impresso nella mia mente l’odore del pomodoro appena raccolto. La differenza tra quello non perfettamente maturo e quello maturo. E ancora l’odore, il gusto del pomodoro dopo qualche giorno dalla raccolta. Mi sento fortunato pensando che ho la possibilità di comparazione, tra il pomodoro della mia infanzia e quello di oggi. Mi rammarico al pensiero che oggi molti consumatori non hanno possibilità di confronto, di scelta.  

 

Pomodori San Marzano

Ricordo ancora la voglia di affettare il mio pomodoro, diverso dal suo fratello vicino, appena raccolto. Tirare via una cipolla dalla terra e con tanto olio e del sale fare un insalata. Perché questo pomodoro, così perfetto, non mi stimola, non sento la voglia di mangiarlo? Cerco i motivi. Rifletto. Cosa è cambiato, quali sono le differenze?

Aspetta ma siamo a dicembre! Ho in mano un vero pomodoro in inverno, fuori stagione. Qualcuno, di ritorno dal supermercato, potrebbe chiedere, ma perché vi sono frutti di stagione? Il pomodoro della mia infanzia, che finiva ad insalata, era solo in estate, non in inverno! Ma sarà solo questo il motivo? No, quel pomodoro era in un orto insieme a tanti altri ortaggi: cipolle, fagiolini, zucchine, aglio e non aveva niente sopra di se. Nessun tetto di plastica o di vetro. E ancora, ricordo, come era coltivato il mio pomodoro: la zappa che preparava il terreno, l’operosità dell’uomo che eliminava l’erbaccia attorno alla pianta,  il concime stallatico, l’acqua corrente. Ecco, ecco, ora comincio ad avere più chiarezza. La differenza tra il pomodoro della mia infanzia e quello di oggi, non è da un punto di vista chimico. Un analista in laboratorio mi direbbe che non vi è nessuna differenza tra i costituenti chimici dei due frutti, nessuna! E tutti i suoi componenti, glucidi, sali minerali, vitamine, fibra, acqua e altro ancora, importanti per la nostra salute, sono sempre gli stessi. Può variare per la presenza di sostanze chimiche di sintesi, antiparassitarie e stimolanti della crescita, che oggi sono utilizzate rispetto ad una volta: questo già mi preoccupa e non poco.

Il dubbio mi assale e mi dico: ma le nostre analisi, così sofisticate di oggi, tengono conto, riescono a dirci se c’è differenza tra la stessa acqua, tra le stesse vitamine, tra gli stessi sali minerali nei due pomodori? Credendo di aver scoperto tutto quello che c’è in un pomodoro, non è che abbiamo trascurato il fatto che la formula chimica di un costituente ci dice in fondo solo che c’è e la sua quantità, nient’altro? Cioè a dire, è come se, di una persona, conoscendone il nome, l’età, il paese in cui abita, il lavoro e il peso, crediamo già di sapere tutto su di lui: il suo modo di vivere, emozioni,  pensieri, ecc….. . Non basta per dire che il pomodoro fa bene! Serve sapere, come è stato prodotto, dove,  da quanto tempo e le persone che lo hanno fatto.

Se vi è differenza tra la stessa identica vitamina (stessa formula, stessa quantità) tra il pomodoro di una volta e quello di oggi, la scienza non è in grado di dircelo! Noi siamo quello che mangiamo, beviamo, respiriamo e ancora siamo e dipendiamo dal nostro genoma, dal nostro ambiente culturale e familiare: è cosi anche per il nostro pomodoro! Voglio credere che il pomodoro della mia infanzia era più buono anche perché fatto con un ingrediente astratto, impalpabile, non misurabile scientificamente, capace però di muovere il mondo, l’umanità: l’amore!

Troppa conoscenza, o la presunzione di sapere troppo, non ci ha forse portato a disumanizzare il nostro pomodoro? Facendone un oggetto di plastica, resistente al tempo, al trasporto, non dipendente dalle stagioni, inattaccabile dai parassiti, bellissimo da vedere, sempre perfetto, mai diverso, fatto chi sa da chi, chi sa da quanto tempo e in quale luogo del mondo.

Il nostro è il tempo in cui crediamo che possiamo sapere tutto e di tutti. Abbiamo strumenti che ci tengono costantemente e velocemente informati. La quantità di informazione, conoscenza è enorme! Non era mai accaduto nel nostro Mondo, così come oggi, la possibilità per tantissime persone di poter accedere, indipendentemente dal grado sociale e culturale, con facilità e velocità alla conoscenza, al sapere. Questo ci crea sicurezza, ci fa credere, spesso perché accecati dalla nostra presunzione di sapere, o se volete mancanza di umiltà, che il più lo sappiamo, che abbiamo capito tanto e in fondo poco resta da conoscere. Ma non è così. La conoscenza è infinità! Più si sa e più ci sarà da sapere! Più si ha la percezione di conoscere e più si dovrà conoscere. E’ come un uomo in un deserto (la conoscenza) che guarda all’orizzonte è vede sabbia, solo sabbia. Sale sopra una piccola duna, per scorgere meglio l’orizzonte, e vede ancora sabbia. Trova una duna più grande,  guarda è vede ancora e sempre altra sabbia. Dopo, nel suo cammino, incontra una palma. Sale in cima credendo che da lì riuscirà a vedere molto più in là e scorgere la fine del deserto: ma vede ancora  sabbia…infinita.      

 

Oggi è una calda giornata estiva, devo affettare un pomodoro per una fresca insalata, devo fare una scelta: o prendere il pomodoro dal mio orto (costoso e un po’ deforme), che lì convive con cipolle, zucchine, ravanelli e prodotto come una volta, nell’ignoranza, o quello di oggi (meno costoso e perfetto nella sua forma), prodotto nella completa conoscenza agronomica e commerciale, ma chi sa dove, quando e da chi.

Non ho alcun dubbio: scelgo volentieri l’ignoranza e il godimento di una buona e umana insalata! 

*Enologo

   

 

2 Commenti

  1. Grazie signor Foti: mi ha fatto ripensare ai gesti di mia madre quando piccolo, all’ora della merenda, si recava nell’orto dietro casa, staccava un pomodoro dalla pianta e lo strusciava su una fetta di pane casalingo con un po’ olio e di sale. Immancabilmente sono riaffiorati alla memoria i profumi ed i sapori di quei tempi. Profumi e sapori che, appartenendo alla conoscenza personale, non potrò descrivere ai miei figli. Che peccato!!!

  2. La nostalgia, il ricordo di tempi che furono, i vecchi sapori…. È proprio vero, non si mangiano piu i pomodori di una volta! e lo stesso vale per il sedano che appare gonfio e insapore sui banchi dei supermercati! ed altri ortaggi, e la frutta! Le arance arrivano dall’Africa o dalla Spagna.
    Certo è che bisognerebbe risveglire la coscienza del gusto, perché oggi scegliere è possibile.
    I mezzi di comunicazione, il benessere diffuso, la conoscenza ed il sapere non credo che siano da demonizzare! Io non voglio essere ignorante!!Perché a mio nonno hanno insegnato
    a coltivare pomodori, a convincere la natura ad
    obbedire alla sua volontà! Nell’orto!
    La conoscenza ci rende liberi! Liberi di scegliere un prodotto ogm o no. Liberi di andere al supermercato( molto più economico e pratico) o al mercatino di paese o direttamente dall’agricoltore. Io personalmente preferisco questultimo. Ma non ho sempre il tempo e non me ne faccio una colpa. È troppo facile e romantico attaccare scienza, conoscenza e progresso. Un atteggiamento fine a se stesso. Il mondo, che piaccia o no, và avanti! Cerchiamo di portarlo avanti nel migliore dei modi!

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