Sciascinoso, il fascino antico di un vino moderno


di Pasquale Carlo

Iniziato il percorso dedicato ai “piccoli  grandi vini” campani a ‘Taverna 87’ (in quel di Castelvenere). Avvio con una serata-degustazione dedicata allo sciascinoso. La degustazione è seguita ad un excursus sulla storia e le caratteristiche di questo vitigno antico, dal fascino moderno.

Grappoli di sciascinoso

Lo sciascino è iscritto al Registro nazionale delle varietà di uve da vino del Mipaaf (codice 225) dal 25 maggio 1970. Nei riferimenti storici riportati nella scheda di iscrizione – tratti dal lavoro di Sante Bordignon ‘Principali vitigni da vino coltivati in Italia – Volume IV’ del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste (1965) – si legge: «Con il nome di “Sciascinoso” viene coltivato nelle regioni meridionali, specialmente nella Campania, un vitigno che è conosciuto anche con altri nomi nelle varie zone di coltura. Viene chiamato, infatti, “Sanginoso”, “Sancinoso” e “Sanguinosa” in alcuni comuni della provincia di Avellino e Salerno. “Sarcinosa” a Mirabella Eclano. “Strascinuso” o “Uva S. Severino” a Salza Irpina. “Livella”, “Olivella”, “Olivella Bastarda” in alcuni comuni della regione circumvesuviana. “Uva di Avellino” o “Avellinese” a Lapio e Pietradefusi. “Foscopeloso” in alcune zone della provincia di Caserta. In alcune zone della provincia di Avellino viene chiamato anche “Cascolo” per la facilità che hanno gli acini di staccarsi dai pedicelli quando l’uva matura viene anche leggermente scossa».

Un momento della serata

Parliamo di un vitigno dalle antichissime origini, considerato che Plinio il Vecchio, nella ‘Naturalis Historia’, parlando di Pompei descrive che nella zona archeologica, ora catalogata come Regio I e Regio II, esistevano vigneti fin dentro le mura della città. Plinio elencava le varietà coltivate: Columbina Purpurea (Piedirosso), Vitis Oleagina (Sciascinoso o Olivella) e anche Vitis Hellenica (Aglianico), che sottolineava importato dalla Grecia, al pari della varietà a bacca bianca detta Vitis Aminea Gemina (Greco).

A consegnarci una delle prime immagini di questo vitigno è la monumentale ‘Ampélographie – Traité général de viticulture’, lavoro in più volumi curato da Pierre Viala e Victor Vermorel, tra le pietre miliari nello studio dei vitigni e opera di riferimento per la conoscenza delle cultivar. Nell’opera troviamo una litografia (datata 1906) del pittore francese Alexis Kreyder (1839 -1912), allievo di Marie-Guillemine de Laville-Leroux e  famoso proprio per le sue nature morte di fiori e frutti. Le informazioni e la stessa rappresentazione litografica del grappolo di sciascinoso si rifà ai frutti che erano coltivati presso la Regia Scuola di Viticoltura ed Enologia di Avellino, fondata nel 1879 da Francesco De Sanctis.

Lo sciascinoso ritratto da Kreyder

La litografia mostra come i chicchi dello sciascinoso richiamassero la forma delle olive. Infatti, la storia di questo vitigno si interseca e si confonde con le tantissime uve dagli acini oliviformi. Tra queste soprattutto l’olivella. Una confusione tale che ha portato alcuni studiosi a sostenere che scascinoso e olivella fossero due vitigni diversi; per altri, invece, si tratta della stessa varietà.

Grappolo di sciascinoso (foto Registro Mipaaf)

Ripercorrendo le fonti ampelografiche della seconda metà dell’Ottocento, si coglie come Giuseppe Frojo, il più grande studioso della viticoltura meridionale, nell’opera ‘Il presente e l’avvenire dei vini d’Italia’ (1875), parlando delle uve maggiormente coltivate nel Sannio e nei due Principati (Avellino e Salerno) scriveva: «[…] l’uva detta Aglianica con tutte le sue varietà, la Sancinosa detta in alcuni luoghi Sancinosa, la Saracina detta oltre modo Montorese, l’Olivella, la Piede di Colombo, ecco le uve rosse più comuni». Si tratta di uno scenario in cui è difficile districarsi, considerato che sempre Frojo, nel primo lavoro ampelografico riferito alla provincia di Terra di Lavoro (1878), descriveva ben otto uve che si rifacevano al nome Olivella: un’Olivella coltivata a Sant’Elia, Fiumerapido, Galluccio (con sinonimo di Liatico a Cajazzo, Olivella canonico a Palma, Vipera a Gaeta e Fontananova a Roccamonfina); un’Olivella coltivata a Cervara  un’Olivella coltivata a San Cosmo; un’Olivella coltivata a Pico; un’Olivella coltivata a Rocca d’Evandro; un’Olivella di Spagna coltivata a Palma Campania; un’Olivella tingitora coltivata a Palma Campania, un’uva Olivellone coltivata sempre a Palma Campania. A queste bisogna aggiungere l’uva Fosco Peloso, particolarmente coltivata a Piedimonte d’Alife (oggi Piedimonte Matese) e Prata Sannita, con le descrizioni ampelografiche che rievocano proprio quelle dello sciascinoso e con l’annotazione in calce alla descrizione – elemento che apporta ulteriore confusione – in cui lo studioso evidenziava: «Identica all’Olivella dei Principati».

La descrizione del Frojo dell’uva fosco peloso

Alla luce di questo labirinto, tre decenni dopo Girolamo Molon nella sua monumentale ‘Ampelografia: Descrizione delle migliori varietà di viti…’ (1906) rimarcava che sotto il nome di Olivella «furono diffuse, ed anche descritte, più varietà, che sarebbe bene poter tenere distinte con nomi diversi; ma, disgraziatamente, il contributo che possiamo portare su questa questione di nomi, è purtroppo meschino». E specificava «prima di tutto» che il nome «dovrebbe esser riservato ad uve, il cui acino abbia la forma di oliva, ossia una forma decisamente ovale e piuttosto allungata; ma, invece, il nome in parola fu dato anche a varietà con acino ellissoide, e di qui ne venne motivo di confusione».

Il vino Sciascinoso

Una confusione andata avanti per decenni, tanto che alla data del 22 marzo 1971, al Registro viene iscritto anche il vitigno olivella nera (codice 176). Mentre lo sciascinoso è vitigno la cui coltivazione è considerata idonea nell’intero territorio delle regioni Campania e Lazio, quella dell’olivella si restringe all’intero territorio del Lazio e al territorio della provincia di Napoli. Nel primo caso la varietà è ammessa nelle Doc Costa d’Amalfi, Irpinia, Penisola Sorrentina, Sannio e Vesuvio e nelle Igt Benevento, Campania, Civitella d’Agliano, Colli Cimini, Colli di Salerno, Epomeo, Frusinate o del Frusinate, Lazio, Paestum, Pompeiano, Roccamonfina e Terre del Volturno. Le uve olivella sono invece ammesse nella Doc Vesuvio e nelle Igt laziali Civitella d’Agliano, Lazio, Colli Cimini, Frusinate o del Frustinate.

Grappolo di olivella (foto Registro Mipaaf)Olivella

Parliamo di due varietà che dal punto di vista visivo presentano una evidente similarità, tanto da poter pensare che si trattasse dello stesso vitigno. Affermazione, questa, consapevole del fatto che i caratteri di una varietà non si stabilizzano per sempre, perché all’interno delle gemme possono avvenire mutazioni, causali modifiche in una sequenza nucleotidica. Ed ecco che l’uva matura un po’ prima o ha un aroma leggermente diverso. In viticoltura si usa il termine “clone” per indicare queste sottovarietà; termine che può generare confusione visto che in biologia normalmente il termine clone indica una copia perfetta.  Si parla di “popolazioni” o di “biotipi” all’interno dello stesso vitigno, che evolvendosi in ambienti diversi hanno sviluppato a volte piccole differenze morfologiche e/o enologiche. Nel caso che interessa sciascinoso e olivella risulta interessante comparare i rispettivi DNA riportati nelle relative schede del Registro del Mipaaf. L’analisi del DNA in campo viticolo ha seminato spesso scompiglio tra produttori e consumatori, privati di secolari certezze. Spesso si finisce con ritrovarsi di fronte ad uno stesso vitigno con nomi diversi, oppure di fronte a vitigni con lo stesso nome ma che in realtà  sono diversi e magari nemmeno parenti. Ecco dissolto l’arcano: si tratta di due varietà in cui i dodici marcatori molecolari utilizzati risultano essere identici.

La comparazione dei Dna dei due vitigni (dati dal Registro Mipaaf)

Stabilito questo punto fermo, va sottolineato che si tratta di una varietà la cui coltivazione è in forte restrizione. I dati riferiti allo sciascinoso evidenziano come la coltivazione del vitigno è in continua diminuzione fin dall’immediato dopoguerra, come dimostrano anche i dati del primo Catasto vitivinicolo (1970) riferito alla provincia di Benevento.

Sciascinoso – I dati del primo Catasto vitivinicolo (1970) per la provincia di Benevento

Dai dati nazionali dell’Istat, gli oltre 2.500 ettari degli 1970 sono diventati 50 nel 2010. Colpisce, parlando di  vitigno olivella, un incremento della coltivazione registratosi dal 1970 al 1990, seguita da una brusca e continua diminuzione: i 365 ettari del 1980, diventati 485 dieci anni dopo, oggi sono scesi a 43.

Sciascinoso – Il grafico del decremento della coltivazione (dal Registro Mipaaf)

Sciascinoso – I dati della superficie di coltivazione in Italia dal 1970 al 2010 (dal Registro Mipaaf)

LA DEGUSTAZIONE A ‘TAVERNA 87’

Durante la serata sono state degustate le etichette Sciascinoso prodotte dalle aziende Terre di Briganti di Casalduni, La Vinicola del Sannio di Castelvenere e Tenuta Fontana, che opera tra Pietrelcina e Carinaro.

Le etichette degustate

Benevento Igt Sciascinoso 2021 – Terre di Briganti

L’azienda della famiglia De Cicco crede da sempre nella grande tipicità dello sciascinoso. Il vino di questa cantina che da circa due decenni opera a Casaduni nasce da un piccolo vigneto (circa 4.000 mq) in tenimento di Torrecuso (siamo tra i 350 e i 400 metri di altitudine). Terreni di alta collina, argillosi con presenza di calcare. Le uve vengono raccolte (metà settembre) e trasportate in cassette. Segue la fermentazione spontanea, con macerazione sulle bucce per circa 15 giorni. Affinamento in acciaio. Luminoso abito rosso violaceo alla vista; ventaglio olfattivo di grande pulizia, netto, che gioca molto sul floreale, i frutti rossi, una leggera nota di pepe; in bocca l’ingresso è fresco, dinamico, con verve acida irruente e una trasversalità tannica che accompagna lungamente il ritorno del frutto. Il tutto nasce da agricoltura biodinamica (certificazione Demeter).

I colori dello Sciascinoso

Sannio Doc Sciascinoso Maliziuto 2020 – Vinicola del Sannio

Una cantina che fa grandi numeri ma che a questo vitigno dedica un’attenzione particolare. Le uve di Maliziuto arrivano dalle vigne di quattro fornitori, situate nei territori di Castelvenere (8.900 mq), Guardia Sanframondi (5.030 mq) e San Lorenzo Maggiore (3.000 mq). Vigne situate su terreni collinari (tra i 250 e i 350 metri di altitudine), dove non manca l’argilla. Uve raccolte in cassetta. Fermentazione a temperatura controllata con contatto con le bucce di 7 giorni. Segue l’affinamento in acciaio. Alla vista è rosso brillante, con leggerissima unghia che richiama ancora il violaceo; al naso si avverte bell’equilibrio, con note le fruttate che viaggiano a braccetto con delle piacevolissime spezie; a due anni dalla vendemmia il sorso offre un percettibile tannino elegante, con una bella corrispondenza con il naso e una interessante spalla acida.

Benevento Igt Sciascinoso Civico 1 2020 – Tenuta Fontana

L’azienda dislocata tra Sannio e Terra di Lavoro guarda con attenzione a quei vitigni ingiustamente considerati minori. Le uve di Civico 1 arrivano da due vigne in territorio di Pietrelcina (in tutto 10.000 mq): terreni di media collina (300 metri di quota) con argilla e presenza di sabbia. La raccolta delle uve è effettuata manualmente in cassette, il mosto fermenta a temperatura controllata di 27 °C  in acciaio inox e la macerazione delle bucce dura circa 15 giorni. Dopo la fermentazione il vino affina per un terzo in tonneaux di rovere francese, un terzo in anfora di terracotta e un terzo in acciaio. Abbiamo così un rosso più cupo alla vista; all’olfatto il frutto fa da sottofondo a note di pepe, avvertendo anche un leggero sentore di caffè; in bocca segna sempre la freschezza, anche se meno sostenuta, a sorreggere un sorso più avvolgente, di maggiore composizione materica, dal profilo tannico poco aggressivo. Vino biologico, certificato Icea.

I prossimi appuntamenti di ‘Taverna 87’

Giovedì 27 ottobre seconda serata del percorso ‘I giovedì alla Taverna’, con protagonisti i vini Pallagrello.