Storia di un Incontro. Uliassi, Gaggia il libro e il Lab 2021


Uliassi. Ph. Natascia Giulivi

Uliassi. Ph. Natascia Giulivi

di Giulia Gavagnin

Storia di un Incontro.

E’ un incontro tra uomini, menti ed intenti, quello tra Mauro Uliassi e Giovanni Gaggia.

Cover libro. Ph. Lido Vannucchi

Cover libro. Ph. Lido Vannucchi

Nome ultrafamiliare il primo, totem e –quasi- guida spirituale di noi feticisti delle delizie infrapalatali, nome misconosciuto il secondo ma solo per le nostre indubbie carenze culturali in ambiti ove il verbo artistico si è nei decenni destrutturato sino alla negazione della concezione figurativa dell’arte stessa.

Uliassi family. Ph. Lido Vannucchi

Uliassi family. Ph. Lido Vannucchi

Cuoco e artista, due uffici che taluni accomunano con entusiasmo; altri, più inclini allo snobismo che relega il cuciniere nel limbo dei mestieri artigiani, ripudiano. “Mauro Uliassi incontra Giovanni Gaggia” (Maretti ed., Euro 40 €) è il bel volume illustrato che narra il possibile percorso parallelo di 21 creazioni del grande chef di Senigallia con altrettante opere del conterraneo artista. Non vi è un intento didascalico o, peggio, di erudizione fuori dai confini deputati. E’ una proposta di “ampliamento di vedute”, una sfumatura cromatica e di volume che ciascuno dei due “artisti” aggiunge alle proprie creazioni, lanciando suggestioni più che proclami.

Nella bella prefazione al volume Massimiliano Tonelli pone l’accento sull’unitarietà dell’approccio tra i due “artisti, creativi, artigiani” (la qualificazione è evidentemente difficoltosa anche per lui che dell’arte è un addetto ai lavori) che ingenerano la creatività grazie a un “metodo, non una epifania che si attende per grazia e ricevuta”. Siamo lontani dalla mitologia del “genio e sregolatezza”, dunque, per entrare nel più severo palazzo del “genio e regolatezza”: “per produrre creatività di livello occorre un approccio molto poco romantico e molto poco retorico. Occorre piuttosto un approccio rinascimentale”.

 

Approccio rinascimentale

La vita di Mauro Uliassi è raccontata in modo vibrante da Antonio Paolini. Ci sono le origini, il primo sapore importante che poi è un odore, quello delle “bambine” cui cercava di stare vicino il più possibile, la scuola tecnica abbandonata in favore dell’alberghiero dove di quelle bambine più cresciute c’era una maggiore presenza,  i cappelletti di zia Elena che fanno da trait d’union alla prima cena preparata da Mauro su vibrata insistenza della futura moglie Chantal, la scoperta definitiva che la cucina è un atto d’amore, la passione e la dedizione, l’eros nel cibo e il cibo nell’eros, i modelli della sacra trinità, Marchesi-Pierangelini-Vissani, la folgorazione di Adrià, Catia la bella e l’artista, i figli, la Stairway to Heaven delle stelle, il lab come esercizio e pratica di quel “metodo rinascimentale”.

Ci sono le descrizioni accorate, emotive dei ventuno piatti del “second brain” Mauro Paolini, il primus inter pares, l’alter ego di Mauro, ovvero “l’altro Mauro”, che trascina il lettore con una “verve” insospettabile.

Ci sono le immagini di Lido Vannucchi e Lorenzo Cicconi Massi che parlano da sé.

 

Uliassi meets Gaggia: proposta di lettura del Lab 2021

La cucina di Mauro Uliassi è verticale, una stratificazione di impressioni, accenni, ricordi, consistenze, ove ogni singolo elemento si lega all’altro come anelli diversi di una catena,  attraverso una linea, una continuità, spaziale e temporale.

Il terroir marchigiano rivive con lo sguardo modificato dal cannocchiale/caleidoscopio di Uliassi, che pesca a piene mani dai fin troppo menzionati (altrove) “ricordi di infanzia” e la rilettura contemporanea del terroir medesimo. Acqua e terra, erba e sale, mare e palude sono i leit-motiv ricorrenti nei lab annuali, edizione dopo edizione.

Ogni “lab” è come un concept album degli Who o dei King Crimson, c’è il tema e ci sono degli echi, che possono riverberarsi negli anni successivi, sotto forma di ripresa o di citazione di se stesso.

Le parole evocative di Mauro Paolini spiegano il piatto di “allora” e ci indirizzano a trovarne di nuove per il piatto di “oggi”, laddove se ne intravveda la continuità.

 

  • Pancotto di ricci di mare e spuma di mandorle (2016) vs. L’eleganza del riccio (2021).
Pancotto. Ph. Giovanni Ghiandoni

Pancotto. Ph. Giovanni Ghiandoni

Il pancotto ce l’aveva in testa da anni, dai sessanta vissuti con la zia che cuoceva il pane in tegame; il debutto è stato accidentato, in una giornata in cui c’erano più che sinergie c’erano muri. Il pancotto è onnivoro, ci puoi mettere sale e olio o ricci e mandorle. Due consistenze del pane, due note amare, naso di iodio, mandorla in spuma, ghiaccio.

L'eleganza del riccio

L’eleganza del riccio

Il riccio di mare esce dal guscio, diventa polpa pura, solista in tra le polveri di salvia sclarea, limone bruciato, levistico. Il gioco non è di consistenze ma polifonico, l’amaro e il citrico che dialogano con la parte iodata del riccio. Non c’è nulla di più difficile di rendere polifonico il riccio, il riccio è protagonista monolitico, gli altri sono comprimari, si prende luk la scena. Qui esce il riccio nudo, ma suona nella band. Il riccio è entrato nel gruppo.

 

Per Giovanni Gaggia il riccio di mare è l’origine, equivale all’uovo, come il suo uovo rivestito di zucchero, appoggiato sul mare (Uova d’artista, 2008)

Uova d'artista - Giovanni Gaggia

Uova d’artista – Giovanni Gaggia

  • Canocchie del venerdì (2011) vs. Gambero rosso, cervella di gambero, zenzero, arancia e cannella (2021)
  • Canocchie del Venerdì. Ph. Giovanni Ghiandoni

    Canocchie del Venerdì. Ph. Giovanni Ghiandoni

La canocchia deve essere “piena”.  Solo se è piena è un sogno. Se ha deposto le uova, beve acqua; se ha le uova sa di cera. Vale nei mesi con la “r” i mesi di “porto”. Il venerdì è il giorno perfetto, del magro obbligato a tavola. Uliassi & the band hanno aggiunto la spremuta di testa e una salsa potente e intensa. Prezzemolo. Limone e pane. Un gran companatico, aggiungiamo.

Scampo 2021

Scampo 2021

Anche il gambero rosso ha la spremuta della sua testa. E’ un gambero delicato, fa presagire che uno sia diverso dall’altro. Alcuni più iodati, altri meno. E’ un gambero del “mercato”, forse lo stesso dei vecchi sapienti che gli hanno insegnato a fare il “calamaro sporco” (vedi in seguito). A noi veneti questo arancio e cannella ricorda uno spriz al campari evoluto. Vogliamo vedere sempre quello che non esiste. Per i coraggiosi, un Varnelli a pulire e passa la paura. E si ricomincia. Uno squarcio nel cielo adamantino di questo “lab” contemporaneo.

Tutto l'inizio. La fine. Giovanni Gaggia

Tutto l’inizio. La fine. Giovanni Gaggia

La “fine” per Giovanni Gaggia è la rete da pesca di Tellaro. Dove le canocchie finiscono. E iniziano.

 

  • Seppie sporche, granita di ricci di mare ed erbe aromatiche (2011) vs. Seppie Sporche, fegato di seppia, cipolla di Cannara, foglie di cappero (2021)
Seppie sporche 2011. Ph Giovanni Ghiandoni

Seppie sporche 2011. Ph Giovanni Ghiandoni

Seppie sporche, fegato di seppia, cipolla, cappero

Seppie sporche, fegato di seppia, cipolla, cappero

Il mese delle seppie è novembre. Si utilizzano anche abbattute, alla bisogna. Prova e riprova, danno sempre quella sensazione di “uovo sodo”. La svolta con i vecchi marinai degli Amici del Molo, che dicono “el pes, più il lavi più li levi l’anima”. Allora, prova la seppia con la pelle, un filo d’olio, la citronnette e il suo fegato dentro. “dirty & Sexy”.

Dieci anni dopo, il rito degli Amici del Molo si ripete. Meno iodio (niente ricci) più animalità (fegati) più acidità dolce (cipolla). Il fondo di cottura assegna quella nota più sexy e meno dirty. E’ una seppia colta nel prato, non lungo i fossi.

 

Giovanni Gaggia stringe i corpi in un abbraccio avvolgente di pigmento nero, Centrum Naturae (2017)

Centrum Naturae - Giovanni Gaggia

Centrum Naturae – Giovanni Gaggia

  • Acqua di conditella, pane, lumache e gelato di fave (2017) vs. Lumache ed erbe di sabbia (2021)
Lumache ed erbe di sabbia

Lumache ed erbe di sabbia

“Dar da mangiare alla lumaca cotta quel che la nutriva da viva”.  Gli acquitrini e i fossi di un tempo erano pieni di rane, lumache, tra erba e terra. Così nasce l’intingolo, di erba e terra. E il pane del contadino attende trepidante.

Finocchio marino, asparagi di mare, kalanchoe. La lumaca di terra va al mare, tra i suoi elementi vegetali si aggira furtiva. Arriva decisa una salsa d’ostrica, chiudiamo gli occhi e l’immagine olfattiva è di una spiaggia tropicale dopo la pioggia.

 

  • Spaghetti affumicati, vongole e pendolini arrostiti (2008) vs. Pasta in bianco (2020) vs. Pasta al pomodoro (2021).
Spaghetti alle vongole. Ph. Giovanni Ghiandoni

Spaghetti alle vongole. Ph. Giovanni Ghiandoni

Pasta in Bianco. Ph. Giovanni Ghiandoni

Pasta in Bianco. Ph. Giovanni Ghiandoni

Pasta al pomodoro alla Hilde

Pasta al pomodoro alla Hilde

In principio fu Stefano Bonilli che annunciò alla band di venire a pranzo anche il giorno dopo. Lui andò a dormire, loro no. “Vongole e fiori di zucca, solo pistillo” fu il primo esperimento. Si doveva andare oltre. Pendolino dolce, acqua affumicata di anguilla, che dà un brodo fumè scuro e snello. Perché, in fondo, così l’anguilla se non uno spaghetto che sa nuotare?

La pasta è comfort, in bianco è recupero, da Uliassi è recupero tout court. Latte per dissalare l’aringa si fa ricotta di mare, grasso di aringa, fumetto di pesce. Tutto è economia circolare. In tinte del gusto diverse che si fondono nel colore più forte di tutti. Il bianco.

L’alfa e l’omega. Se lo scorso anno era pasta in bianco quest’anno doveva essere pasta al pomodoro. Anch’essa l’origine, la prova più difficile. Senza scomodare Pierangelini e Iaccarino. Si è dannata la band, per ricreare l’interezza del pomodoro, con la sua foglia. Ma quella dannata foglia restava sempre un po’ lì, slegata, amara, sul fondo. E’ intervenuta una folgorazione. Hilde Soliani, un naso di professione. Ha detto di usare la foglia del fico, che è stata messa in infusione nel burro per un’ora a sessanta gradi. Non è semplice, è cremosa, anche burrosa. E’ la pasta al pomodoro di Uliassi. Che sarà la nuova “devozione” di noi nordisti.

 

  • Lepre in civet (2017) vs. Colombaccio, rancido di prosciutto marchigiano, paprica affumicata, peperone crusco.
Lepre in Civet. Ph. Giovanni Ghiandoni

Lepre in Civet. Ph. Giovanni Ghiandoni

Colombaccio e rancido di prosciutto

Colombaccio e rancido di prosciutto

Nel Conero tutti i cugini dei pescatori avevano il fucile.  La caccia era evasione e risorsa. Con la lepre ci facevano il sugo per la pasta. Loro hanno puntato sul classico “civet”, con tutte le interiora, sangue carcasse per laccare la carne frollata. Toccata e fuga dal fuoco e poi la nappa. Olive bruciate su carbonella mescolate al nero di seppia. La lepre del cugino del pescatore è servita.

La carne è integra, l’ancestrale è il rancido del prosciutto. Si diceva umami per fare i fighi, ma qui c’è di più. C’è il crusco delle messi assolate di Lucania gelate d’inverno. C’è l’umeboshi che non ti aspetti. C’è il ricordo di quella carne della domenica, dove se eri sfortunato trovavi “il pallino”. Ecco, c’è il metallo del pallino da caccia.