Tascante – Il volto “etneo” di Tasca d’Almerita
di Francesco Raguni
Tasca d’Almerita è ormai sinonimo di storia del vino siciliano. L’azienda agricola, che trae il suo nome dall’omonima famiglia, nel corso degli anni, è riuscita ad espandersi sempre di più fino a divenire un punto fermo dell’enologia dell’isola.
Tascante: volti da Vulcano
Dal 2007, Tasca d’Almerita è approdata sull’Etna, dando vita a Tascante, sua arteria etnea il cui nome gioca con le parole “Tasca” ed “Etna”, essendo “Ante” proprio “Etna” al contrario. “Tutto ebbe inizio quando mio fratello Giuseppe, impareggiabile visionario, per me un pilastro nella vita e nel lavoro, di rientro dall’Etna mi portò alcune bottiglie di nuova generazione per lui interessanti. Aveva pienamente ragione: quei vini erano più che intriganti, complessi ed eleganti. […] racconta sempre Alberto Tasca. Tuttavia, è cosa nota che la vite abbia bisogno di tempo: i risultati sperati infatti sono arrivati dopo 15 anni. Ad oggi, sul vulcano, Tascante è presente con due strutture sul versante Nord: una, in contrada Rampante, dove si trova la cantina, un’altra in contrada Pianodario, in cui è stata edificata la parte dedicata all’accoglienza.
Proprio a Rampante, troviamo Michele Brusaferri, agronomo dell’azienda. Originario del Nord Italia, sembra ormai essersi perfettamente integrato con il territorio: se non fosse per l’accento, si potrebbe dire che Michele sia un etneo doc. Basta scambiarvi due chiacchiere per capire quanto sia profondo il suo legame con il Sud e quanto amore abbia sviluppato per la viticultura del Vulcano. Discorso diverso per Pianodario, in cui: può invece assaggiare la cucina di chef Nunziella La Piana. Tra i suoi taglieri e i suoi fornelli, si lavorano– in primis – i prodotti dell’orto di Tascante, poi c’è spazio anche per materie prime locali come carne di suino e formaggi locali. Così si passa dalla parmigiana di melanzane alla polpetta al limone con contorno di lattuga siciliana in purezza, mentre si degusta nel vecchio palmento della struttura una bottiglia etnea. Ovviamente il vino resta sempre il cardine di questo mondo, è proprio lui che accompagna la cucina e non viceversa. I piatti sono cuciti su misura per i calici. Al tavolo, c’è anche un piccolo spazio per l’olio: più di 300 piante d’ulivo per due cultivar, quali nocellara etnea e brandofino (randazzese), regalano un prodotto dalla spiccata acidità e piccantezza, ricco di profumi e tipico del Vulcano. Perfetto sul pane caldo o per condire un’insalata fresca.
Carricante e Chardonnay: bianchi differenti
Chiusa questa breve digressione dedicata all’enogastronomia dell’azienda, torniamo in cantina da Michele e vediamo meglio la linea di etichette firmate Tascante. Sull’Etna, questi hanno principalmente tre vitigni: due autoctoni, quali Carricante e Nerello Mascalese, e uno no, lo Chardonnay. Quest’ultima è il protagonista di “C’era già”, vino prodotto dalle uve piantante in contrada Rampante, dall’ottimo potenziale di invecchiamento, che affina in rovere francese di Chassin. C’era già – come lascia intuire il nome – esisteva ancor prima di chiamarsi così. Infatti, prima sull’etichetta il vino recava soltanto il nome del vitigno da cui nasce. Uno storico di produzione di non poco conto, che è stato diffuso in maniera capillare anche a livello locale. Il paragone tra l’annata corrente e la 2015, gelosamente custodita nel ristorante di Parco Statella, è la dimostrazione di quanto appena detto. Bouquet olfattivo ricco e ampio, che spazia dalla frutta bianca matura a forti sentori erbacei: in questo raggio d’azione emerge anche una sfumatura di terziari, vanigliata e piacevole; in bocca – nonostante l’età – è ancora fresco, a riprova del suo potenziale di vita. Perfetto in abbinamento con un piatto a base di funghi o carni bianche (come il maiale).
I bianchi di Tascante, però, non finiscono qui. Il Carricante, uva a bacca bianca regina dell’Etna, viene attualmente coltivata in contrada Grasà e Sciaranova.
L’Etna Bianco prodotto a Sciaranova nasce da grappoli pigiati e fermentati interamente in una botte di rovere di Slavonia da 25hl, qui il vino “dorme” sulle sue fecce fini per un anno. Il vigneto si trova a 730 m s.l.m. nel Versante Nord etneo nel comune di Randazzo ed è stato impiantato dalla famiglia Tasca nel 2017.
Etna Bianco “Sciaranova” 2022 è un vino che non ha paura di manifestarsi in tutta la sua maestosità, è una grande prova di convivenza tra il Carricante ed il legno. Il naso – agrumato e molto minerale – cede il passo ad una bocca ricca di durezze, quali acidità e sapidità. Da evidenziare il ritorno di limone di Sicilia che si ha con la retronasale. Contrada Grasà merita un discorso a parte, dato che è protagonista di uno dei progetti pensati dal direttore commerciale Leonardo Vallone. L’interesse per questa zona deriva dal suolo, che è un misto tra il tipico scheletro etneo ed il flysch di Capo d’Orlando. Qui, oltre al Carricante, è stato piantato anche il Nerello: ambedue gli impianti risalgono a soli 2 anni fa. L’ingresso in commercio dell’etichetta è previsto per il 2030. E chissà che in futuro non ci sia spazio per un’altra struttura, attualmente la priorità tocca a Sciaranova.
Il Nerello e le sue Contrade: uno sguardo al futuro
Il Nerello Mascalese di Tascante, comunque, non è piantato soltanto nell’appena citata Contrada, ma si trova anche a Montelaguardia, Pianodario, Rampante e Sciaranova. Quest’ultime due sono, tra l’altro, state le prime contrade su cui Tasca ha scelto di investire sull’Etna. La filosofia aziendale in merito è ancorata ad un punto di fisso di non poco conto: il nerello mascalese viene visto come una tela bianca da dipingere con i colori di ogni Contrada, così ogni calice non sarà un semplice bicchiere di nerello, ma ora un sorso di Rampante, ora di Sciaranova. Basta assaggiarli per avere contezza di quanto appena detto: Rampante è più scorbutico, meno pronto, dal tannino scalciante, al bicchiere racconta il vino che un tempo si produceva sull’Etna (nonostante non abbia nessun contatto con il legno di castagno). Sciaranova, è meno burbero, più levigato ed elegante, si presenta all’assaggio come una via di mezzo tra i dogmi del passato e le scoperte del futuro.
Rampante viene vinificato in acciaio mentre l’affinamento viene svolto per intero in botti di Rovere di Slavonia da 25 hl. In questo caso, ci troviamo tra Passopisciaro e Solicchiata, sempre nel comune di Randazzo, a 730 m s.l.m. Il territorio è caratterizzato da formazioni di origine vulcanica di diversa caratterizzazione litologica, ma dello stesso periodo temporale. Sciaranova, invece, viene vinificato in acciaio ed affinato per il 90% in botti di rovere di Salvonia da 25 hl, per il restante 10% in tonneaux da 300 l di rovere francese di secondo e terzo passaggio.
Da questa contrada, che, come abbiamo detto, si trova a più di 700 metri di altezza, nasce una seconda etichetta: Sciaranova V. V. (cioè Vigne Vecchie).
Si tratta infatti di viti provenienti da un impianto del 1961 – concepito ad alberello, oggi a cordone speronato- circondate da un muretto di pietra tirato a secco e da un bosco di castagni.
Ci troviamo di fronte ad un suolo con più strati composto da colate laviche diverse: in superfice più sabbia e roccia sgretolata risalente tra 6.000 e 1.000 anni fa, più in profondità uno strato di roccia più solida databile tra i 15.000 e i 24.000 anni di età. In occasione di Contrade dell’Etna 2025, abbiamo assaggiato la 2019 e vi abbiamo raccontato di come questi sai un vino austero, concepito per invecchiare, come le viti che lo hanno creato, scuro, fumoso e profondo.
Chiosa finale per contrada Pianodario, a 775 m.s.l.m. tra Montelaguardia e Randazzo, il cui suolo arriva ad avere anche strati tra i 30.000 e i 40.000 anni di età. Proprio lei è la protagonista di un progetto dedicato esclusivamente al fine dining ideato dal direttore commerciale Vallone. Infatti, ad oggi è disponibile soltanto presso 40 ristoranti in Europa, di cui 34 in Italia (di questi circa 25 sono ristoranti insigniti della stella Michelin).
I progetti, inoltre, non si limitano alla mera personalizzazione della bottiglia: dal prossimo anno chi firmerà un accordo triennale con l’azienda, “riceverà” un filare del vigneto, così che – in futuro – potrà avere la propria parcella in bottiglia. Ovviamente, ogni filare sarà contraddistinto dalla targa dell’attività di riferimento. Dei rossi di contrada di Tascante, Pianodario è la versione più delicata. Si potrebbe dire che il Nerello si è spogliato degli abiti di pietra lavica per vestirsi del velluto di Borgogna. La vigna è composta da 99 terrazze: per esposizione e ventilazione, qui il nerello matura tardivamente e per tale ragione viene raccolto intorno alla prima decade di novembre. La vinificazione avviene in acciaio, segue un affinamento in botti da 25 hl di Rovere di Slavonia. Sulla lingua scorre sinuoso ed elegante, al naso rivela frutta rossa e note di rose e spezie scure.
La chiosa finale ovvero l’ultimo calice
Così da Pianodario, torniamo un’ultima volta a Rampante, nel “regno” di Michele Brusaferri per chiudere un cerchio che profuma di lava e vino. Nerello, Carricante e anche altri vitigni divengono così ponti capaci di unire persone con bagagli differenti: il vino di Tascante è capitale umano. E il lettore voglia perdonare l’autore per la chiusura meno asettica, ma da catanese (o etneo, che dir si voglia) vedere il proprio territorio elevarsi e guardare anche oltre lo Stretto, senza snaturarsi o – come direbbe Sorrentino – senza disunirsi, non può che scaldare il cuore: un po’ come accade dopo un calice di vino a tavola tra amici.