Timorasso: viaggio alla scoperta del grande bianco piemontese


Timorasso - GianPaolo Repetto

Timorasso – GianPaolo Repetto

di Raffaele Mosca

È l’astro nascente del vino piemontese: un bianco che punta in alto, dove solo i grandi rossi riescono ad arrivare. Cresciuto da 40 a più di 300 ettari in dieci anni, da poche migliaia di bottiglie ad oltre un milione, è onnipresente nelle carte dei vini della ristorazione d’alta fascia in Italia, e va alla grande anche in Belgio, Scandinavia, Giappone, Corea del Sud, Stati Uniti e Germania.

Si scrive Timorasso, ma si legge “Timorosso”, perché di fatto è un rosso travestito da bianco: vino di struttura e di spessore, l’antitesi del bianchetto effimero e senza pretese da vendere per due lire a sei mesi dalla vendemmia. E pensare che, a cavallo tra gli anni 70’ e 80’, ha rischiato di sparire: surclassato dal Cortese, vitigno più facile da gestire, più produttivo e quindi più redditizio in tempi in cui bisognava fare numeri per tirare a campare. Se esiste ancora è per merito di quel pazzo scatenato di Walter Massa, tra i vignaioli più visionari dell’ultimo trentennio, il primo a credere veramente in un territorio che fino a quel momento aveva fatto da serbatoio per Monferrato e Langhe. Un vero leader che ha saputo condividere le proprie intuizioni con chi ha voluto seguirlo, diventato un punto di riferimento non solo per i produttori dei Colli Tortonesi, ma per tutti i piccoli delle zone minori che cercano il riscatto. Oggi Walter vede finalmente il suo obiettivo realizzato: il Derthona Timorasso, finora tutelato da un marchio privato istituito per sopperire all’inerzia del pubblico, sta per diventare DOC. E il disciplinare avrà come punti chiave i cardini della sua rivoluzione: rese non superiori ai 75 quintali/ettaro, obbligo di vinificazione di uve Timorasso in purezza, non meno di un anno di affinamento prima della messa in commercio (che diventano due nel caso della riserva).

Timorasso - Vigneto

Timorasso – Vigneto

All’alba di questa nuova era – con la DOC che, burocrazia permettendo, dovrebbe arrivare entro fine anno – abbiamo fatto un salto nei Colli Tortonesi per visitare quattro aziende di rilievo in questo panorama in continua evoluzione. Eccole qui:

VIGNETI REPETTO

Primo appuntamento con Gian Paolo Repetto, attuale presidente del consorzio Colli Tortonesi. Gian Paolo produce vino da meno di dieci anni: la sua azienda è nata nel 2013. Non è difficile, però, capire perché lo abbiano scelto come guida: oltre ad essere persona di rara posatezza ed equilibrio, ha anche un background professionale importante. Prima di cimentarsi in quest’avventura, è stato al comando di un’azienda leader nel settore della materie plastiche. “ Per trent’anni ho girato il mondo per almeno sei mesi all’anno, – spiega – è una vita che ti può piacere da giovane, ma, arrivato a una certa età, ti rendi conto che il posto dove si sta meglio è casa tua”. Da qui la decisione di tornare sui suoi colli e mettere su un’azienda che, in poco tempo, ha raggiunto traguardi importanti, sia sul fronte della critica e dei riconoscimenti che su quello commerciale. La tenuta consta di 15 ettari coltivati in regime biologico e si trova a Sarezzano, comune subito sopra Tortona che oggi vanta la maggiore concentrazione di vigne piantate a Timorasso. Dalla nuova cantina, ancora in fase di completamento, si gode di un panorama mozzafiato che spazia dalla pianura a nord – con il Monviso sullo sfondo – fino all’Appennino ligure a sud e alla Lombardia ad est.

L’azienda vanta un assetto produttivo preciso, rigoroso, e una distribuzione capillare sul territorio italiano e in tutto il centro Europa. Lo spirito dell’imprenditore si vede nel packaging – essenziale, ma pulito e accattivante – e nell’attenzione alla tecnologia, che non equivale a strafare per ostentare come fanno certi grandi investitori che con la terra non hanno nessun legame, ma trovare soluzioni innovative per migliorare il risultato finale. Tanto per fare un esempio, Gian Paolo ha dotato la sua cantina di tini Vino Oxygen, progettati da una startup di Loazzolo, che permettono, attraverso un sistema molto complesso, di elementare le fecce del vino senza travasi. “ In questo modo lavoriamo in assoluta riduzione, senza che il mosto entri mai in contatto con l’ossigeno” ci spiega. Una manna celeste per un vitigno che, come il Riesling, non ha bisogno di scambi con l’esterno per sviluppare grande complessità. “ In tanti assaggiano i nostri vini e pensano che abbiano fatto legno – spiega – in realtà il Timorasso in legno è una rarità. La complessità degli aromi proviene dall’uva e non da altro.”

LA COLOMBERA

“ Io me ne staro qui, a zappare la vigna e a mangiar pane e cipolla, mentre tu marcirai nelle aule di un tribunale”. È la frase rivolta da un padre vignaiolo a una figlia che studiava  giurisprudenza. Dice molto sulla seconda azienda che si visitiamo: La Colombera, una cascina sul crinale delle colline di Vho, borgo tra i più belli d’Italia, dove il tempo sembra essersi fermato. Una realtà radicalmente diversa dalla prima, fondata da contadini lungimiranti, che oltre quarant’anni fa si sono staccati dalle cooperative per produrre in proprio, e sono riusciti a guadagnare abbastanza per far studiare i figli.

Timorasso - La Colombera

Timorasso – La Colombera

La storia poteva finire in tutt’altro modo: con una figlia avvocatessa e un podere messo in vendita o trasformato in casa  per le vacanze, ma Elisa si è lasciata persuadere da papà Piercarlo e ha deciso di rinunciare a qualunque prospettiva di vita borghese per trasformare un’azienda agricola con un mercato prettamente locale in qualcosa di ben più ambizioso.

Oggi lei si occupa della parte commerciale, mentre suo fratello Lorenzo, ex sportivo, si divide tra vigna e cantina. Gli ettari di proprietà sono circa venti, di cui circa la metà piantati a Timorasso. Papà Piercarlo è stato un pioniere di questo vitigno: l’ha introdotto nel 1997, sull’onda dei primi successi di Walter Massa; ha cominciato a imbottigliarlo nel 2000 e, nel 2006, ha prodotto per la prima volta un Timorasso Cru, il Montino, che poi è diventato il vino di punta dell’azienda. Tutto questo senza mai ricorre alla chimica in vigna – “ facciamo biologico da prima che se ne  cominciasse a parlare” – e senza rinunciare alla biodiversità.  Tutt’oggi, oltre al vino, i Semino producono ceci, cereali e le famose pesche sciroppate di Volpedo.

 

GIACOMO BOVERI

A Costa Vescovato, 300 anime e dieci cantine, Boveri è il cognome più diffuso, un po’ come Conterno a Monforte d’Alba. Giacomo è uno dei membri di spicco del “clan”, che ha annoverato tra i suoi componenti anche quella Angiolina Boveri che fu madre del grande ciclista Fausto Coppi, nato  a Castellania, pochi chilometri più in là.  Neanche il tempo di stringerci la mano e siamo sulla sua jeep, in mezzo alle colline che circondano il paese, dove il suolo è molto simile a quello della zona di Barolo. “ Non è un caso che il terreno di alcune zone delle Langhe venga chiamato Tortoniano – ci spiega – il nome viene proprio da Tortona, e anche le marne di Sant’Agata, che si trovano in Cru prestigiosi come Cannubi, si chiamano così perché i geologi le hanno trovate nel paese di Sant’Agata Fossili, che è qui vicino.” La domanda che sorge spontanea è: perché non piantare Nebbiolo?! “ E’ una questione di clima – risponde Giacomo – qui nei Colli Tortonesi fa troppo caldo per produrre grandi vini da  Nebbiolo. Abbiamo bisogno di uve che mantengano livelli di acidità importanti anche in stagioni molto calde.”

Timorasso - Vigneto

Timorasso – Vigneto

Di Barbera Giacomo mantiene una vigna di ben 100 anni, simbolo di una famiglia che fa vino da tempo immemore. La vediamo sul fondo del crinale, con i suoi ceppi spessi e contorti; è tra i primi appezzamenti da cui ha cominciato a far vino imbottigliato quando, nel 1988, ha deciso di proseguire la tradizione familiare, in barba a chi nello stesso periodo abbandonava le vigne per andare a fare l’operaio o l’impiegato. Per i primi quindici  anni è stato produttore di rossi e di bianchi da Cortese. Poi è arrivato il Timorasso, entrato a pieno regime nei primi  anni 2000’. “ Le prime vigne adesso hanno più di 20 anni – spiega – la differenza comincia a sentirsi sul serio”. Timorasso che lui declina in ben tre etichette da altrettanti vigneti, che assaggiamo in cascina durante il pranzo, in abbinamento a dei favolosi agnolotti burro e salvia preparati da sua moglie, avvocato di formazione che ha rinunciato a quella carriera per vivere la vigna a 360 gradi.  “ Vedi, il Timorasso è un vitigno sorprendente, soprattutto nel tempo. Il Lacrime del Bricco, per esempio: lo avevo assaggiato dopo la vinificazione e non mi aveva convinto per niente. Mi sembrava troppo semplice e volevo declassarlo a Petit Derthona. Poi, però, l’ho riprovato dopo qualche mese ed era cambiato completamente. E’ questa la forza del vitigno: riesce ad evolvere costantemente, in bottiglia e nel bicchiere”.

 

VIGNE MARINA COPPI

Per l’ultima visita si va a proprio a Castellania, tra i tornanti dove Fausto Coppi si allenava per le competizioni internazionali. Un luogo che vive ancora di questo mito – con tanto di gare commemorative che attraggono professionisti e amatori da ogni angolo del globo – dove suo nipote Francesco Bellocchio  è voluto tornare per riallacciare i legami con una tradizione che era andata persa.

Timorasso - Vigne Marina Coppi

Timorasso – Vigne Marina Coppi

I bisnonni, infatti, avevano un’azienda agricola a tutto tondo, con cereali, ortaggi, animali da cortile e probabilmente anche un po’ di vigna. In seguito,  Marina, figlia del ciclista e madre di Francesco, si è trasferita a Novi Ligure, dove tutt’oggi risiede, per fare la maestra di scuola elementare. Francesco ha pensato bene di dedicargli la cascina rilevata nel 2003. Dal nonno, invece, prendono il nome due delle tre etichette di Timorasso: Fausto e Grand Fostò “ Grand Fostò è un soprannome coniato dai giornalisti francesi – ci spiega Anna, moglie di Francesco e madre dei suoi tre figli – così veniva chiamato Fausto quando partecipava al Tour de France. Abbiamo deciso di dare questo nome al nostro vino di punta: poche centinaia di bottiglie di Timorasso affinato in tonneaux per avere un profilo che ricordi un po’ la Borgogna.”

Anna ci porta a spasso intorno alla cascina. Francesco, invece, lo incontriamo nel bel mezzo della vigna, impegnato nella potatura. La tenuta si trova nel mezzo di una sorta di anfiteatro naturale dove oggi il bosco la fa da padrone. “ Qui in passato il vigneto era ovunque – spiega Anna – oggi, invece, siamo praticamente soli con i nostri 6 ettari.” Un ambiente ideale per fare viticoltura a residuo zero, gestendo in proprio tutta la produzione, che ammonta a circa 20-25.000 bottiglie. Numeri esigui, ma i traguardi raggiunti sono importanti, sia sul fronte del mercato – sono gli unici di zona nel portfolio di una delle più importanti distribuzioni italiane – che su quello della critica.

 

I vini

VIGNETI REPETTO:

Derthona Timorasso Quadro 2020

Dieci ore di macerazione in pressa, fermentazione con lieviti selezionati nel territorio,  un anno e mezzo di affinamento tra acciaio e bottiglia. Ha un profilo giovanile e garbato, giocato su toni di bergamotto e pietra focaia, salvia e lemongrass, con fondo più maturo di susina gialla. Deve ancora sbocciare, tirar fuori la profondità del Timorasso evoluto, ma piace già per equilibrio tra struttura imponente, acidità rinfrescante, salinità e vena mentolata che siglano una chiusura all’insegna dell’equilibrio e della pulizia.

Derthona Timorasso Quadro 2019

Cambio di passo deciso:  un anno in più ed escono chiare sensazioni di fieno e idrocarburo, mostarda di pere, caramella d’orzo e qualche refolo di erbe disidratate. Ha una polpa ricca, solare, di frutta estiva molto matura, calibrata da adeguata freschezza e intensa mineralità che dà profondità all’allungo. “ Al momento abbiamo entrambe le annate in commercio – spiega Gian Paolo – il nostro obiettivo è avere sempre disponibile per la vendita una piccola verticale di Timorasso.”

Derthona Timorasso Origo 2017

Qui si gioca un altro campionato: il naso ricorda sulle prime un grande Riesling – idrocarburo ed erbe officinali, zenzero candito – ma con un frutto più maturo e solare, che torna coerente a dar volume e spessore a un sorso cremoso e allo stesso tempo teso, caldo quanto basta, con finale chiaroscurato tra ritorni fumè, rintocchi salini e qualche accento mielato.

Monleale Barbera Quadro 2018

Una Barbera spigliata, ma non effimera. Sta 12 mesi in tonneaux e, all’esordio, profuma di mirtilli schiacciati e more, rosa rossa, chiodo di garofano. Scorre bene tra acidità squillante e ricca polpa fruttata; chiude su toni speziati e lievemente tostati. Godibile.

Monleale Barbera Evoluta 2017

Un anno in più in legno e il profilo cambia: emergono aromi di tabacco e cioccolato fondente, marasca e mentolo. E’ più robusta della precedente, sicuramente più alcolica. La freschezza di fondo calibra il corpo pieno, ma forse Quadro convince di più per immediatezza e scorrevolezza di beva.

 

LA COLOMBERA:

Derthona Timorasso 2020

Un profilo molto diverso rispetto a quello del Quadro di Repetto, che evidenzia già qualche tratto evolutivo, di resina e pietra focaia, oltre a zenzero, curcuma, fieno, cenni di frutta estiva non troppo matura. Il sorso è dritto e scattante, con alcol ben assestato e salinità in lizza, ritorni minerali a iosa nel finale austero e accattivante.

Derthona Timorasso Il Montino 2020

Un po’ restio sulle prime, acquista molta intensità con lo scendere della temperatura e il passare dei minuti. Mostarda di pere e bergamotto, caramella d’orzo e camomilla fanno da corollario alla profonda matrice minerale/idrocarburica. E’ roccioso e salato, più profondo e meno immediato del Derthona, ma con stoffa notevole evidenziata anche dal finale lungo e raffinato su toni di erbe officinali. Da scordare in cantina per un non meno d’ un paio d’anni.

Monleale Barbera Vegia Rampana 2020

“La vecchia strega che, se vai al pozzo, ti rapisce”. Una leggenda che serviva ad allontanare i bambini dai pericoli dà il nome alla Barbera d’ingresso, affinata solo in acciaio per un anno. Ha un profilo sfizioso, incentrato su toni di liquirizia, frutti rossi maturi e qualche refolo floreale. Allegra e spensierata, da sbicchierare con pane e salame di Varzi, scorre disinvolta fino al finale floreale e vinoso di bella immediatezza.

Monleale Barbera Elisa 2018

12 mesi di barrique per un vino più profondo, che, però, non perde di vista la scorrevolezza. I profumi virano sull’incenso e sulla cannella, sul cioccolato e sull’amarena, ma in bocca un ritorno di arancia sanguinella garantisce la fluidità dello sviluppo, che chiude salino e mentolato. Gran bella interpretazione di questa Barbera “più meridionale”.

 

GIACOMO BOVERI:

Derthona Timorasso Lacrime del Bricco 2020

Una versione chiara e delicata del Timorasso: kiwi e mela renetta, fieno e camomilla, finocchietto selvatico e un cenno di idrocarburo sul fondo. E’ dritto, sferzante, roccioso, ancora molto giovane, ma dotato di equilibrio e finezza, nerbo acido saldo che lo proietta nel futuro.

Derthona Timorasso Muntá Le Ruma 2019

Salvia e maggiorana, susina gialla e toni idrocarburici in crescendo. L’anno in più si sente in bocca, dove la materia fruttata e più distesa e matura, l’acidità ben integrata, spezie ed erbe disidratate definiscono il finale di ottima persistenza.

Derthona Timorasso Piazzera 2018

Balsamicità prorompente e liquirizia, timo, lavanda, il solito accento idrocarburico e qualche idea di miele. Ha la bocca più tonica e verticale della batteria, con acidità molto dritta e ritorni minerali che rasentano il salmastro, liquirizia e pepe bianco nel finale austero, roccioso. Ancora in fasce.

Derthona Timorasso Lacrime del Bricco 2016

Sei anni di affinamento e il Timorasso entra nella sua finestra di massima espressività, ricordando molto un Riesling Renano, magari di una zona più calda rispetto alla Mosella, come  il Palatinato. Miele d’acacia e tortino alle pere, fieno e crema chantilly sono incorniciati da refoli affumicati e di benzene. Il sorso è cremoso, disteso, avvolgente e rassicurante, ma con piglio minerale di fondo che fornisce supporto e allunga la chiosa ravvivata da un ricordo balsamico. Magnifico!

Colli Tortonesi Barbera 18 Marzo 1878

La data è quella dell’atto di acquisto del terreno. La vigna chiaramente è stata reimpiantata parzialmente negli anni, ma al suo interno si trovano ancora alcuni spessi e contorti ceppi di fine 800’. La vinificazione avviene in acciaio, ma la complessità delle vigne stra-vecchie si fa sentire: emergono profumi allettanti di pepe nero e pepe rosa, mentuccia ed elicriso, mirtilli maturi e liquirizia. Il sorso è agile e sfizioso, con polpa ben dinamizzata dall’acidità infiltrante e ritorni speziati che rendono vivace la progressione molto godibile ed equilibrata. Una Barbera senza orpelli, di pronta beva, ma con carattere tutt’altro che banale.

 

VIGNE MARINA COPPI:

Derthona Timorasso Marine 2020

Due Marine: la mamma e anche una delle tre figlie di Francesco e Anna. A loro è dedicato il vino d’ingresso della cantina: una versione leggera e disimpegnata del Timorasso, con profumi di melissa e maggiorana, limone candito, e un sorso scorrevole, diretto, con acidità pimpante e finale leggermente ammandorlato.

Derthona Timorasso Fausto 2020

Lo stendardo dell’azienda: un Timorasso fine e garbato, che sa di erbe aromatiche e caramella d’orzo, zenzero e camomilla, con cenno fumè di fondo. E’ avvolgente, solare di pesca e susina non troppo matura; la classica parte minerale emerge nello sprint finale, ma il sorso rimane comunque meno austero, più gentile della media.

Colli Tortonesi Barbera I Grop 2016

Una Barbera che mi era rimasta impressa al primo assaggio, avvenuto al Boccondivino di Bra qualche anno fa. La ritrovo anche migliorata, con un profumo splendido di visciola e cioccolato fondente, tabacco mentolato e fiori in appassimento. Riesce ad essere polputa, ampia e allo stesso tempo agile, con alcol ben integrato e ritorni agrumati che danno  sprint a un finale preciso e accattivante.

Derthona Timorasso Grand Fostò 2016

Cosa succede quando il Timorasso passa in legno? Be’, può accadere che perda un po’ di grinta e di tipicità, ma non è questo il caso. I connotati classici del Timorasso – erbe officinali, accenti idrocarburici – sono presenti nel Grand Fostò, ma s’intrecciano con ricordi più dolci, di zucchero filato, cotognata e cannella. Il sorso è largo, avvolgente, disteso e compassato, ma con grip acido di fondo adeguato e verve minerale che emerge più chiara nell’allungo. Ha già sei anni, ma sembra giovanissimo. Ha appena cominciato il suo percorso evolutivo e può riposare in cantina per diversi anni.