TuttoPizza 2018. Sergio Miccù: Non mi piace lo chef-vedette della tv che si improvvisa pizzaiolo


Sergio Miccu'

Sergio Miccu’

di Antonella D’Avanzo

Presidente dell’Associazione Pizzaiuoli Napoletani, Sergio Miccú di iniziative e battaglie a tutela della categoria ne ha portate avanti tante. E le soddisfazioni sono venute. A partire dal riconoscimento Unesco per l’arte del pizzaiuolo.
Trasferitosi molto giovane in Francia, è lì che, insieme alla sua numerosa famiglia, ha costruito gran parte del suo successo. «Ma prima ancora di iniziare a lavorare intensamente coi miei ho avuto il piacere di far parte della brigata di cucina della Casa Reale dei Ranieri di Monaco: mi chiesero addirittura se, da buon napoletano, sapessi fare la pizza. Risposi di no, mio malgrado. Poi mi misi a lavorare con mio cugino che assunse un pizzaiolo napoletano, restai affascinato, imparai il mestiere e mi venne questa passione per la pizza».
Da lì il suo percorso alla guida dell’associazione con tutti i successi conseguiti.
«Non subito. Tornai in Italia dove poi mi sono sposato e sono rimasto. È a quel punto che capii che bisognava fare qualcosa. La categoria non era riconosciuta. E l’arte andava (e va ancora) tutelata».
Come per esempio?
«Credo e mi sto battendo da anni affinché ci sia un riconoscimento a parte specifico per la figura del pizzaiolo nelle scuole alberghiere, e penso che alla fine ci riusciremo».
Partiamo dalla denominazione: pizzaiolo o pizzaiuolo?
«Dal momento che è un’arte nata a Napoli va pronunciato alla napoletana ovvero pizzaiuolo. E questo per distinguerlo da altre forme di impasti e di lavorazioni che non hanno nulla che fare con la pizza tradizionale».
Come e se è cambiata la figura del pizzaiuolo dal riconoscimento Unesco dell’anno scorso?
«Innanzitutto va raccontato come si arriva a tale prestigioso riconoscimento. Era il 2010 eravamo a Palinuro per la proclamazione della dieta mediterranea. Nacque insieme ad alcuni medici l’idea di inserire la pizza, piena di carboidrati, nella dieta mediterranea, addirittura fu preparato un bel forno a legna a bordo piscina dell’hotel, e l’allora ministro dell’Agricoltura Galan fece sua questa proposta. Poi la pratica si arenò sino a tre anni fa quando ritornammo alla carica con la mia associazione e con la collaborazione del gruppo verace pizza sino alla proclamazione dell’anno scorso. Tutto ciò a beneficio del nostro paese, miriamo alla formazione strettamente italiana, un’identificazione precisa con la nazione».
Museo della pizza, New York o Napoli, perché scegliere quest’ultima?
«Per prima cosa, possiamo dire chiaramente che il museo lo abbiamo già creato noi a Napoli proprio a Tuttopizza. Se poi lo vogliono fare altrove, mai impedire queste iniziative. Non hanno inventato nulla e tutto ciò va beneficio del movimento».
In venti anni com’è cambiata la pizza?
«Anticamente sfamava i poveri, negli anni’60-70 la media borghesia, oggi vediamo anche che in alcuni casi è un piatto di lusso. La margherita resta la regina ma ci sono tanti altri abbinamenti. Non mi piace lo chef-vedette della tv che si improvvisi pizzaiolo con sue creazioni, il pizzaiuolo resta sempre quello tradizionale con la sua grande arte».
L’importanza di Tuttopizza nel panorama generale…
«Io e Raffaele Biglietto abbiamo voluto fortemente che la rassegna fosse a Napoli. Ci deve essere un’identificazione precisa tra il nostro territorio e il mondo della pizza, ci sono altre rassegne all’estero, ma quella napoletana deve diventare un punto di riferimento mondiale. E poi dopo Tuttopizza avremo a giugno il campionato mondiale della pizza alla sua 17esima edizione. Mi piangeva il cuore che si tenesse a Salsomaggiore».