I migliori venti vini del Sud a Merano


Merano WineFestival 2015 - immagine tratta da www.meranowinefestival.com

Merano WineFestival 2015 – immagine tratta da www.meranowinefestival.com

di Gianmarco Nulli Gennari

Al Wine Festival di Merano sono in genere le regioni del nord e le loro bottiglie ad essere le più visibili in vetrina. Un posto di riguardo, e ci mancherebbe, lo occupa anche la Toscana. Ma non va dimenticata la piccola e agguerrita pattuglia di produttori che dopo un lungo viaggio approdano alle sale del Kurhaus dal lontano Mezzogiorno. Quest’anno abbiamo voluto dedicarci in particolare a loro, e abbiamo trovato tanti segnali positivi sulla qualità raggiunta da molte aziende: colossi, marchi storici, piccoli artigiani. Conferme che arrivano tra le etichette più famose e scoperte di piccoli tesori forse meno conosciuti di quanto meriterebbero.

Ecco quindi una rassegna dei nostri venti migliori assaggi a Merano 2015, in ordine rigorosamente sparso.

Primitivo Gioia del Colle Muro S.Angelo Contrada Barbatto 2012 – Chiaromonte. Da vigne di sessant’anni, la quintessenza del primitivo artigiano: molto speziato al naso, chiodi di garofano, cannella, pepe, poi ancora ciliegia e frutti di bosco; al palato è fresco, elegante ma allo stesso tempo esuberante, l’imponente materia non frena la beva, anzi, rilancia con continuità su un frutto saporito e perfettamente maturo.

Nerosanlore’ Igt Rosso Sicilia 2010 – Gulfi. Da una vigna a un passo dal mare di Pachino, anche se quest’anno il cru esprime profumi più fini e sottili, quasi alpini, mentolati e balsamici. Ha un tannino denso e succoso, di gran classe e sensualità; in chiusura ti ricorda da dove viene ed esprime una salinità quasi iodata. Applausi, come sempre, al suo artefice Salvo Foti. Buonissimo anche il 2007 della stessa etichetta e l’altro cru Bufaleffj; menzione d’onore per il gioioso e scorrevolissimo Cerasuolo di Vittoria 2014.

Taurasi 2011 Macchia dei Goti – Caggiano. Etichetta di riferimento del Taurasi moderno, negli ultimi anni la creatura prediletta dei Caggiano (assistiti in cantina dal “prof” Luigi Moio) sembra trovare un’ulteriore focalizzazione stilistica. Questa edizione, seppur giovanissima, sembra meno condizionata dal legno di affinamento lasciando così a briglia sciolta sentori intensi e gradevoli di prugna, mora, tabacco e liquirizia. In bocca ha già un suo equilibrio e bella dinamica gustativa; il finale è profondo e fruttato. E nei prossimi anni diventerà ancora più buono.

Primitivo di Manduria Es 2013 – Fino. Cosa aggiungere ancora su questo celebre rosso pugliese che non sia già stato scritto? Non c’è la notizia, l’Es ha una continuità implacabile ed è anche quest’anno un grande vino: spezie, macchia mediterranea (mirto), frutti di bosco; compostezza esemplare al palato nonostante la mole e l’alcool, finale lunghissimo di amarene. Più interessante forse notare come il fratellino Jo, negroamaro in purezza, non è poi così distante in termini di profumi, dolcezza di frutto ed equilibrio.

Santa.Nè Igt Rosso Sicilia 2008 – Palari. Ci abbiamo pensato a lungo prima di inserirlo tra i migliori assaggi poiché si tratta di un vino quasi introvabile: appena mille bottiglie frutto di un piccolo vigneto di uva “francisa”, probabilmente petit verdot le cui marze giunsero da Oltralpe alla fine del XIX secolo, quando il commercio vitivinicolo tra Francia e Sicilia era fiorente. L’azienda, situata su alte colline nei dintorni di Messina e benedetta a suo tempo da Veronelli, è famosa per il Faro e il Rosso del Soprano, uvaggi di uve autoctone con prevalenza di nerello mascalese, ma questa “chicca” ci ha davvero colpito al cuore. Naso variegato con note di tostatura, cuoio, terra bagnata, salsedine, ribes; sorso leggiadro, seta e succo, potente e profondissimo. Un piccolo Bordeaux.

Fiano di Avellino Exultet 2013 – Quintodecimo. È prodotto dall’azienda di proprietà dell’enologo più noto della Campania, Luigi Moio, frutto del suo progetto quasi filosofico votato alla perfezione (e degli anni di studi a Bordeaux). Ottenuto da una singola vigna di Lapio, cru d’eccellenza della varietà, affina per un breve periodo in botti piccole. All’olfatto presenta lievi note di tostatura e più complesse di agrumi, miele e timo. In bocca ha una bella scorta di carattere e acidità, è perfettamente bilanciato e persistente sul frutto: la tecnica al servizio del sapore.

Turriga Isola dei Nuraghi Igt 2010 – Argiolas. Il “super-sardo” per antonomasia, uvaggio di cannonau, bovale, carignano e malvasia nera, che ha segnato come pochissime altre etichette l’ingresso della vitivinicoltura dell’isola nella modernità. A un anno dall’uscita sul mercato, si conferma una delle migliori edizioni di sempre: mirto, caffè macinato e liquirizia; al palato è potente, ricco, ma anche elegante e godibile, chiude netto su prugne e cioccolato. Aristocratico e buonissimo.

Tintilia del Molise Macchiarossa 2011 – Cipressi. Non è un vitigno che frequentiamo spesso: si trova in Molise, proviene probabilmente dalla Spagna, ha rischiato l’estinzione, ma oggi i produttori di quella piccola regione sembrano averlo adottato come bandiera identitaria. Bene così, speriamo che la sua fama aumenti perché le potenzialità ci sono tutte. Questo campione, allevato a circa 500 metri s.l.m., affina solo in acciaio, presenta al naso analogie con il cabernet franc ma anche una sottile speziatura (pepe bianco) e note floreali. Il tannino ha sapore ed è inaspettatamente aggraziato, il frutto dolce e croccante fraseggia in armonia con l’acidità, la persistenza è agrumata.

Sannio Taburno Greco 2014 – Fattoria La Rivolta. Maison spiccatamente bianchista, che spazia senza problemi tra falanghina, fiano e greco (l’uvaggio che compone il vino di punta, Sogno di Rivolta), guidata da Paolo Cotroneo con l’assistenza di Vincenzo Mercurio. Quest’anno ci ha stupito con due etichette che di solito non conquistano i titoli di apertura. Questo greco è figlio fedele del vitigno: profumi balsamici, macchia mediterranea, accenni minerali, scorza d’agrumi. In bocca è deliziosamente nervoso, “cattivo”, salato e giustamente tannico. Di certo un vino tutt’altro che facile e consolatorio. Da applausi anche la matura Coda di Volpe 2008 (varietà spesso sottovalutata), speziata, sapida e ancora molto tonica.

Sicilia Contea di Sclafani Nozze d’Oro 2013 – Tasca d’Almerita. Prodotto per la prima volta nel 1984 (da un’azienda da tre milioni di bottiglie annue), per celebrare i cinquant’anni di matrimonio del conte Giuseppe con la moglie Franca. Figlio di un blend particolare di inzolia in prevalenza (da vigne di quarant’anni) e sauvignon “Tasca”, una mutazione genetica del vitigno francese dimorato a Regaleali, affina solo in acciaio senza svolgere la malolattica. Naso molto fine di cedro, mandorla e accenni floreali e minerali; il sorso è spontaneo, centrato su frutto maturo e sale, si espande bene lungo il cavo orale, sapido e ricco nonostante la gradazione alcolica non elevata e la struttura essenziale. Rare verticali di vecchie annate hanno svelato anche un’insospettabile capacità di invecchiamento.

Montepulciano d’Abruzzo ris. Bellovedere 2010 – Fattoria La Valentina. Il Montepulciano più noto della cantina è lo Spelt, ma quest’anno ci ha colpito questo cru, vero manifesto del vino abruzzese moderno ma che conserva salde radici nella tradizione. Affina parte in barriques parte in botti di rovere e presenta profumi intensi di mora, terra bagnata, tè nero, spezie orientali, cuoio e perfino uno sbuffo di tartufo estivo. Palato pieno e avvolgente, reattivo, ben sostenuto dall’acidità, tannino estratto con grazia, balsamico e mentolato in persistenza.

Sicilia Grillo Parlante 2014 – Fondo Antico. Etichetta che negli ultimi anni non sbaglia un colpo, efficace ambasciatore del tipico bianco del litorale tra Marsala e Trapani. Vinificato solo in acciaio, è balsamico e floreale, con cenni alla macchia mediterranea e allo iodio; in bocca è salato e complesso, lungo e fresco. Compagno ideale per una bella grigliata estiva di pesce. Esemplare anche nel prezzo.

Vermentino di Gallura sup. Sciala 2014 – Vigne Surrau. In pochi anni è diventato uno dei punti di riferimento della tipologia. I vigneti sono a un passo dalla Costa Smeralda, la cantina è un gioiellino di design. Il vino invece è un inno alla tradizione, anche se rivisitata: roccioso come il granito da cui nasce, molto sapido e slanciato, succoso, con chiusura agrumata e floreale, di bella progressione. Continuiamo a preferirlo al più ambizioso Vendemmia tardiva.

Maccone Rosso 17° s.a. – Angiuli. Vino estremo, vino di vigna. Il 17 in etichetta indica i gradi alcolici, ma incredibilmente non si sentono. Ricavato da vigne di 80 anni con resa (ridicola) di 20 q/ha, primitivo in prevalenza con saldo di altre uve pugliesi. Solo acciaio e vetro. Risultato: una bottiglia monumentale ma allo stesso tempo elegante e di beva voluttuosa, segnata da ciliegia, cioccolato, china e spezie all’olfatto e nell’interminabile finale.

Costa d’Amalfi Furore bianco Fiorduva 2013 – Cuomo. Lo spettacolo, per chi volesse fare una visita, è unico: vigne autoctone “al cubo” (mai sentito parlare di fenile, ripoli, ginestra? Crescono solo nella penisola sorrentina), di età veneranda, spesso superiore agli ottant’anni, coltivate su muretti a secco, a picco sul mare, su terreni di origine vulcanica, ricchi di fossili. Il vino è di impostazione moderna ma più equilibrato di qualche anno fa: al naso arrivano frutta gialla e tropicale, salsedine, menta, limoncello; in bocca esordisce apparentemente “facile” ma ha materia, acidità e sale, notevole raffinatezza. In persistenza svela definitivamente la sua natura: è un grande bianco mediterraneo.

Fiano di Avellino Radici 2014 – Mastroberardino. Un valore sicuro, da anni. Uno degli interpreti più fedeli della tipologia da una cantina che rappresenta letteralmente la storia della viticoltura irpina. Molto elegante ai profumi, erba falciata, mela, pesca, miele; polposo e armonico al palato, balsamico, strutturato e persistente con ricordi di roccia bagnata e pompelmo. Nota a margine: sensazionale il riassaggio, il lunedì, giornata che Merano dedica tradizionalmente alle vecchie annate, del Taurasi Radici riserva 1998. Aglianico fino al midollo.

Trebbiano d’Abruzzo Nativae 2014 – Tenuta Ulisse. Pratiche biologiche al servizio del sapore. Potremmo sintetizzare così questo bianco, fermentato con lieviti indigeni in cemento, macerato per ben sei mesi sulle bucce, senza aggiunta di solfiti, chiuso dal tappo a vite. Olfatto austero, fiori gialli, crosta di pane, agrumi scuri; sorso sapido, complesso e verace, nessuna sovraestrazione e una certa affinità con il Trebbiano del decano Emidio Pepe.

Grillo Kados Terre Siciliane Igt 2014 – Duca di Salaparuta. La vera sorpresa è trovare una qualità così elevata da una cantina con questi numeri. Il messaggio è lampante: se lavori bene e credi in ciò che fai, puoi riuscire a produrre un vino tipico, non banale, sapido, strutturato. Prolungato affinamento sui lieviti, profumi spiccati di mela golden, vaniglia, banana; fresco e di gran beva, ampio e succoso, chiude sull’agrume.

Passito di Pantelleria Ben Ryè 2012 – Donnafugata. Quasi banale confermare la bontà assoluta di questo campione, di regolarità impressionante: albicocca, pesca sciroppata, datteri e fichi secchi al naso; bocca dolce ma innervata di freschezza acida che invoglia a ribere, finale di erbe aromatiche e scorza di arancio. Compagno grandioso per la pasticceria secca e i dolci natalizi.

Marsala Vergine ris. 1988 – De Bartoli. Ultimo ma non ultimo, anzi… un vero capolavoro, moderno e tradizionale a un tempo, frutto dell’incessante spirito di sperimentazione del compianto Marco De Bartoli. Selezione manuale delle uve, piantate tra il 1970 e il 1996 in contrada Samperi, fermentazione in fusti di rovere e castagno. Fortificato da acquavite di grillo della stessa annata. Olfatto intensissimo di marmellata di pesca, noce moscata, frutta secca; fresco ed elegante, persistenza interminabile, da fuoriclasse. Un orgoglio per la vitivinicoltura italiana; un’opera d’arte, come è stato giustamente definito.