Vini di Abbazia. Goleto e Gulielmus, due nuovi cru di Tenute Capaldo ispirati al meraviglioso centro monastico irpino


Abbazia di Goleto

Antonio Capaldo e Pierpaolo Sirch

di Maurizio Paolillo
fotografie di Renato Siani

Nel mondo frenetico di oggi, materialista al limite della disumanizzazione, sopravvivono delle oasi di pace, di serenità, in cui domina lo spirito, dove si può addirittura fermare il tempo.

Per trovarle non è necessario spingersi sulle cime himalayane, nel cuore del Sahara, ai confini del mondo.

L’Abbazia del Goleto

Abbazia di Goleto, corte interna

Una di queste oasi è l’Abbazia del Goleto, in Irpinia, un luogo avvolto da un’aura di magia e di spiritualità, dove il procedere della storia umana si è arrestato più volte e più volte ha ripreso a scorrere.

Fondata nel 1133 da Guglielmo da Vercelli[1] come monastero femminile, visse due secoli di splendore sotto la guida di influenti e potentissime badesse, fino al declino iniziato con la peste nera del 1348 e conclusosi con la sua soppressione nel 1506.

Passato sotto il controllo di Montevergine, visse un momento di vigorosa ripresa grazie all’insediamento di una comunità di monaci, fino al rinnovato splendore tra il XVII e XVIII secolo, quando, ad opera di Domenico Antonio Vaccaro[2], fu restaurato l’intero complesso ed edificata la nuova chiesa.

La luce si spense di nuovo a inizio ottocento, in epoca napoleonica: il sito venne progressivamente abbandonato, spogliato di gran parte delle opere e poi gravemente danneggiato dal terremoto dal 1980.

In anni più recenti, grazie all’intervento del Ministero dei Beni Culturali, il centro monastico è stato oggetto di un intervento di restauro attento a recuperare all’antico splendore gioielli come il chiostro, la cappella di San Luca, la torre Febronia, lasciando, però, intatte le ferite del tempo, a testimoniare il decorso di una storia di gloria e sofferenza ed esaltare l’atmosfera mistica e di trascendenza di cui il luogo trasuda.

Oggi la vita dell’Abbazia poggia interamente sulle spalle di don Salvatore Sciannamea, uomo dalla grande anima, di straordinaria energia e profonda cultura, che, da solo, si occupa della gestione ordinaria, celebra le funzioni e funge da guida per i visitatori.

Feudi di San Gregorio e la famiglia Capaldo

La Bottaia dei Feudi di San Gregorio

Due vini, Goleto Greco di Tufo docg e Gulielmus Taurasi Riserva docg, sono dedicati all’Abbazia del Goleto e rappresentano un omaggio al territorio irpino, alla sua storia, alle straordinarie virtù dei suoi vitigni di pregio. Sono prodotti dalla cantina Feudi di San Gregorio e commercializzati sotto il marchio Tenute Capaldo.

Antonio Capaldo, presidente di Feudi di San Gregorio, è il l’ideatore di questo meritorio progetto. Classe 1977, con una solida formazione in Economia e Finanza e un’esperienza internazionale in banche d’affari, entra in azienda e dal 2009 ne diventa presidente. Sotto la sua direzione il fatturato cresce da 19 a 30 milioni di Euro annui, il numero dei dipendenti da 60 a 200; Feudi di San Gregorio si trasforma in una holding che riunisce marchi diversi come DUBL e Tenute Capaldo e aziende diverse come Basilisco, nel Vulture, o Campo alle Comete, a Castagneto Carducci (LI), gestite in autonomia sotto l’egida amministrativa e finanziaria di Feudi.

La guida tecnica è affidata da circa vent’anni a Pierpaolo Sirch, friulano di origine e irpino di adozione, amministratore delegato e soprattutto agronomo con straordinarie competenze nella conduzione della vigna.

L’azienda, con i circa 330 ha di vigna, in proprietà o in fitto, e i quasi 4 milioni di bottiglie prodotte, esportate in 50 paesi, è tra le prime aziende vinicole del sud Italia.

In questo complesso panorama, Goleto e Gulielmus rappresentano due piccole stelle nel firmamento infinito, ma due astri che brillano di luce purissima.

Incontriamo Antonio e Pierpaolo nella sede operativa di Feudi a Sorbo Serpico (AV) per conoscere qualcosa di più sul progetto Tenute Capaldo e in particolare su Goleto e Gulielmus.

  • Iniziamo da un concetto di grande importanza: dal 2021 Feudi di San Gregorio S.p.A. è la prima azienda vitivinicola del Sud Italia ad assumere lo status giuridico di Società Benefit. Che cosa comporta questa trasformazione?

Antonio Capaldo (AC) – Una Società Benefit è un’azienda che, insieme ai classici obiettivi di redditività, persegue anche finalità di beneficio comune. Tra queste, in estrema sintesi, possiamo citare:

  • tutelare e valorizzare la bellezza del patrimonio ambientale, sociale e culturale del territorio irpino e della sua comunità;
  • creare valore per il territorio al fine di promuoverne lo sviluppo;
  • costruire un’interdipendenza sempre crescente con i conferitori di uva, attraverso un costante e attento scambio di conoscenze e pratiche;
  • promuovere iniziative culturali e artistiche e come strumento per arricchire la comunità;
  • valorizzare le persone che lavorano in azienda, con particolare attenzione al benessere, la motivazione e la soddisfazione di ciascuno
  • rendere partecipi i consumatori della cultura del vino e dei suoi valori.

 

L’abbazia di Goleto, ingresso

Obiettivi che oggi sono inseriti nello Statuto aziendale e, di conseguenza, diventano un impegno formale nei confronti sia della nostra comunità interna che del mondo esterno.

  • Come nasce l’idea di questi due nuovi cru?

AC – Non possiamo chiarire il senso di questa operazione se non partiamo da Feudistudi. Si tratta di un laboratorio di ricerca permanente sui vini d’Irpinia e sui loro areali di produzione. Prende spunto dalla consapevolezza di avere a disposizione un territorio profondamente vocato che fornisce una materia prima molto eterogenea e soprattutto dalla frustrazione di dover sintetizzare tutta questa diversità in pochissimi prodotti: i vini base e qualche cru.

  • In pratica, in cosa si concretizza questa ricerca?

Pierpaolo Sirch (PS) – Percorriamo palmo a palmo le zone dove si coltivano greco, fiano e aglianico. Ne selezioniamo alcuni che meglio restituiscano la diversità dei territori. Non scegliamo i migliori, ma quelli più rappresentativi della variabilità dei suoli, delle uve e dei vini che se ne ricavano. Il tutto si concretizza in una serie di prove di microvinificazione; i vini relativi sono sottoposti ad assaggi alla cieca, effettuati insieme ai ragazzi che lavorano con noi in azienda.

AC – Le produzioni enologiche più interessanti trovano una loro destinazione autonoma di mercato. Li imbottigliamo e commercializziamo, ma fuori listino. In più, Feudistudi si traduce anche in una serie di iniziative editoriali curate da Paolo De Cristofaro: a fine anno è prevista l’uscita di quattro e-book, Irpinia, Taurasi, Fiano e Greco, mentre oggi è già disponibile in formato cartaceo l’Almanacco 2021/2022 che rappresenta una piccola sintesi di tutto il lavoro svolto.

  • Quindi la ricerca di Feudistudi è finalizzata alla produzione di nuovi cru, ad aumentare il numero delle referenze aziendali?

AC – Anche. Non è escluso. Ma in realtà questo lavoro è finalizzato a migliorare le masse dei vini base. Oltre alle nostre, vinifichiamo le uve di circa 250 conferitori, provenienti da quasi 900 vigneti diversi.

PS – È molto difficile avere il controllo della materia che lavoriamo. Per ogni vigna predisponiamo una scheda descrittiva. Seguiamo l’evoluzione della maturazione e individuiamo l’epoca ideale per la vendemmia. Alla fine attribuiamo una valutazione. Vigneti diversi provenienti dallo stesso areale e con la medesima valutazione vengono vinificati insieme. Ovviamente il margine di errore resta sempre piuttosto alto: un vigneto classificato al massimo livello può non restituire quanto prometteva e un altro considerato inferiore può dare un vino eccellente. Ma attraverso le analisi, gli assaggi e le progressive correzioni ci avviciniamo a un grado di conoscenza piuttosto approfondito.

  • Quali sono i criteri di classificazione delle diverse vigne? Quali strumenti utilizzate?

PS – Effettuiamo tantissime analisi, oltre 2.000 all’anno. Ma soprattutto parliamo con i viticoltori. Gli diamo tante indicazioni, ma tante cose le apprendiamo da loro. Per esempio, abbiamo riscontrato che anche i sistemi di allevamento sono adattati dai viticoltori in base alla loro esperienza e alle esigenze ambientali specifiche. Una cosa su cui stiamo insistendo tanto è il concetto che in ogni vigneto, ciascuna vite è un individuo diverso, con specifiche esigenze e attitudini. Perciò ogni pianta va potata in maniera da assecondare la propria natura.

  • In che modo tutto ciò conduce ai due vini da cui siamo partiti?

AC – Entrambi rappresentano un’evoluzione del percorso di conoscenza di cui stiamo parlando. Goleto è uno dei cru di greco che abbiamo selezionato per Feudistudi; lo stesso dicasi per Gulielmus rispetto ai cru di Taurasi. In più, per entrambi c’è un lavoro di ricerca sulle tecniche di vinificazione e affinamento che hanno condotto ai risultati attualmente disponibili. Ma si tratta di un processo in continuo divenire.

I vini

È il momento di provare a verificare le cose che ci siamo detti finora. Come fatto in precedenza, per arrivare a Goleto e Gulielmus partiamo dai vini di Feudistudi.

Il Fiano

Iniziamo da quattro fiano:

  1. Sacconi 2019 (da vigneti in comune di Summonte)
  2. Morandi 2019 (da Montefredane)
  3. Arianiello 2019 (da Lapio)
  4. Querciagrossa 2019 (da Santo Stefano del Sole)

PS – Sono tutti vinificati e affinati esclusivamente in acciaio. Provengono da vigneti simili da zone differenti; sono rappresentanti delle macro aree che, secondo noi, meglio rappresentano le diverse espressioni del vitigno.

AC – I nomi coincidono con quelli delle contrade di provenienza.

PS – Volendo schematizzare, la raccolta è effettuata mano, la pigiatura soffice a grappolo intero, la vinificazione in acciaio. La fermentazione è condotta a circa 20°C con l’uso di un solo ceppo standard di lievito, un Saccharomyces bayanus. Quindi affinamento sulle fecce fini fino a giugno con bâtonnage. Infine restano in bottiglia fino al a giugno successivo. L’unico che esce un po’ fuori dagli schemi è Querciagrossa che è una vendemmia tardiva: le uve sono state raccolte nelle prima decade di dicembre.

Gli assaggi

I vini sono molto diversi tra loro. I primi tre sono tutti molto riconoscibili e assolutamente rappresentativi delle peculiarità dei diversi areali di produzione.

Sacconi rivela i tipici sentori minerali, di fumo, che accompagnano il carattere montano, salino, speziato dei vini di Summonte.

Nel vino di Montefredane (Morandi) si riconosce la ricorrente natura minerale, potente, la verticalità asciutta.

In Arianello, dall’omonima contrada di Lapìo, risaltano l’esuberanza, la rotondità, il frutto, l’avvolgenza.

Nel Querciagrossa (Santo Stefano del Sole) i caratteri gustativi sono condizionati dal residuo zuccherino, conseguenza della vendemmia tardiva; ma risaltano ancora l’equilibrio acido/salino, l’armonicità, le note balsamiche.

Sono tutti ancora molto giovani, anche se ciascuno in misura diversa e richiedono, perciò, un congruo periodo di ulteriore affinamento in bottiglia.

La batteria dei fiano si arricchisce della presenza di altri due vini.

  1. Morandi 2017

Vino di grande potenza, molto elegante; rivela un inizio di terziarizzazione. È pronto, da bere anche subito.

  1. Pietracalda 2021

AC – Le uve provengono da vigneti diversi, situati in un’unica zona circoscritta: quella situata intorno alla cantina. Fino all’annata 2021 usciva nell’aprile successivo alla vendemmia. Dalla 2022, invece, diventerà una riserva e sarà messo in commercio dopo 12 mesi o più.

Bella mineralità, bella impronta acida, ma minore complessità. È un vino molto più giovane degli altri, ma anche più immediato.

Il Greco

Anche in questo caso abbiamo in assaggio quattro vini di Feudistudi:

  1. Chianchetelle (da vigneti in comune di Chianche)
  2. Nassano (da contrada San Paolo, in comune di Tufo)
  3. Santa Lucia (da Santa Paolina)
  4. Ariella (da Montefusco)
  • A vostro avviso, le contrade del greco presentano differenze altrettanto accentuate quanto quelle del fiano?

PS – A mio parere, ancora più accentuate. Questo dipende dal fatto che mentre l’areale del fiano è aperto, quello del greco è costituito da valli chiuse, che, in passato, comunicavano tra loro con difficoltà. Tra le diverse valli troviamo addirittura stili di viticoltura diversi.

AC – Per esempio, i primi due provengono dalla zona delle miniere di zolfo, gli altri due no. Questo rappresenta un evidente carattere differenziale.

  • Che ci dite dei problemi tecnologici del greco?

PS – Si tratta di un vitigno molto particolare e difficile. L’uva è lavorata a grappolo intero per ridurre al minimo le manipolazioni. È estremamente sensibile all’ossidazione. Proprio per questo, nella prima fase della lavorazione, si espongono i componenti più suscettibili, i polifenoli, al contatto con l’ossigeno in modo che loro ossidazione protegga da ulteriori alterazioni. Il mosto del greco si presenta di colore ocra-marrone. La solforosa entra in gioco solo a fine lavorazione.

  • Come si fa poi a chiarificare il vino e ad allontanare i prodotti dell’ossidazione?

PS – Con un po’ di freddo in fase post-fermentativa. L’affinamento sulle fecce è fondamentale, ma, da questo punto di vista, anche i tannini del legno danno un grande contributo.

Gli assaggi

Sono vini molto diversi tra loro, ma con alcuni caratteri comuni. In tutti si nota il superamento dalla rusticità del greco e, al contrario, un’austerità, una compostezza non comuni per questa tipologia. Inoltre è ammirevole la gestione perfetta dell’ossidazione.

In Chianchetelle (Chianche) e Nassano (Contrada San Paolo, Tufo), oltre alla consueta acidità pungente, risaltano le note minerali, sulfuree, saline, accompagnate da una distinta nota tannica.

In Santa Lucia (Santa Paolina) e Ariella (Montefusco) si rileva una maggiore apertura, le note agrumate, di zagara, di frutta bianca, che accompagnano l’acidità varietale.

In contrada Santa Lucia (Santa Paolina), a differenza di quanto avviene in tutto l’areale, i vigneti non sono all’interno di valli chiuse, bensì in ampi spazi aperti. Anche il vino rivela una maggiore solarità, con una mineralità meno prepotente e, all’opposto, le note di frutta bianca che conferiscono maggiore rotondità.

Ariella (Montefusco) si potrebbe definire un greco da manuale, con tutti i connotati tipici del varietale: acidità importante, mineralità netta e, al tempo stesso, le note agrumate che creano una piacevolezza accattivante.

Goleto

È finalmente venuto il momento di incontrare colui che, insieme al suo fratello maggiore, ha suscitato il nostro interesse e ha svegliato la nostra curiosità.

  • Ce lo raccontate? Da dove viene? Come viene fatto?

AC – È, a tutti gli effetti, il nuovo cru aziendale, anche se abbiamo deciso di farlo uscire col nuovo marchio Tenute Capaldo. Proviene dalle stesse uve da cui si ricava Nassano. Il processo di vinificazione però è diverso.

PS – Fermenta in acciaio; quindi fa un anno di affinamento, il 25% circa in anfora, la rimanente parte in tonneau di primo e secondo passaggio, con una quota variabile che fa solo acciaio. Il rapporto cambia di vendemmia in vendemmia. Infine è previsto un periodo di permanenza in bottiglia. Al momento sta per andare in commercio l’annata 2019.

  • Goleto 2019

La presenza al palato è importante. Il naso è ancora un po’ frenato dal legno. L’impressione è che si tratta di un vino ancora giovane che ha bisogno di tanto tempo per raggiungere il pieno equilibrio; con l’evoluzione le cose dovrebbero cambiare.

  • Goleto 2017

Qui sono stati usati solo tonneau nuovi. Malgrado ciò, il vino risulta più definito, più chiaro. Il legno incide meno, tende a prendere meno spazio. Questa versione più matura, inizia a somigliare a uno chardonnay importante.

L’Aglianico

Quali sono gli indirizzi del vostro lavoro sul principale vitigno a bacca nera?

AC – L’obiettivo è affrancare l’aglianico da quella ruvidezza che spesso connota i suoi vini. Per questo poniamo grandissima attenzione ai legni. Da un po’ di anni a questa parte stiamo progressivamente abbandonando la barrique e ci stiamo orientando completamente su tonneau e botte grande. Ci forniamo da cinque diverse tonnellerie, tutte francesi. Utilizziamo i legni fino al quinto passaggio. Per i Taurasi usiamo solo primo e secondo, mentre per i Feudistudi, trattandosi di piccole quantità, ci limitiamo esclusivamente al secondo passaggio.

PS – Un altro problema sono le macerazioni. Vinifichiamo tantissime uve aglianico e non abbiamo abbastanza vasche per lavorarle tutte separatamente. Quindi con le prime vendemmie, da cui otteniamo i vini più semplici, facciamo macerazioni molto brevi per liberare presto i tini. Con le vendemmie successive, destinate ai vini più importanti, facciamo un lavoro più accurato. In ogni caso non andiamo oltre i 10 giorni di macerazione con pochi rimontaggi, in genere uno al giorno per 5-6 minuti. Il tutto per limitare l’estrazione.

Assaggi

Si parte da due Taurasi di Feudistudi:

  1. Rosamilia 2017 (da località Vallicelli in comune di Castelfranci)
  2. Candriano 2017 (da vigne in Montemarano, Castelfranci e Paternopoli)

Entrambi i vini provengono dalla zona di sud-est, l’Alta valle del Calore, da terreni appenninici, a quote rilevanti, con forti escursioni termiche e vendemmie mediamente tardive.

Si tratta di due vini di grande eleganza, con patrimonio acido intatto e tannini molto gradevoli.

Pur nelle notevoli similitudini, Rosamilia appare più austero, con un naso avvolgente, fresco e nervoso al palato.

Candriano si presenta acidulo, con un bel frutto croccante, note balsamiche e speziate, di pepe nero soprattutto.

  • Gulielmus 2017

PS – Proviene dalle stesse vigne da cui si ottiene Candriano. Di diverso c’è la più accurata selezione delle vigne e delle uve, l’affinamento minimo di 4 anni, in tonneau di primo e secondo passaggio.

AC – Costituisce anch’esso un nuovo cru di Taurasi. Ne facciamo circa 6000 bottiglie all’anno. La prima annata è stata il 2015.

È un vino di eleganza straordinaria. Teso, sapido, fresco, persistente. I sentori sono mutevoli: inizialmente prevale la frutta nera, poi il balsamico, la canfora in particolare, quindi affiorano sentori agrumati, di arancia rossa.

Espressione di grande finezza. Tra i tanti assaggiati in questo pomeriggio, potrei definirlo il mio vino del cuore!

Al termine di questo pregnante incontro con Antonio e Pierpaolo resta da formulare un’ultima domanda.

  • Dove sta andando Feudi?

AC – L’intenzione è continuare a percorrere la strada intrapresa già da diversi anni. La svolta degli ultimi anni è stata radicale: la guida enologica era inizialmente affidata a Luigi Moio; dal 2000 al 2006, è passata nelle mani di Riccardo Cotarella. Dopo di allora abbiamo provato a cambiare completamente stile. Oggi il timone della produzione è affidata a Pierpaolo che si avvale di qualche collaborazione occasionale.

PS – Abbiamo collaborato prima con Georges Pauli[3], poi con Denis Dubourdieu[4]. Oggi ci avvaliamo del contributo di Valerie Lavigne[5], il cui ruolo è determinante quando lavoriamo sui grandi volumi. Vinifichiamo separatamente le uve provenienti dai diversi areali omogenei. Alla fine dalle diverse vasche, attraverso i tagli, realizziamo le masse per i vini che andranno in bottiglia. Valerie interviene soprattutto in questi momenti, fornendo il contributo della sua grande esperienza.

AC – In pratica la svolta è rappresentata dall’abbandono di uno stile che potremmo definire, semplificando all’estremo, internazionale, provando a recuperare una maggiore aderenza al nostro territorio e ai nostri vitigni.

PS – In cantina abbiamo ridotto in maniera drastica l’uso di prodotti enologici. Oggi usiamo solo i lieviti selezionati e un po’ di solforosa. Anche coi lieviti adoperiamo le quantità minime possibili. Se, ad esempio, la dose consigliata è di 30 grammi per ettolitro, noi ne usiamo solo 5 o 6. Andiamo in bottiglia con gli zuccheri praticamente a zero, il solo residuo presente è l’infermentescibile. In ogni caso continuiamo a sperimentare: la fermentazione in tonneau, l’affinamento in anfora.

AC – Oggi è venuto il momento di cambiare ancora, di dare un’ulteriore svolta. L’idea è creare un panel di degustazione con il gruppo dei nostri collaboratori. L’obiettivo è incrementare la consapevolezza del lavoro che stiamo facendo e la condivisione della direzione che abbiamo preso. Lo stile deve essere definito seguendo, la tecnica, il mercato, ma deve rispecchiare soprattutto la nostra sensibilità.

 

NOTE

[1] Guglielmo da Vercelli (1085 – 1142), monaco e abate, fu fondatore di diversi monasteri nell’appennino irpino, tra cui quello di Montevergine. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica.

[2] Domenico Antonio Vaccaro (1678 – 1745) pittore, scultore e architetto napoletano, operò a cavallo tra Barocco e Rococò, sia a Napoli che in Campania.

[3] Goerges Pauli – Enologo francese. Ha lavorato a lungo nella zona di Bordeax, con Chateau Gruaud Larose in particolare. Poi in Italia con Conte Brandolini D’Adda, in Friuli tra Vistorta (Sacile PN) e Cordignano (TV)

[4] Denis Dubourdieu – Enologo francese, professore di enologia all’Università di Bordeaux. Collabora o partecipa a diverso titolo con diverse proprietà a Bordeaux: Château Reynon, Château Doisy Daëne, Château Cantegril, Château Haura e Clos Floridène. È stato anche consulente di Château Cheval Blanc

[5] Valérie Lavigne, 43 anni, una vita dedicata alla ricerca all’Università di Bordeaux e un’attività di enologa consulente insieme a Denis Dubourdieu e Christophe Olivier in alcune delle più importanti cantine del mondo come gli Châteaux d’Yquem, Margaux e Cheval Blanc

Un commento

  1. Godibile istruttivo chiaro e ben scritto.Un articolo da giornalista d’altri tempi.Davvero Complimenti FRANCESCO

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