Yoshihisa Ootusubo, il vincitore della Caputo Cup: a scuola dai maestri napoletani


A Tokyo ha la pizzeria Il Tamburello

Yoshihisa Ootusubo, vincitore della Caputo Cup

di Emanuela Sorrentino

Un giapponese dal cuore napoletano. Yoshihisa Ootusubo, 53 anni, per tutti Yoshi, ha vinto la Caputo Cup 2025 al termine del ventiduesimo Campionato Mondiale del Pizzaiuolo. Lo scorso anno il trofeo era stato assegnato alla cilena Daniela Zuñiga.
Yoshi, primo classificato nella categoria pizza napoletana Stg, ha proposto una marinara da disciplinare che assieme alla margherita è anche la pizza più richiesta nel suo locale di Tokyo, Il Tamburello. Akinari “Pasquale” Makishima, già campione e ambasciatore della pizza napoletana in Giappone, lo ha accompagnato in questa trasferta assieme alla numerosa delegazione asiatica, ed è emozionato quanto Yoshi, che parla benissimo italiano con qualche “incursione” napoletana.
Si aspettava di vincere?
«Un’emozione che non prevedevo assolutamente, mi auguravo di ottenere un premio ma non credevo sarebbe stato il trofeo più importante e più ambito della Caputo Cup. Non pensavo di venire qui a Napoli e di vincere. In passato ho partecipato ad un’altra competizione internazionale».
Quale è stato il segreto della vittoria?
«Quello che porto ogni giorno con me: ho sfruttato l’esperienza e ho fatto il massimo anzi “aggio” fatto il massimo e alla massima potenza. Sono davvero contento».
Era già stato a Napoli?
«Nel 1994 per raggiungere Napoli dal Giappone ho preso la linea ferroviaria Transiberiana e la città era l’ultima tappa di un viaggio durato un anno, la tappa del cuore posso dire. Avevo 22 anni e di quel viaggio a Napoli ho il ricordo di una pizza margherita enorme, soffice, ben condita e buona. La prima pizza napoletana che ho provato nella mia vita. Mi trovavo all’Antica Pizzeria da Michele a Forcella e la pizza mi costò 5mila lire, non potevo crederci. Era talmente buona che tornai lì il giorno successivo ordinando una marinara, e il terzo giorno di nuovo una margherita. Diciamo che ho frequentato molto il locale, ricordo ancora la soddisfazione per aver mangiato quelle pizze».
Come ha cominciato questo mestiere?
«Faccio il pizzaiolo dal 1998, anno in cui ho iniziato puntando su passione e ambizione. Ho avuto grandi maestri napoletani. Penso all’esperienza con Adolfo Marletta, della pizzeria La Spaghettata, che ora è ambasciatore in Giappone dove lavora da oltre 20 anni. A lui devo dire grazie così come al maestro pizzaiolo Gennaro Cerbone di Fuorigrotta. Ho tantissimi ricordi con loro e ho un bagaglio di esperienza che è il mio tesoro più prezioso, che porto sempre con me. Dedico questa vittoria alla mia famiglia e a chi mi ha insegnato tanto».
Cosa consiglia ai giovani?
«Di impegnarsi, di ascoltare chi ha più lavoro alle spalle perché io così sono riuscito a raggiungere grandi traguardi in questi 28 anni di esperienza e di mestiere. Ho imparato cose che forse i ragazzi di oggi non sanno. Il mio vantaggio è stato questo ma sto continuando ad imparare perché vorrei arrivare allo stesso livello dei miei maestri, e so di non averlo ancora raggiunto. Devo andare ancora più avanti, sempre con la grande famiglia di Mulino Caputo».
La pizzeria Il Tamburello è un punto di riferimento a Tokyo, cosa piace ai clienti?
«Nel mio locale la margherita è la pizza più richiesta che piace a me e ai clienti assieme alla marinara ma va tanto anche la pizza Tamburello con provola affumicata di bufala, filetto di pomodoro, salame e basilico. Poi mi piace portare un po’ di Napoli in Giappone infatti in base alle verdure stagionali cambio il mio menù. A Natale non manca la pizza con le scarole ripassate in padella con uvetta e pinoli e poi ho sempre in carta una proposta che va bene in ogni momento dell’anno: le graffe fritte napoletane».
E le pizze giapponesi?
«In Giappone puoi scegliere tanti tipi di cucina e trovi stili diversi di pizza, così come avviene in molti Paesi: dall’americana alla romana fino alla pizza napoletana. Abbiamo anche sperimentato e inventato qualche pizza locale usando i prodotti del territorio, la farina di riso ad esempio, o vari condimenti ma io resto fedele alla tradizione napoletana. Pizza e sakè ad esempio non mi piace come abbinamento, sarà anche buono ma nella mia pizzeria no. Rispetto la cultura italiana anche in questo: l’Italia è un Paese che mi ha dato tanto, che continua ad offrirmi possibilità di miglioramento nella mia quotidianità e non smetterò mai di dire grazie a chi mi ha aiutato e ancora mi è accanto. Come dice Antimo Caputo insieme si va lontano!»