I due volti del Pallagrello, l’uva dei Borbone


Questa è una storia del Sud a lieto fine, ove si narra di come un territorio povero, fuori dai circuiti turistici, sia diventato in soli quattro anni un solido punto di riferimento per gli appassionati del vino vedendo nascere dodici aziende grazie a un vitigno sconosciuto diventato terribilmente trendy prima ancora che scoppiasse la recente moda delle uve autoctone come risposta alla crisi di vendite e, perché no, di identità.  

Il protagonista dell’ultimo miracolo agricolo campano si aggira, come un antico brigante borbonico, in un territorio assolutamente circoscritto e ben conosciuto, oggi facile da raggiungere. Il pallagrello è infatti alla macchia sulle Colline Caiatine, ad appena una quindicina di chilometri dall’uscita Caserta Nord dell’autostrada Roma-Napoli: qui è stato coltivato per secoli raggiungendo anche buona fama, tanto da riuscire ad entrare nella Vigna del Ventaglio fatta piantare dai Borbone a San Leucio, proprio a ridosso della Reggia di Caserta in cui si lavoravano le uve più pregiate del Regno. Si narra del Pallagrello bianco capace di fare ammattire re Ferdinando, grande appassionato di cibo e di vino. Sia come sia il vitigno dal doppio volto, bianco e nero, aveva lasciato perdere le sue tracce dopo la fillossera, arrivata in Campania molto tardi, negli anni Trenta, la seconda guerra mondiale e il difficile dopoguerra. 

La varietà a bacca bianca era ormai identificata con la coda di volpe, altra uva molto presente in tutta la Campania ma ancora sconosciuta dal mercato nazionale mentre quella a bacca nera veniva confusa con l’aglianico. Una situazione difficile, la memoria della biodiversità era talmente piallata dall’omologazione del gusto da far dimenticare l’inserimento di questa uva tipica nel Registra Nazionale delle uve da vino oltre che di conseguenza nel disciplinare igt Terre del Volturno, una carenza grave e singolare a cui si è corso rapidamente ai ripari nel 2002: come dire, niente Sangiovese nel Toscana igt! Diciamo le cose come  stanno, per decenni le uve autoctone hanno subìto la stessa sorte delle antiche case, abbattute con sollievo dai proprietari per essere sostituite da abitazioni in solido cemento armato: così nei vigneti i prolifici sangiovese e trebbiano sono avanzati in Campania senza trovare ostacoli almeno sino alla fine degli anni ’80. 

Il terroir delle Colline Caiatine, prevalentemente argilloso, segna netto il confine tra le province di Benevento e di Caserta, cosparso di piccole masserie contadine capaci di rivelare l’agricoltura povera, tipica delle zone interne meridionali dove qualsiasi lavoro in città era migliore del destino da bestie da soma a cui si era riservati sin dalla nascita. Il paesaggio agrario è segnato soprattutto dall’olivo, qui regna la cultivar caiazzana molto rinomata in via di riconoscimento nella dop <Colline Caiatine>, in seconda battuta dalle vigne per una produzione destinata sostanzialmente all’autoconsumo sino a qualche anno fa anche perché il frazionamento della proprietà terriera non favorisce certo i grandi numeri. I castelli di Caiazzo e di Castel Campagnano ci parlano di un passato nobiliare forte, qui dove si domina la Valle dell’Islero, uno dei due passaggi obbligati, l’altro è la Valle Caudina, per raggiungere Napoli dal Sannio. Le colline sono ben esposte al sole, ventilate dai soffi del vicino massiccio del Matese, la buona escursione termica garantisce la giusta eleganza, la caratteristica principe del Pallagrello, ma solo a chi è capace di lavorare bene l’uva in cantina. 

Dicevamo del bianco, gran confusione: più nomi per più uve, coda di volpe, pallagrello, pallagrello bianco, pallagrella, greco di Caiazzo, coltivate fianco a fianco nei vigneti a raggiera senza alcuna distinzione nonostante ancora alla fine dell’800 le caratteristiche fossero ben chiare agli agronomi dell’epoca. Giuseppe Froio ad esempio scrive che <presso Maddaloni o Caiazzo, o con la Coda di Volpe o con la Pallagrella, è possibile ottenere vini buoni e serbevoli>. Oltre che a Caiazzo e Castel Campagnano, il vitigno è coltivato anche a Castel di Sasso, Ruviano, Alvignanello. Il grappolo, a forma cilindrica con un’ala, è molto vigoroso con produzione media, ha sempre un elevato livello zuccherino e un’acidità totale piuttosto contenuta alla raccolta, che in genere avviene tra la seconda e la terza decade di settembre. 

La varietà a bacca nera ha come sinonimi coda di volpe nera, piedelungo, pallagrella nera ed è diffusa nei comuni di Alife, Alvignano, Caiazzo e Castel Campagnano. Anche in questo caso il grappolo, cilindrico ma senza ala, è vigoroso e fertile, ma la produzione è in genere contenuta perché i chicchi sono piccoli e leggeri, ha un buon livello zuccherino e un’acidità totale contenuta. Si vendemmia tardi, a fine ottobre. Le due varietà del vitigno sono state classificate per la prima volta in maniera scientifica nel 2001 nell’ambito di uno studio condotto da Michele Manzo e Antonella Monaco per conto dell’assessorato all’agricoltura della Regione Campania, <La risorsa genetica della vite in Campania> ed inserite nei vigneti sperimentali. 

L’avventura del Pallagrello inizia insieme al Casavecchia, l’altro vitigno storico casertano recuperato nelle ultime vendemmie. Era la fine degli anni ’90 quando un avvocato Peppe Mancini, fondò la Vestini Campagnano scommetendo su un progetto radicale e ardito tutto giocato sul recupero della memoria perduta: puntare tutto sulle tre uve autoctone delle Colline Caiatine superando d’un balzo il dibattito allora ancora in corso in Campania su aglianico e cabernet. Ciò che oggi appare scontato e acquisito da sempre non lo era affatto sino a poco tempo fa, basta consultare gli annuari dlle guide dell’epoca per verificare quante uvaggi prevedessero sangiovese, aglianico, cabernet sauvignon, montepulciano, persino chardonnay e trebbiano. Solo nel 2004 la igt Campania ha tagliato la testa al toro puntando solo sulle uve tipiche regionali. 

Ma a Caserta c’era ancora un altro fattore a rendere più difficile e ardua la scommessa della Vestini, alla quale nel 1999 si unì l’attuale proprietario, l’avvocato Alberto Barletta: il territorio era infatti bloccato da decenni da due doc storiche e famose, l’Asprinio d’Aversa caro a Soldati e Veronelli e il Falerno amato sin dai tempi dell’antica Roma. Così la viticoltura della provincia ciondolava stanca all’ultimo posto in Campania, neanche sfiorata dalla rivoluzione vitivinicola italiana e degli altri territori provinciali perché il bianco era stato cannibalizzato dalla Falanghina mentre il rosso era prodotto da appena due aziende per giunta in cattivi rapporti fra loro secondo il più classico copione recitato dai produttori in tutto il Mezzogiorno. Oggi il segnale più forte del successo del Pallagrello è nella decisione di alcune aziende storiche dell’Asprinio come Caputo, Cicala e Magiulo di proporlo nel proprio catalogo nonostante non appartenga alla loro tradizione di territorio. E un altro segnale, davvero simbolico, è nella indicazione data Riccardo Cotarella appena entrato nell’azienda di Michele Alois, imprenditore tessile che, sul modello di Caprai, ha investito anche nel vino: <Spiantate aglianico e cabernet e mettete pallagrello e casavecchia>. <Sul cabernet non ho avuto dubbi – dice Michele – ma sull’aglianico ho resistito, mi dispiaceva toglierlo dopo tanti anni. Per il resto abbiamo seguito i consigli e i risultati, molto soddisfacenti, sono finalmente arrivati>. 

Ma torniamo i due avvocati. Decisivo è l’incontro con l’enologo Luigi  Moio e con la giornalista Manuela Piancastelli, attuale presidente del Movimento Turismo del Vino, oggi moglie di Peppe. La Vestini in un paio di vendemmie si presenta con bianchi capaci di mietere consensi e apprezzamenti da tutta la critica anche se è con il Casavecchia e il Pallagrello Nero dell’annata 2001 che si consacra il successo commerciale e nasce il fenomeno mediatico capace di attrarre l’attenzione degli appassionati e degli esperti di tutta l’Italia. <Se mi guardo indietro – dice Peppe Mancini – posso dire che la mia più grande soddisfazione è aver visto tante aziende crescere, è cambiato il volto dell’agricoltura sulle Colline Caiatine>. 

Oggi il Pallagrello ha il volto fresco della giovanissima Anna Della Porta, scuola di enologia a Pisa, impegnata nell’azienda di famiglia, Le Cantine di Hesperia, anziché emigrare al Nord, o quello di Francesco Iappelli, allievo di Moio all’Università, impegnato nella sua cantina a Caserta Vecchia. Di fatti esiste già fisicamente la strada del Pallagrello, in pochi chilometri sono nate numerose aziende alcune delle quali pronte all’accoglienza di qualità. 

Vediamo. Vicino la Vestini dell’avvocato Barletta c’è Masseria Piccirillo, appena due ettari per una realtà contadina la cui sopravvivenza è stata resa possibile dal successo commerciale del vitigno, poi l’ultima nata, la Tenuta di Castello di Campagnano di Bernardo Alois, e ancora la Fattoria Selvanova di Antonio Buono, grande agriturismo con tredici ettari di vigneto sdraito a Mezzogiorno come una bella donna in spiaggia. A pochi metri Terre del Principe, la nuova azienda di Peppe Mancini e Manuela Piancastelli fondata nel 2003 dopo aver lasciato la Vestini Campagnano, dove Moio ha rinnovato il patto del Diavolo tra il Pallagrello e il legno ideando un grande bianco, quest’anno presente per la prima volta sul mercato con i rossi. Bottaia a vista, grande terrazzo per le degustazioni con vista sul Taburno, prodotti di eccellenza. Infine, nel cuore di Castel Campagnano, oltre alla Cantina di Hesperia, c’è Castello Ducale di Antonio Donato, un’azienda a cavallo tra la provincia di Caserta, dove ha il castello con la foresteria e la sala degustazione in costruzione e le antiche cantine, e quella di Benevento con il nuovo stabilimento. Di fatto un territorio assolutamente sconosciuto sino a quattro anni fa è diventato percorso enoturistico avanzato come pochi alri nel Mezzogiorno: dobbiamo citare infatti agriturismi di qualità come le Oliva di Nedda a Ruviano, Antico Frantoio a Faicchio, e altri ancora sparsi su tutta la zona in maniera omogenea, solo a Caiazzo ce ne sono quattro: Masseria La Suppuntata, Le Campanelle, La Selvetella e Fattoria dell’Uliveto. E anche se non c’entrano nulla con il Pallagrello, va sottolineato che sull’altro versante della Valle dell’Isclero, siamo a venti minuti di auto, ci sono il grande wineresort di Torre Gaia e  Palazzo Rainone di Mustilli, due grandi aziende produttrici di vino. A mezza strada, a Puglianello, il ristorante il Foro dei Baroni condotto da due allievi di Antonello Colonna. Ma nonè finita: il Pallagrello si sta espandendo, adesso viene prodotto anche da Crapareccia a Colle Sasso e dalla Cooperativa Viticoltori Casavecchia a Pontelatone oltre che dalle aziende storiche impegnate nel vicino Aversano. 

Ecco dunque il motivo per cui abbiamo parlato di storia a lieto fine: otto anni fa non c ‘era nulla di tutto questo e i giovani fuggivano in città a caccia di prebende pubbliche. Già, ma cosa finisce nel bicchiere? 

Il Pallagrello bianco non è un vino facile anche se non mancano alcune interpretazioni che puntano alla pronta beva, forse perché come diceva Veronelli, un vino quando ha successo si banalizza. Non è questo il caso, ancora, del bicchiere casertano, sicuramente non destinato a lunghi invecchiamenti come potrebbero fare Greco, Fiano e Falanghina: di buona struttura, abbastanza fresco, intenso e persistente, il Pallagrello bianco si abbina a tutta la cucina contadina tipica dell’Appennino Meridionale caratterizzato dalle minestre di verdure e di legumi, bene anche con formaggi a pasta filata come la mozzarella di bufala o il fiordilatte. Discorso diverso per il Nero: qui siamo davvero in presenza di un rosso importante, strutturato, elegante, con buona propensione all’invecchiamento, dai tannini selvaggi difficili da addomesticare, intenso, persistente, capace di abbinarsi ai piatti più complessi e difficili senza problemi. 

Un vino, il suo territorio. Mai come in questo caso il bicchiere è stato provvidenziale per la tavola, senza il Pallagrello e i suoi produttori le Colline Caiatine non esisterebbero nella geografia mentale degli appassionati e degli esperti. 

 

  

Terre del Volturno  

Indicazione geografica tipica 

Data: 22 novembre 1995 

  

I comuni interessati 

Capriati al Volturno, Gallo, Fontegreca, Ciorlano, Prata Letino, Valle Agricola, San Gregorio Matese, Pratella, Ailano, Raviscanina, Sant’Angelo d’Alife, Piedimonte Matese, San Potito Sannitico, Castello Matese, Baia Latina, Alife, Gioia Sannitica, Dragoni, Alvignano, Liberi, Ruviano, Chiazzo, Castel Campagnano, Piana di Monteverna, Castel Di Sasso, Pontelatone, Fornicola, Giano Vetusto, Pignataro Maggiore, Pastorano, Castel Morrone, Vitelazio, Bellona, Casigliano, Capua, Grazianise, Santa Maria La Fossa, Cancello Arnone, Castel Volturno, Villa Literno, San Tammaro, Santa Maria Capua Vetere, Macerata Campania, Casapulla, San Prisco, Casagiove, Portico di Caserta, Recale, San Nicola in Strada, Capodrise, Marcianise, Caserta, Maddaloni, Valle di Maddaloni, Cervino, Santa Maria a Vico, Arienzo, San Felice a Cancello, Curti, Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa, Villa di Briano, Frignano, Casaluce, Teverola, Carinaro, Gricignano d’Aversa, Succivo, Orta di Atella, San Marcellino, Trentola-Ducenta, Parete, Lusciano, Aversa, Cesa, Sant’Arpino, Casapesenna, San Marco Evangelista (tutti in provincia di Caserta). 

  

Caratteristiche generali 

Bianco (anche nelle tipologie frizzante, amabile e passito) 

Rosso (anche frizzante, amabile, passito e novello) 

Rosato (anche frizzante e amabile). Le uve devono essere quelle raccomandate o autorizzate in provincia di Caserta. L’indicazione con specificazione di pallagrello bianco e nero è riservato ai vini realizzati almeno con l’85% del vitigno. È consentito, inoltre, l’uso di uve ricavate da vitigni a bacca di colore analogo purché autorizzati per la provincia di Caserta fino ad un massimo del 15%.  

Resa max per ettaro: 14 tonnellate per i vini a indicazione geografica tipica Terre del Volturno bianco, rosso e rosato, 13 con la specificazione del vitigno. La resa max dell’uva in vino finito, comunque, non deve superare il 75%. 

  

CAPUTO 

TEVEROLA 

Via garibaldi, 64 

Tel. 081.5033955 

[email protected] 

  

CASTELLO DUCALE 

CASTEL CAMPAGNANO 

Via Chiesa, 35 – Centro imbottigliamento ad Amorosi – via San Nicola 

Tel. 0824. 972460, fax 0824.972740 

[email protected] 

www.castelloducale.com 

  

CICALA 

TEVEROLA 

Via Roma, 216 

Tel. 081 8118103 

Fax 081 5016477 

[email protected] 

www.cantinecicala.it 

  

  

CRAPARECCIA 

CASTEL DI SASSO 

Via Serra, 27 

Tel. 0823.868619 e 0823.878059 

E mail: [email protected] 

  

  

  

DELLA VALLE JAPPELLJ 

CASERTA VECCHIA 

  

Via Tiglio, 2 

Tel. 0823.371731 

www.dellavalleiappelli.it 

[email protected] 

  

  

FATTORIA ALOIS

PONTELATONE 

  

Via Ponte Pellegrino 

Tel. e fax 0823.301382 

[email protected] 

www.vinialois.it 

  

  

  

FATTORIA SELVANOVA 

CASTEL CAMPAGNANO 

Via Castelluccio, Località Squille 

Tel. 335.492202, 0823.867261 

Fax 081.2455268 

[email protected] 

www.fattoriaselvanova.com 

  

  

LE CANTINE DI HESPERIA 

Castel Campagnano 

Via Roma, 11 

Tel. e fax 0823.863075 

[email protected] 
MAGLIULO

FRIGNANO 

Via G. Manna, 29 

Tel. e fax 081 8900928 

[email protected] 

www.vinimagliulo.it 

  

 

MASSERIA PICCIRILLO 

CAIAZZO 

Via Carpineto, 1 

Tel. 0823.862886 

E mail: [email protected] 

  

TENUTA CASTELLO DI CAMPAGNANO CASTEL CAMPAGNANO Via Caiazzo Tel. 0823.302176 www.pallagrello.com

info@cantinealois 

  TERRE DEL PRINCIPE

Castel Campagnano 

Contrada Mascioni. 

Tel. 081.8541125, 335.5878791 

www.terrredelprincipe.com 

[email protected] 

  

VESTINI CAMPAGNANO CAIAZZO

Via Baraccone, 5. Frazione Santi Giovanni e Paolo 

Tel. 0823.862770 

www.vestinicampagano.it 

  VITICOLTORI CASAVECCHIA

PONTELATONE 

Via Madonna delle Grazie, 28 

Tel. 0823.659198