Addio Franchino, fondatore della Caravella di Amalfi


Da Gore Vidal a Jacqueline Kennedy, fu il ristoratore degli anni d’oro del jet set internazionale, Andy Warhol lo pagava con i suoi quadri

Franco Dipino

di Mario Amodio

Scrisse Afeltra, non molti anni fa, che la sua cucina sapeva di mare e di terra. Di Oriente e di Occidente. E non si sbagliava, il grande vecchio del giornalismo, che ben conosceva il rigore per la qualità così come gli ampi orizzonti mentali di Franchino Dipino, fondatore del ristorante La Caravella di Amalfi e pioniere della ristorazione gourmet in Costiera. Da ieri, colui che ha rilanciato nel mondo le storiche ricette amalfitane, facendo dimorare la tradizione vera nel suo locale a pochi passi dal santuario del mare, gli antichi arsenali della repubblica d’Amalfi, ha salutato per sempre i suoi affetti, la sua città, il suo tempio delle meraviglie del palato dove trovarono rifugio personaggi del calibro di Aldo Moro, Salvatore Quasimodo, Gianni Agnelli, Federico Fellini, Gore Vidal, Jacqueline Kennedy, Anna Magnani.

Persino un non ancora famoso Andy Warhol correva da Franchino a mangiare un boccone. Erano gli anni Sessanta, quando il padre della Pop Art barattava con le sue opere l’ospitalità ai tavoli della Caravella. Da tempo sofferente, Franchino Dipino, si è spento la scorsa notte all’età di 78 anni dopo una lunga malattia, lasciando definitivamente il testimone della gestione del suo ristorante al figlio Antonio. Riservato, signorile, tollerante e soprattutto generoso verso gli artisti e la città, Franchino Dipino nonostante qualche acciacco non riusciva a stare lontano dalla sua creatura. Nei locali della Caravella ha sempre gironzolato fino a qualche mese fa: tra la cucina e le due sale dove si intratteneva con qualche cliente abituale.
Quanti ricordi, da Franchino della Caravella. Un coacervo di memorie e di pagine di storia scritte a più mani volti noti e meno noti, tra un piatto d’alici imbottite e una porzione di soufflè a limone. «Il sole nel piatto», esclamò Quasimodo alla vista dello straordinario dolce inventato alla Caravella. E fu proprio ai tavoli di Franchino che il premio Nobel pensò al suo Elogio ad Amalfi, svelandone poi i contenuti, sempre nel ristorante a pochi passi dagli Arsenali, al suo giovane confidente amalfitano: Giuseppe Liuccio che del successo della Caravella fu testimone e poi cantore. Luogo d’artisti, di gente comune, di personaggi del jet-set, la Caravella entusiasmava per la sua cucina semplice e spiccatamente legata al territorio. Una prerogativa che negli anni Sessanta portò Franchino Dipino a ottenere, per primo in Costiera e tra i pochi del Sud Italia, la Stella della Guida Michelin che ha conservato negli anni accreditandosi come migliore ristorante della Divina e aggiungendo al palmares anche il premio per la migliore cantina dell’anno conferitogli nel 2004 dalla Guida Espresso.

Nelle sale della Caravella è passato anche il meglio della Pop Art quando Amalfi recitava il ruolo di capitale mondiale della pittura d’avanguardia. Andy Warhol, Duchamp, Kounellis, Agnetti, Pistoletto, Del Pezzo: tutti, almeno una volta hanno trovato ospitalità da Franchino che ha da sempre dimostrato una particolare sensibilità per l’arte. E oggi, il suo ristorante non è solo un tempio della cucina. Ma anche un museo, grazie alle opere ceramiche di Calgaleiro, Liguori, Mautone, Pirozzi, tanto per citarne alcuni. Significative anche le sortite letterarie di Bevilacqua, Diego Fabbri e Alfonso Gatto che proprio alla Caravella, declamò in anteprima alcune delle più belle liriche di”Rime di viaggio per la terra dipinta”. Un bagaglio carico di ricordi e di momenti memorabili quello che Franchino Dipino ha portato
via con se.

Un abbraccio ad Antonio che ha degnamente raccolto questa straordinaria eredità del padre facendo della Caravella un punto irrinunciabile delle persone appassionate del buon gusto. Grazie a lui Franchino resta fra noi. (l.p.)