GARANTITO IGP. Barolo Monvigliero 2006 Comm. G.B. Burlotto


“Il cibo ed il vino secondo Carlo Macchi, Luciano Pignataro e Franco Ziliani.
Ogni lunedì, i tre blog di Vino Igp (I Giovani Promettenti) offrono ai loro lettori un post scritto a turno dai giornalisti
Carlo Macchi, Luciano Pignataro e Franco Ziliani

Fervono su siti e blog, lo testimoniano ad esempio questo articolo di Ferdinando Pardini sul sito dell’Acquabuona – vedi – o questi di Gregory Dal Piaz sul sito americano Snooth – vedi e vedi ancora – ampie e vivaci discussioni in merito all’effettivo valore dei Barolo della discussa, per molti motivi, annata 2006. Millesimo, lo ricordiamo, che ha visto il “gran rifiuto” di Bruno Giacosa, che ha rinunciato ad imbottigliare sia i Barolo che i Barbaresco di quell’annata.

Ho preso atto, come tutti del resto, della decisione di quel sommo produttore e conoscitore del Nebbiolo di Langa, ma mi sento di condividere più le idee di larghissima parte dei produttori di Barolo – delle cui opinioni avevo a suo tempo dato conto qui – che hanno tranquillamente prodotto non solo i vini base, ma i più pregiati cru, che la scelta del grande uomo di Neive. Personalmente credo molto nei Barolo 2006, e più li assaggio, più li presento nel corso delle degustazioni che per A.I.S. mi capita di condurre in giro per l’Italia, e più mi convincono, più mi fanno pensare di trovarmi di fronte ad un’annata che ricorderemo e a vini, non facili, scontrosi niente male, ma di cui faremmo bene a fare scorta e lasciarli riposare a lungo in cantina. Per questo motivo – piccola “polemica” interna a noi “Giovani Promettenti”, o meglio un più che legittimo diverso sentire – non mi sento di condividere le riserve che l’amico Carlo Macchi ha espresso in questa severa disamina pubblicata su Wine Surf, qui, trovando in molti vini “una preoccupante chiusura olfattiva ed una tannicità molto verde, rustica ed accentuata”.

Questo a causa di quello che definisce il “problema dell’annata 2006”, secondo lui “una vendemmia di ottimo livello e superiore alle precedenti fino al 2001 escluso” ma la cui “scompostezza e chiusura olfattiva, con vini in bottiglia come minimo da molti mesi se non da un anno ci frena nell’affermare di essere di fronte ad una “grande annata”. Concordo con Carlo che per svariati vini valga, come sostiene, la parola d’ordine “non bere prima del 2014-2015”, e nutro meno dubbi di lui sul fatto che “una volta trascorsi gli anni, i 2006 si trasformeranno in massa in vini eleganti dal futuro radioso”. Ci sono Barolo e Barolo, ovviamente, e tra i 2006 le differenze tra i vini veramente riusciti e quelli un po’ “incompiuti” sono profonde, ma non riesco ad esimermi dal parlare, per tanti campioni che ho più volte degustato, di vini di alto livello, gratificanti per ricchezza, complessità, qualità dei tannini, bilanciamento, capacità di essere già godibili ora o di mostrare la loro grandezza in prospettiva. Penso, ad esempio, a molti vini di Serralunga d’Alba e di Castiglione Falletto, i due villaggi che nel 2006 hanno offerto, insieme a Monforte d’Alba e a Barolo, le migliori prove, ma anche ad alcuni vini di quel piccolo villaggio che con i suoi 89 ettari vitati, ovvero nemmeno il 5% dei 1826 complessivi della denominazione rappresenta un’area del tutto marginale. Eppure Verduno, perché della patria del Pelaverga, o Verduno Pelaverga, stiamo parlando, rappresenta un territorio che dispone di valide frecce al proprio arco, come rileva anche Alessandro Masnaghetti nella parte introduttiva della sua carta dei cru di Enogea dedicata a questo villaggio, sottolineando i “confini di eleganza che sono tipici di questo comune”. Un’eleganza di cui parla anche Gregory Dal Piaz, soprattutto nel caso di quello che, parole ancora del Masna, “può essere considerato il vero e proprio “grand cru” di Verduno”, quando scrive su Snooth che “Monvigliero in Verduno, is capable of exquisite, rich yet elegant wines that are frequently olive- and thyme-scented”. Con tutto il rispetto che meritano altri cru, pardon, Menzioni geografiche aggiuntive, di Verduno, come Massara, Pisapola e Neirane, il Monvigliero, quota altimetrica variante tra i 220 ed i 310 metri, esposizione “tra sud-est e sud-ovest passando per il sud”, con una “piccola parte tra nord e nord-est”, dove ovviamente non sono piantati i nebbioli, ma Barbera, Dolcetto e Pelaverga, mostra una marcia in più in tutti i vini, una decina circa, che ne rivendicano il nome. Ma mostra una finezza e una complessità speciale, anche se vanno considerate d’eccellenza le versioni firmate dal Castello di Verduno e da Fratelli Alessandria in particolare, nell’interpretazione ormai classica, e direi di più, paradigmatica e di riferimento, offerta dalla più tradizionale delle cantine che operano sul territorio verdunese, Comm. G.B. Burlotto. Un’azienda agricola, quella della famiglia Alessandria-Burlotto, cui si devono altri Barolo di assoluto rispetto, il base, un Cannubi che ogni anno risulta tra le migliori interpretazioni di questo cru simbolo del villaggio di Barolo, e l’Acclivi, mix di uve da diversi vigneti (Monvigliero, Neirane, Rocche dell’Olmo) in Verduno, vino che nell’annata 2006 si fa apprezzare come sempre per la grande fragranza, per le note di lampone, ribes e liquirizia, per la struttura ampia e succosa, la dolcezza del tannino, ma che ha nel Monvigliero, di cui ricordo con emozione una magnifica verticale a ritroso nel tempo fino alla prima annata prodotta, il 1982 – leggete qui – il vero fuoriclasse. La cantina Comm. G.B. Burlotto controlla circa due ettari degli undici complessivi e non tutte le uve provenienti dal vigneto sono destinate al cru, ma prevalentemente la parte prevalentemente limosa, poi costituita di sabbia, argilla e terra bianca, né troppo sciolta né compatta, che compone una zona a sé in questa magnifica conca disposta ad anfiteatro. Un Barolo rigorosamente tradizionale il Monvigliero, secondo lo stile collaudato da mamma Marina Burlotto e oggi proseguito dal figlio Fabio Alessandria, prodotto, nel caso del 2006, con qualcosa come 60 giorni di macerazione, e una vinificazione che non prevede l’utilizzo di macchine (diraspa-pigiatrici, pompe) durante la fase pre-fermentativa; l’uva buttata intera nel tino di fermentazione viene pigiata sofficemente addirittura con i piedi. Terminata la fermentazione alcolica il vino inizia la lunga maturazione (circa 30 mesi) in botti di rovere francese e sloveno della capacità di 35 ettolitri. E dopo l’imbottigliamento, prima di essere commercializzato, il vino si affina in vetro altri 24 mesi. Perché vi consiglio caldamente di procurarvi qualcuna delle 8000 bottiglie di questo Barolo Monvigliero 2006? Perché lo considero uno dei più entusiasmanti, convincenti Barolo 2006 da me degustati quest’anno, un capolavoro di complessità e finezza aromatica, con quel naso inconfondibile che richiama un mazzetto odoroso fatto di rosmarino, origano, timo, alloro, liquirizia, addirittura di genziana e china, un naso caldo, suadente, molto fitto, carezzevole, bouquet che quando il vino ha qualche anno d’età acquisisce sfumature di tartufo, spezie, cioccolato e rosa passita. Ma poi che soavità, ricchezza, profondità sin dal primo ingresso in bocca, quale maestoso distendersi, con quel tannino vellutato e suadente, caldo, avvolgente, vero pilastro centrale del vino, sul palato, una materia prima importante, fittissima, potente, carnosa, che evoca l’idea di strati su strati di polvere di cacao e cioccolato, eppure freschissima, grazie ad un’acidità calibrata e viva, ad una verticalità che assicura una persistenza quasi infinita. Un vino meraviglioso, una quintessenza del Barolo di Verduno, la dimostrazione di quale grandezza possa raggiungere un Barolo tradizionale, grazie alle uve di un vigneto fuoriclasse e alla mano ispirata di viticoltori e vinificatori dotati di gusto e cultura, anche in un’annata contraddittoria, discussa, ma alla fine da ricordare come il 2006…
Franco Ziliani

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