Basta stress in città, meglio allevare api nel Cilento: la storia dell’azienda Albachiara a Corleto Monforte


Azienda Albachiara, Corleto Monfortr

Rosario Ferrara e Barbara Capozzolo dell’Azienda Albachiara a Corleto Monforte

di Talia Mottola
Esiste il mondo delle api che mai ci saremmo aspettati a Corleto Monforte, nel cuore del Cilento, da sempre rinomata per la produzione di formaggi, per la transumanza e gli allevamenti di bovini, ovini e caprini. Qui a 680 metri sul livello del mare boschi di asfodeli, castagneti e più a valle terreni di uliveti diventano luoghi popolati da api che ogni giorno in una danza ordinata e operosa rientrano nelle loro arnie al calare del sole.
Rosario Ferrara e Barbara Capozzolo, marito e moglie, scrivono una nuova pagina di storia nel paese degli Alburni, protagonista la loro azienda Albachiara, nome che ha un significato ben diverso da quello potemmo pensare. L’alba per Rosario vuol dire «nuovo inizio», quello che arriva dopo anni passati nell’edilizia.
Ex costruttore per tanti anni titolare di un’azienda edile, dopo quel lavoro ha preferito spendere il proprio tempo a contatto con la natura e con le api, producendo il giusto quantitativo di miele «senza forzare la mano». Rosario asseconda il passare dei mesi e delle stagioni proprio come le sue api, rispettando il ciclo della natura e in uno dei tanti terreni- postazione per le sue arnie- ha piantato del rosmarino, alberi di albicocca e melograno, sparso semi di borragine selvatica: «Lo facciamo per noi» dice indicando la moglie «E per loro, le api».
La sua è stata una volontà messa da parte per molti anni e poi ripresa: negli anni Settanta suo padre Donato insieme ad altri pochi produttori tra Corleto e Sant’Angelo a Fasanella possedevano alcune cassette per una produzione di miele esclusivamente a uso domestico. Il risveglio di quella passione ritorna negli anni ‘80 quando un po’ per gioco incomincia a riprendere quello che aveva lasciato ricordando gli insegnamenti ricevuti da giovane. La convinzione che stava percorrendo la strada giusta l’ha trovata invece nello sguardo compiaciuto di sua moglie Barbara quando per la prima volta lo aveva accompagnato nella raccolta dei telaini da melario.

Il miele di Albachiara

Un lavoro che ha due prerogative: «L’attesa e l’osservazione» perché, come ci raccontano Barbara e Rosario, «anche il solo guardare la porticina dell’alveare indica un sacco di cose, come ad esempio capire quando è tempo di raccogliere il polline trasportato dalle api». I ricordi legati al miele rimangono vivi nella sua mente, come quello di sua madre che trasformava per suo padre calzettoni di lana in guanti protettivi per facilitare il lavoro sulle arnie, o come quello di una signora che producendo miele per la propria famiglia quella volta gli aveva confessato che per un pranzo veloce avrebbe cucinato «Uno spaghetto con un paio di cucchiaini di miele».
Un italiano su due lo consuma ogni settimana: lo rivela la ricerca “Gli Italiani e il miele”, commissionata dal Gruppo Miele di Unione Italiana Food ad Astraricerche. Di questo prodotto non si butta via niente. Polline, miele, cera, e oggi anche il veleno d’api che trova largo campo nell’ambito reumatologico, neurologico, cardiovascolare e veterinario. Anche Barbara ogni sera prima di dormire prende un cucchiaino di miele, perché oltretutto «fa bene all’ umore». Oggi la produzione di “Albachiara” ha ottenuto cinque stelle per il suo “Millefiori” dall’associazione Apas che riporta oltre i dati organolettici la descrizione «Di ottima qualità, armonico, con note vegetali e calde». Un riconoscimento che motiva i due coniugi a portare avanti una attività che ha restituito loro il giusto equilibrio con l’ambiente.

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