Brunello di Montalcino 2017: i migliori assaggi di Benvenuto Brunello


Benvenuto Brunello Vigna Carpineto

Benvenuto Brunello Vigna Carpineto

di Raffaele Mosca

Torno da Benvenuto Brunello con una notizia buona e un’altra cattiva. Quella cattiva è che l’annata 2017 non è al livello di 2015 e 2016, ma questo potevamo immaginarlo. Quella buona è che il know how dei produttori ilcinesi è cresciuto a dismisura negli ultimi anni. Non ci sarà mai più un millesimo globalmente scadente.

Un’annata del genere poteva essere una Caporetto, un balzo indietro dopo anni di successi e di crescita qualitativa e commerciale che nemmeno la pandemia è riuscita a rallentare. Sulla carta la 2017 la Montalcino è stata troppo calda, troppo siccitosa, troppo precoce, troppo tutto per dare vini degni del brand Brunello. Il rischio era che alla prima edizione novembrina di Benvenuto Brunello venissero presentati campioni stanchi, sgraziati già all’esordio come nel 2003, millesimo con un andamento stagionale molto simile. Ma nel giro di quattordici anni sono cambiate tante cose: Il Brunello ha superato i tempi bui di Brunellopoli e ne è venuto fuori più forte di prima. La critica nazionale e internazionale ha foraggiato un sistema che funziona, che produce utili senza sciupare l’ecosistema; ha sostenuto i produttori in questa mirabile fuga verso l’alto. Nuovi investitori hanno messo in campo ingenti risorse e hanno recuperato storici poderi. Aziende piccole e grandi che in passato si erano adagiate sugli allori hanno trovato il coraggio che serve per cominciare a fare sul serio.

La cartina tornasole di tutto questo è una 2017 che contraddice le previsioni: sicuramente più altalenante delle due annate precedenti, ma comunque capace di offrire un bel parterre di referenze degne di nota. I Brunelli 2017 sono vini estroversi, immediati, già molto leggibili in questa fase embrionale. Nei peggiori casi appaiono un po’ rustici e monolitici, con una parte fruttata fin troppo ricca e matura, tannini rugosi e percezioni alcoliche fuori misura. Nei migliori, invece, hanno la stessa stoffa delle grandi annate, ma con un pelino di immediatezza in più.

 

Il punto sulla 2017

Per capire un millesimo così controverso, non basta sedersi al tavolo e macinare assaggi, ma bisogna anche girare per cantine. L’ho fatto e il messaggio forte che ho recepito è che, in una stagione ostica, cominciata con una gelata che ha bruciato una parte delle gemme, proseguita con siccità record, ondate di caldo africano per tutta l’ estate, e terminata con una vendemmia appena rinfrescata da piogge a macchia di leopardo, ha avuto vita più facile chi si è organizzato in anticipo per far fronte alle sfide del cambiamento climatico. Ovunque – non solo a Montalcino – l’aumento delle temperature si affronta cercando di piantare vigne più in alto o in versanti con esposizioni più fresche, ed è evidente che chi negli anni ha lavorato in questo senso è riuscito a produrre dei Brunelli 2017 particolarmente centrati. Due esempi lampanti sono quelli di Carpineto e Tenute Silvio Nardi. Carpineto si trova nella zona subito a sud del paese ed è l’unica azienda ilcinese ad avere vigne completamente rivolte a nord, a un’altitudine compresa tra 400 e 500 metri. Emilia Nardi di Silvio Nardi, invece, ha la sua vigna più remota e più importante, Poggio Doria, al margine nord-est della denominazione, in un’area dove il bosco è protagonista del paesaggio e di vigneti se ne vedono ancora pochi. Parcelle come queste, anche solo dieci anni fa, sarebbero state considerate inadatte per la produzione di grandi Brunelli. E, invece, nelle ultime annate in generale – e nella 2017 in particolare – hanno dato vini tra i migliori di tutta la denominazione.

Altimetria ed esposizione fresca sono state due chiavi di volta, ma la verità è che anche in zone più basse e più soleggiate qualcuno è riuscito a fare grandi cose. E qui vanno fatte delle specifiche, perché questa è una questione cruciale per il futuro della viticoltura ilcinese. La domanda che si fa spesso è: le vigne che oggi consideriamo “eccellenti” lo saranno anche domani? La risposta, a mio avviso, è che quasi tutti i migliori cru di Montalcino terranno, perché più che propriamente caldi, sono assolati. La differenza tra caldo e assolato la fanno una serie di elementi che possono mitigare l’effetto dell’irraggiamento solare e delle temperature elevate: per esempio la conformazione del suolo, la vegetazione circostante, la vicinanza di un corso d’acqua, la ventilazione, le escursioni termiche tra giorno e notte. Questi fattori sono alla base della riuscita della 2017 in zone molto meridionali come quella di Camigliano, nel versante sud-ovest di Montalcino che guarda i monti dell’Uccellina e Castiglione della Pescaia. I due 2017 di Camigliano sono vini sicuramente potenti, forgiati dalla luce intensa della Maremma, ma, proprio grazie alla vicinanza dell’Ombrone, al suolo fresco e alle brezze, hanno mantenuto un tenore acido importante, paradossalmente più alto di quello di vini prodotti in quadranti più freschi. Lo stesso vale per altre realtà che non ho visitato, ma che mi hanno convinto in degustazione, come Uccelliera, Tenuta Buon Tempo, Ciacci Piccolomini d’Aragona, Tassi. Tutte aziende, queste, che hanno prodotto vini irrobustiti dal solleone d’Agosto, ma che si destreggiano in bocca con sorprendente disinvoltura.

In ogni caso, il segreto delle migliori 2017 sta nella grande competenza acquisita dai produttori di Montalcino nell’arco dell’ultimo ventennio. Sul fronte agronomico, il lavoro in campo è migliorato considerevolmente, soprattutto per quanto riguarda la sostenibilità – con tante aziende convertite al biologico – e la gestione del suolo, essenziale per attutire l’impatto della canicola. Su quello enologico, la presenza di gran parte dei più famosi winemakers sulla piazza ilcinese ha avuto sicuramente un peso, ma ancor più cruciale è stato il ricambio generazionale, che ha permesso a tante piccole aziende di fare un balzo in avanti. C’è stata  innanzitutto un’evoluzione importante sul piano stilistico, con vendemmie anticipate per preservare la freschezza, macerazioni più brevi e più delicate, un uso del legno nuovo sempre più moderato e un ritorno alle botti di media o grande capacità. Generalmente parlando, la tendenza a concentrare, a strafare che si riscontrava fino ad un decennio fa è venuta meno in favore di una ricerca della sottrazione, dell’essenzialità. Gli esempi di vini massicci, oberati dal legno, che non sanno di Sangiovese, si contano oramai sulle dita di una mano. Ben più frequenti sono le versioni che abbinano alla complessità aromatica una certa facilità di beva.

Alla fin fine, la notizia rincuorante è che la 2017 non comprometterà l’ascesa di una denominazione che va forte anche grazie al grande impegno congiunto delle persone. Parlare di coesione è un tantino esagerato, ma, in questi giorni, sedendo al tavolo con chi fa il vino, ho compreso che in questo territorio c’è più collaborazione e confronto  che in qualunque altra zona vitivinicola di spicco del belpaese. Per dirla alla maniera di Luciano Ciolfi di San Lorenzo: “ non c’è invidia e non c’è competizione scorretta. Sappiamo di essere fortunati e portiamo rispetto”. Si parla tanto di noi italiani che siamo incapaci di fare squadra, e qui, invece, si comincia a lavorare tutti nella stessa direzione e, soprattutto, si mettono da parte tutte le beghe di vicinato quando bisogna presentarsi al grande pubblico. Certo, degli outsider che stanno con un piede nel Consorzio e un altro fuori ci sono, e, in effetti, la grande sfida per la dirigenza sarà proprio trovare il modo per riavvicinarli.  “ Voi avete fatto una meraviglia in cinquant’anni, è un successo storico che non ha eguali al mondo – ha rimarcato il master of wine Pedro Ballesteros Torres nel suo intervento al Teatro degli Astrusi – adesso la vostra priorità deve essere pensare alle persone e cercare di riavvicinare che si è allontanato.”

 

A questo punto, non resta che parlare dei vini più interessanti tra i 200 e rotti in degustazione. Ecco qui i migliori assaggi di Benvenuto Brunello 2021:

 

  • Tiezzi – Vigna Soccorso

Ha appena compiuto 82 anni il mitico Enzo Tiezzi, figura chiave del rinascimento di Montalcino, tra i fondatori del consorzio, del quale è stato presidente all’alba della prima età dell’oro (1982-1988). I suoi vini cominciano finalmente a riscuotere il successo di critica che meritano: Il Vigna Soccorso 2016 è stato uno dei campioni dell’annata; il 2017 è meno completo, ma, grazie anche alla posizione fresca della vigna sotto i bastioni di Montalcino, è riuscito a mantenere un profilo succoso e fragrante, giocato su sensazioni di creme de cassis e pot-pourri di fiori rossi, lavanda, erbe aromatiche, un cenno di sottobosco e di affumicatura. E’ disteso, grazioso e succoso, ma anche dotato di energia minerale di fondo che lo rende integro, accattivante, incisivo. E’ tra i pochi 2017 che metterei tranquillamente a riposare in cantina.

 

  • Tenuta Buon Tempo

Versione azzeccata di una realtà emergente della zona di Castelnuovo dell’Abate, alla pendici dell’Amiata, che ha cambiato di recente proprietà e sta facendo passi da gigante. Colpisce per avvenenza ed immediatezza il naso che sa di fragola candonga e arancia sanguinella, rosmarino, alloro, pepe bianco, viola mammola ed eucalipto. E’ intensamente solare e mediterraneo, immediato e godereccio, ma anche tannico quanto basta e sostenuto da una discreta spalla acida. Forse non sarà tra le versione più durevoli in assoluto, ma nel medio termine può regalare soddisfazioni notevoli.

 

  • Camigliano – Paesaggio Inatteso

Meriterebbe di essere acquistato anche solo per l’etichetta stupenda che raffigura un borgo dentro un grande albero. Ma, per fortuna, il contenuto del Paesaggio Inatteso è al livello del packaging. L’imprinting dell’annata rovente emerge nei profumi di legno arso e cappero selvatico, terra bagnata, origano e lentisco, paprika, cardamomo, gelatina di lamponi e susine nere. E’ ampio e caloroso, ma non cedevole o sovraestratto. L’acidità intonsa – riflesso dell’equilibrio del terroir e di una vedemmia anticipata alla prima decade di settembre – calibra la massa imponente di frutto e prolunga il finale piccante di pepe ed erbe aromatiche. E’ un peso massimo che, però, si muove con l’agilità di un artista circense.

 

  • Tricerchi – A.D. 1441

Il vino di punta di un’azienda che è cresciuta considerevolmente negli ultimi anni. Il nome fa riferimento all’anno in cui la famiglia Tricerchi acquistò questo castello sulla via Francigena. Siamo quasi al confine tra Buoncovento e Montalcino e l’A.D. 1441 ha un piglio da vino nordico, con un colore particolarmente trasparente, sgargiante e profumi delicati di anice e origano, mentolo e pastiglia alla viola, pepe bianco, alloro. Piace per l’equilibrio del sorso grintoso e accattivante, con tannino serrato – ma non polveroso – e un finale al sapore di bacche rosse e tarocco siciliano. Veramente centrato.

 

  • Tenute Silvio Nardi – Poggio Doria

Svetta sulla batteria con il suo quadro aromatico scuro, leggermente addolcito dal passaggio in tonneaux, che lascia emergere aromi allettanti di mirtilli selvatici e giuggiole, viola e iris, tabacco mentolato e cioccolato fondente, accenti ematici e speziati. E’ quasi arcigno in questa fase, ma evidenzia una materia non da poco. Il tannino è travolgente, ma senza sbavature, la spinta acida data dal mesoclima fresco snellisce il sorso e prolunga un finale snello, accattivante, balsamico e sottilmente floreale.

 

  • Ridolfi

La cantina emergente del 2021 per il Gambero Rosso ha sfornato dalle sue vigne in zona Canalicchio un Brunello solare, ma senza eccessi, profumato di rosa appassita e lavanda, gelatina di anguria, legno arso e humus. “Sexy” è l’aggettivo giusto per descrivere la dinamica gustativa ampia, cremosa e allo stesso tempo nervosa, con finale preciso su toni di nocciola e macchia mediterranea. Ben fatto!

 

  • Salvioni

Rarissima referenza di produttore iconico con sede nel centro del paese. Il naso evidenzia già tracce evolutive: pastiglia alla liquirizia, pot-pourri di fiori rossi, tabacco da pipa, erbe officinali e tartare. La bocca, invece, è vivace e scalpitante, in perfetto tra frutto ricco e goloso, tannino agile, rimandi ai fiori e alle spezie scure che plasmano uno sviluppo estroso e accattivante, boschivo nel finale profondo e appagante. Una certezza.

 

  • Tassi – Vigna Colombaio

Sempre da Castelnuovo dell’Abate: questo è il “single vineyard” dell’azienda del proprietario dell’Enoteca nella Fortezza di Montalcino. Un vino fermentato in uova di cemento e affinato in tini tronconici da 16 e 25 ettolitri che stupisce per souplesse aromatica, esordendo con aromi quasi nebbioleschi di rosa appassita e gelatina d’anguria, sandalo, noce moscata, ruggine e un tocco di spezie orientali. Cremoso in apertura, poi più scuro ed ematico, rimane sempre fine, composto, arioso e suadente, con tannini perfettamente cesellati e un finale grintoso al sapore di arancia sanguinella.

 

  • Verbena – Le Pope

Una vera e propria rivelazione: prodotto da un’azienda low profile, con vigne ad est e sud ovest, molte delle quali esposte a nord. Ha un naso scuro e suadente allo stesso tempo: Viola mammola, mirtilli e more, sandalo, noce moscata, polvere di cacao e humus. E’ garbato e goloso, appena arrotondato dall’apporto ben integrato del rovere, ma sempre disinvolto ed energico, sostenuto da un tannino di rara finezza e mentolato nel finale aggraziato.

 

  • Uccelliera

Gelatina di ribes, kir royal, sandalo e incenso, caffè e vetiver delineano il profilo esuberante di un’etichetta classica in grande spolvero. Il corpo è robusto e cremoso, il respiro alcolico si fa sentire, ma tutto è messo a bada dalle giuste durezze tanniche e acide e dàlla verve speziata che vivacizza il sorso. Un’esplosione di mediterraneità avvente: sinuoso come Sophia Loren in Ieri, Oggi, Domani.

 

  • Le Gode – Montosoli

La 2017 ha avuto esiti altalenanti a Montosoli, la collina nel versante Nord-ovest da molti considerata il singolo Cru più importante di tutta Montalcino. Alcuni vini sono apparsi un po’ deludenti; la versione di Le Gode, invece, ammicca con le sue note animali estrose, che s’intrecciano con toni di anisetta e sambuca, viola appassita, more e gelsi maturi, scatola da sigari. Se il precedente è Sophia Loren, questo assomiglia a Johnny Depp: tenebroso, scapigliato, a un tempo potente e raffinato,  con una progressione senza compromessi segnata da tannini fitti e un lungo finale su toni di sottobosco silvano e frutti neri croccanti, rugiadosi. Fascino magnetico di un Brunello fuori dal coro.

 

  • Le Chiuse

Il 2016 di Simonetta Valiani, l’erede dei Biondi Santi che ha ricevuto in dote alcune delle vigne da cui si produceva la Riserva negli anni 60’ e 70’, era stato, a mio modesto parere, il miglior 2016 in assoluto. La 2017 non eguaglia quel risultato, ma è comunque piacevolissima, profumata di anice stellato e mirtilli aciduli, iris, cipria, vetiver. Molto snella e posata, longilinea e croccante di fruttini neri maturi, ha una dinamica fine e golosa, floreale nell’epilogo suadente. Si farà bere da subito con grande facilità e non avrà bisogno di abbinamenti troppo complessi: basterà un piatto di pici al ragù.

 

  • Giodo

Il Brunello ambizioso di Carlo Ferrini, winemaker con all’attivo decine di consulenze in tutta Italia. Non tutti lo amano: qualcuno lo considera fin troppo fine e garbato. Ma in un’annata come questa la mano del grande enologo si fa sentire e ci regala un vino di razza che svela profumi di legno arso e ribes nero, violetta, tè matcha, chiodo di garofano e polvere di caffè. Il sorso è soave, disteso, calibrato dal tannino quasi impalpabile e da una spinta acida gagliarda che conduce una progressione energica e sfiziosa. Tra i più eleganti in assoluto.

 

  • Carpineto

La frescura del vento che spira nell’anfiteatro vista Siena e Montalcino sembra impressa in questa etichetta che esordisce con un refolo mentolato, seguito da giuggiola e mora, cacao amaro, grafite e chiodo di garofano. Bellissima ampiezza in bocca, dove non manca il frutto generoso della ‘17, ma l’acidità è in lizza, il tannino dà sostegno, la matrice minerale arricchisce un finale appena rinvigorito dall’afflato alcolico. Forse il miglior vino mai prodotto da quest’azienda chiantigiana con succursali a Montalcino e Montepulciano.

 

  • La Magia – Ciliegio

Una realtà sulla bocca di tutti: celebrata dai wine critics internazionali, produttrice di vini moderni, espansivi, ma senza eccessi. Il Ciliegio è uno dei vini più caratterizzanti ed espansivi assaggiati in queste due giornate: ampio nei rimandi all’incenso e al legno di rosa, alle erbe aromatiche e al sottobosco verde. Porta in dote la dose generosa di frutto del terroir luminosissimo di Castelnuovo dell’Abate, ma è grintoso e composto, segnato da tannini pulsanti e da ritorni agrumati che rendono sinuosa la silhouette del sorso. E’ concentrato, potente, ma senza eccessi, anzi rende un senso raro di equilibrio ed armonia.

 

  • Il Paradiso di Manfredi

Vino divisivo di un produttore fuori dai gangheri, icona del vino naturale. Purtroppo la costanza non è una una prerogativa de il Paradiso di Manfredi, ma entrambe le bottiglie assaggiate dell’annata 2017 hanno evidenziato una stoffa da fuoriclasse. Il naso è un affresco della campagna ai piedi del colle di Montalcino: resina di pino, petricore, bacche rosse e pellame;  poi qualche sbuffo di spezie orientali. Sorprende e conquista il sorso imperniato su di un tannino magistralmente estratto, succoso di ribes e mirtillo, con eco mentolata che allunga il finale rarefatto, arioso. Splendido!

 

  • Ciacci Piccolomini d’Aragona – Vigna di Pianrosso

Podere storico sulla strada di Sesta, nel cuore del versante Sud-ovest, gestito con grande costanza e lungimiranza dai Bianchi, famiglia di fattori che l’hanno presa in mano all’indomani dell’estinzione della dinastia nobiliare. Il naso del Pianrosso è caleidoscopico: rosa rossa e creme de cassis, cappero e pasta di olive, origano, spezie fini, sottobosco e tartufo. Il sorso è abbondante, voluminoso, carico di frutto rosso maturo, ma non troppo, con qualche traccia tostata da rovere che arricchisce e non appesantisce, tannini arrembanti e un rintocco salato che allunga un finale magistrale. Raro caso in cui il 2017 ha poco da invidiare al 2016 della stessa azienda.

 

  • Capanna

Sempre ai vertici della denominazione questa realtà guidata dal presidente emerito del consorzio Patrizio Cencioni, che, peraltro, è tra i pochi che si ostinano a produrre lo storico Moscadello di Montalcino. Le sue vigne si trovano nel versante Nord-est, che è stato graziato da piogge nel periodo pre-vendemmia. Il vino esibisce un profilo particolarmente fresco, giocato su toni di fuliggine e muschio animale, mirtilli e duroni, lavanda, legni balsamici, un accenno di ferro e di grafite. E’ ampio, avvolgente, setoso e cremoso, con impeto sanguigno e agrumato di fondo che emerge progressivamente e conduce il finale dritto, minerale e soavemente balsamico, di somma piacevolezza. Chapeau!

 

  • Caprili

Il tipo di vino che ti conquista a prima annusata: fascinoso, privo di maquillage enologico, parte con un guizzo sauvage, che lascia presto spazio a ribes rosso e arancio amaro, rosa in appassimento, erbe officinali e arie mentolate. Ha una dinamica accattivante, senza eccessi di peso e di calore, anzi con bei ritorni croccanti di ribes e fragola, lampone, giuggiola, cenni ematici e tannini impeccabili, bosco e macchia mediterranea nel finale coerente con tutto il resto. Un piccolo capolavoro dalla zona di Santa Restituta, esempio lampante di territorio assolato, ma non caldo.

 

  • Argiano

L’antica villa della famiglia Caetani Lovatelli, passata di mano più volte nel corso del 900’, è tornata allo splendore di un tempo sotto l’egida de mogul della finanza brasiliano Andrè Esteves, che ha rilevato la tenuta nel 2014 e ha affidato la gestione al manager Bernardino Sani. La cantina fresca di restauro è tra le più affascinanti del Pianeta Terra; la villa ospiterà presto una collezione di arte rinascimentale. Ma di tutta questa bellezza c’importerebbe relativamente poco se i vini non avessero seguito un percorso simile. Eccellenti i Brunello 2015 e la 2016, ma il 2017 rappresenta un conseguimento ancor più importante se rapportato al millesimo. Il naso è stregante: profumato di vetiver e talco, ginseng, lavanda, violetta e ribes rossi, melagrana, cipria, cannella, un tocco di humus e radici. La profondità e la godibilità sono quelle di un Brunello da annata classica: il tannino è perfettamente intessuto nel corpo, l’impeto ematico e l’acidità precisa, armoniosa allungano un sorso d’estrema souplesse. Assaggiato ben due volte durante la degustazione e una terza volta alla cena di gala preparata dalla brigata di Carlo Cracco, è il più seducente dei 2017 assaggiati a Benvenuto Brunello.

Benvenuto Brunello - Carlo Cracco

Benvenuto Brunello – Carlo Cracco

Un commento

  1. Il giovane critico cresce e matura esperienze.D’altra parte un Master Bibenda vorrà anche significare qualcosa ! Davvero complimenti da un “anziano”sommelier e ad Maiora semper.FM

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