Alle origini del successo del Cerasuolo d’Abruzzo: parla Giulia Cataldi Madonna


Giulia Cataldi Madonna

Giulia Cataldi Madonna

 

di Raffaele Mosca

Dopo aver dialogato con produttori emergenti e promettenti come Francesco Cirelli, Adolfo De Cecco, Stefano Papetti di De Fermo, abbiamo intervistato la rappresentante di una storica azienda abruzzese: Giulia Cataldi Madonna. Giulia ha da poco preso il testimone da suo padre Luigi, detto “Il professore”, figura chiave del rinascimento vitivinicolo della regione.

 

Giulia, la tua azienda la conosciamo in molti. Raccontaci qualcosa di te e del tuo percorso.

Allora, io sono entrata in azienda nel 2017. Prima ho fatto un percorso di studi alla facoltà di agraria de La Cattolica di Piacenza, con indirizzo viticoltura ed enologia.  Mentre studiavo seguivo il lavoro da lontano e rappresentavo la realtà in tutte le manifestazioni al nord. Poi la regola di famiglia è sempre stata: ovunque tu sia, devi sempre tornare per fare la vendemmia. Ho cominciato a lavorare stabilmente in cantina quattro anni fa e, nel 2019, mio padre ha avuto il grande coraggio di fare il passaggio di consegne. Oggi mi occupo di tutto in prima persona e affianco l’enologo esterno Lorenzo Landi nella produzione. La differenza rispetto a chi mi ha preceduto è che io sono la prima ad aver studiato enologia. Tutti i miei predecessori avevano studiato altro e facevano lavori diversi.

 

Bene. Parliamo di Cerasuolo e di rosato in generale. Voi ne fate tre di rosati: cosa rappresenta per voi ciascuno di questi vini?

Noi abbiamo tre rosati proprio perché crediamo molto in questa categoria. Facciamo due Cerasuoli e un rosa. Il Cerasuolo deve avere il contatto con la buccia, mentre l’altro, il Cataldino, è un bianco vinificato da uve rosse, quindi senza contatto. Non per tutti è così: ci sono aziende che ottengono il Cerasuolo da uve vinificate in bianco.

 

Mi dicevano tra l’altro che nel consorzio c’è una mezza idea di creare una DOC di ricasco per chi vuole fare un rosato senza contatto con le bucce

Si c’è, ma in realtà penso che dovrebbero correggere la DOC attuale, perché ora come ora si può fare qualsiasi cosa. Si dovrebbe definire meglio cos’è il Cerasuolo.

Si stanno facendo degli sforzi in questo senso? O si lascia fare il bello e il cattivo tempo?

Mah, c’è grande confusione. Non si sa in che direzione si vuole andare. E’ sicuro, però, che il consorzio ha finalmente capito l’importanza del rosa e del Cerasuolo e, infatti, nel 2018, mio padre è stato fondatore di Rosa Autoctono, un consorzio di secondo livello al quale partecipano tutti  i più importanti consorzi del rosato: Bardolino, Valtenesi, Salento e via dicendo. Questo è un punto di partenza importante e spero che il progetto non vada a sfiammare a breve.

 

Parliamo di Piè delle Vigne. Cos’è questo vino e cosa lo differenzia dal Cerasuolo classico, il Malandrino?

Il Piè delle Vigne è il Cerasuolo tradizionale della zona di Ofena: viene prodotto con l’antica tecnica della svacata – da vaco, che vuol dire acino – che serviva un tempo per produrre il vino in casa. Qui in passato il Montepulciano non arrivava a maturazione, perché faceva troppo freddo, e i contadini erano costretti a vinificarlo in bianco. Però volevano comunque un po’ di struttura e quindi mettevano una parte di mosto a macerare con le bucce, per poi unire il tutto. Questa è la svacata. Abbiamo ripreso la tecnica per il Piè delle Vigne e procediamo in questo modo: raccogliamo l’85% delle uve del vigneto dedicato e le vinifichiamo in bianco. Poi, dopo 3-4 giorni, vendemmiamo il resto e lo facciamo fermentare con le bucce. La difficoltà procedurale risiede nell’unire le due partite a metà fermentazione: a 10 gradi babo noi mettiamo i due mosti insieme e gli facciamo finire la vinificazione congiuntamente. Non è un taglio tra due vini finiti, ma un innesto tra due vini in via di formazione.

Interessante. E mi dicevi che il Piè delle Vigne proviene da un singolo vigneto?

Si, Piè delle Vigne è un Cru. Il nome è quello del terreno al catasto.

A livello commerciale, dov’è che vendete meglio?

Be’ quest’anno abbiamo avuto un grosso ordine dagli Stati Uniti. In passato si faceva fatica, c’era un pregiudizio in America per via di questo color cerasa che all’occhio faceva pensare che si trattasse di un vino dolce. Eppure, grazie alla comunicazione mirata dei produttori, l’America è diventata, nel giro di pochi anni, il miglior mercato. Poi altri paesi in cui il Cerasuolo va bene sono Irlanda, Inghilterra, Belgio. In ogni caso il progetto Rosa Autoctono ci ha permesso di fare rete e, non a caso, questa crescita coincide proprio con l’istituzione del consorzio.

 

Diciamo che state cercando di fare concorrenza alla Provenza, che per il momento ha l’egemonia sul mercato mondiale

Loro sono bravi, c’è da riconoscerlo. Effettivamente a livello di comunicazione hanno sempre dato un senso d’unione. Quando parli di vino rosa, parli di Provenza, non di cantina X o cantina Y. Noi siamo ancora molto lontani da loro, ma speriamo di avvicinarci a quei livelli.


Penso che loro abbiano anche fatto forza sulla specializzazione, partendo dalla vigna. Voi, per esempio, producete tutti i vostri rosati da vigneti dedicati o solo il Piè delle Vigne?

Si, per quanto riguarda il Cerasuolo Malandrino, abbiamo un vigneto specifico a tendone. Per il Cataldino, invece, facciamo selezione in alcune parcelle. Diciamo che in generale i nostri vini nascono sempre in campagna. E’ importante, perché l’errore che spesso si commette è fare vino rosa con lo scarto del rosso. Ed è per questa ragione che la percezione del consumatore (italiano, ndr) è quella di un vino di risulta. E poi si pensa che sia un vino da femminuccia – e non è affatto così – o un vino da bere solamente d’estate, sotto al capanno. Noi, per combattere questo stereotipo, quasi per provocazione, commercializziamo il Cataldino in autunno.

 

Quindi, se io vado adesso al ristorante, bevo il Cataldino dell’annata precedente?

Si, esatto. Io credo un sacco nella longevità dei vini rosa. Ci sono tanti bianchi che possono stare tanti anni in bottiglia: perché rosato e Cerasuolo no? Abbiamo una fatto verticale del Piè delle Vigne qualche tempo fa e le bottiglie erano tutte in ottima forma. Anzi, quelle che ci hanno stupito di più sono state proprio le prime annate: 1997, 1998, 2000. Hanno retto veramente benissimo: nessuno era andato, non c’era nessuno spunto acetico!

Lo chiedo a tutti: cosa abbineresti con il tuo Cerasuolo?

Mah, io dico sempre mangiate e beve quello che vi pare! … però il Piè delle Vigne sta molto bene con i piatti a base di pomodoro. Il Malandrino, invece, è molto versatile: spazi dal pesce alle carni bianche. Il Cataldino, infine, sgrassa molto bene e io lo consiglio con i formaggi (molli, ndr) e con pesci grassi.

 

Ultima domanda: quali sono le prospettive future per l’azienda? Cos’hai cambiato e cosa vorresti cambiare?

Da quando sono approdata ci sono stati diversi cambiamenti. C’è stato un restyling di collaboratori: ora siamo tutti ragazzi giovani, la maggior parte del territorio. Poi è cambiato tutto il packaging:  capsule, bottiglie, logo, etichette.  E il Cataldino, tra le altre cose, è frutto della mia tesi di laurea: diciamo che l’ho introdotto io. Insomma l’ azienda sta cambiando, ma rimangono i pilastri fondamentali. Sicuramente il mio obiettivo nel futuro non sarà tanto di ampliarmi, perché ci tengo a mantenere una dimensione artigianale, ma punterò più che altro a migliorare la qualità, fare esperimenti, conoscere ancor meglio le potenzialità de vitigni (anche in extremis). Per esempio il Cataldino è stato un esperimento che mi ha permesso di capire fin dove si può spingere il Montepulciano. Mi sono chiesta: si può fare un vino bianco da quest’uva? E poi un altro obiettivo è quello di accorpare tutti i vigneti. Noi siamo già fortunati ad avere tutte le vigne nel comune di Ofena, ma il mio sogno sarebbe proprio avere un’azienda a corpo unico.

 

Un commento

  1. Veramente notevole, la categoria ( il cerasuolo mi piace molto e a mio avviso è il rosato più riuscito) e quello di Cataldi Madonna in particolare

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