Antonia Klugmann e i segreti delle cento erbe


Antonia Klugmann (foto Mattia Mionetto Photographe)

Antonia Klugmann (foto Mattia Mionetto Photographe)

di Giulia Gavagnin

Antonia Klugmann ha censito quarantacinque erbe di uso quotidiano nel suo libro del 2018 “Di cuore e di coraggio”, ma ne conosce a centinaia. Acetosella, artemisia, portulaca, tarassaco, finocchietto, aglio orsino e silene, meglio noto ai friulani come sclopit. L’ha valorizzata nel solco della più autentica tradizione friulana, incorporandola a un burro per mantecare la polenta; l’ha unita per simbiosi al sentore naturalmente erbaceo dei garusoli di mare in una fase successiva del suo percorso culinario, che è vita e viaggio insieme, come la peregrinazione di Ulisse.

La sua Itaca si chiama Vencò, un lenzuolo di terra nel Collio, lambito dallo Judrio, guardato a vista dalla Slovenia, e sorvegliato dalle Valli del Natisone. Antonia Klugmann non è solo cuoca stellata, ex giudice di Masterchef, volto noto al grande pubblico. E’ una delle figure più importanti della cucina italiana perché autentica ambasciatrice di una regione e di un’identità di frontiera, che in questi tempi di glocalismo è essenza stessa della modernità, termine abusato e di respiro troppo ampio per essere univoco. Per lei essere “moderna” significa avere “possibilità di scelta”: “vivo e lavoro in una terra isolata che favorisce la meditazione ma con un clic sono connessa a ogni parte del mondo”.

Essere qui e altrove, in una dimensione fluida e consapevole. Ha scelto di insediarsi in un ambiente rurale di confine che riproduce le dilatazioni e le contraddizioni della sua città natale, Trieste: accerchiata dai baffi di Cecco Beppe, dal mare, da ricordi irredentistici, in un’italianità per modo di dire. Valorizza l’elemento vegetale fino al parossismo, facendo levatacce per raccogliere erbe nelle terre circostanti il suo ristorante l’Argine a Vencò (“ogni erba va raccolta in un determinato posto e in un preciso momento, solo così avrà la giusta consistenza”), coltiva i prodotti del suo frutteto, per utilizzare ogni singola parte del frutto: nocciolo, buccia, succo, persino brodi estratti a caldo, perché ogni elemento della natura può trovare gemellaggi inaspettati attraverso sguardi attenti come il suo. Vedi gli spaghetti alla salsa di fragole e aglio orsino. Oppure i cappelletti di cinghiale in brodo di prugne, che questo spicchio estremo di Italia offre in abbondanza, come ben sanno i locali che da sempre nella seconda metà dell’anno banchettano con gli gnocchi di susine, burro, zucchero e cannella.

Gino Veronelli Maestro indimenticabile

Antonia Klugmann è l’erede diretta dei grandi chef di una regione tanto complessa e un po’ scontrosa, più di tutti gli altri è l’erede di Gianni Cosetti, nome mitologico per gli addetti ai lavori, incensato da Gino Veronelli e da Gianni Mura, ma alieno ai ricordi del grande pubblico di oggi che conosce Klugmann grazie a Masterchef. Cosetti se lo ricordano in pochi, è misconosciuto perché primo tra i moderni e quindi più vecchio tra i giovani: ai fornelli del “Roma” di Tolmezzo, ha intuito il potere magico delle erbe in cucina quarant’anni prima che si parlasse di “foraging”, ha sdoganato il linguaggio poetico del cibo delle vicine malghe prima che il “km 0” divenisse una specie di mantra.

Gianni Cosetti

Gianni Cosetti

Non è un caso che Antonia Klugmann, studi classici, mitteleuropea triestina figlia di un melting-pot (il nonno ha ascendenze fino a Leopoli, l’attuale L’viv ucraina, nell’estremo est dell’Impero) abbia sperimentato piccoli microcosmi, la campagna friulana di Pavia di Udine e la laguna veneta del Venissa di Mazzorbo prima di approdare al “suo” microcosmo, l’Argine di Vencò, tutto pareti verdi e vetrate sui prati, quattro case nelle vicinanze e sterrati continui, a dispetto dell’immagine falsata che si ha dello chef contemporaneo, tutto locali cromati, parcheggiatore esterno e glamour metropolitano, immagine da star e attenzione al prodotto ovviamente diversa. Un’entrèe obbligatoria di semi di amaranto e girasole che sembra di annusare il fieno appena tagliato, radici amare mare e monti che ci riportano alla mente i racconti dei nonni, rapa bianca e mela cotogna, spaghetti spezzati cavolfiore e camomilla, pancia di agnello brasata con uva alle erbe amare e cavolo friulano sono alcuni dei più recenti piatti ancestrali proposti all’Argine.

Antonia Klugmann de L'Argine a Venco' nel suo orto

Antonia Klugmann de L’Argine a Venco’ nel suo orto

Si intuisce solo a leggerne i nomi il legame fortissimo con il territorio, il menu è tutto passione, fatica, orto e frutteto, senza compromessi verso ingredienti esteri, se non umeboshi giapponesi fatti in casa. Nella recentissima introduzione del trifoglio sostenibile all’interno della Guida Michelin francese, Antonia Klugmann ovviamente avrebbe un posto d’onore, ma non diciamolo forte prima che la svolta verde non diventi ufficiale anche in Italia. “La Rossa è sempre stata attenta alle esigenze del mercato e una buona politica ambientale è diventata oggi una vera e propria esigenza di mercato. In particolare, queste politiche mettono il prodotto al centro della catena alimentare. Ovviamente mi riconosco in questa visione, perché non c’è nulla che mi stia più a cuore del prodotto”, dice. “Ci tengo a precisare che io sono solo un piccolo anello della catena, perché non ho un’azienda sostenibile, ho un piccolo ristorante che è il luogo che mi permette di vivere un percorso che è ancora in divenire, ma certamente il prodotto ha una rilevanza preponderante”, precisa poi.

Ristorante l'Argine a Venco' - Cucina

Ristorante l’Argine a Venco’ – Cucina

Il riconoscimento alla cucina sostenibile è una garanzia per il cliente, quasi una “certificazione” della catena alimentare iniziata dallo chef. “Le mode vanno e vengono, ma l’attenzione all’elemento vegetale è sempre maggiore: il pubblico gli sta riconoscendo un ruolo da protagonista e non più da comprimario. Per questa ragione, è molto apprezzata non solo la mia inclinazione “veg”, ma la stessa varietà di verdure che propongo, che provengono da microcosmi friulani diversi: dalla laguna di Grado al Carso, posso offrire prodotti differenti e tutti caratterizzanti, dalle rape al radicchio, dai cavoli alle verze, ovviamente tutti di primissima scelta”. Frutta e verdura che sarà cotta, ma anche essiccata o fermentata, secondo l’antica tradizione della regione, che conservava per affrontare il freddo e la vita nei campi. “Ho sentito che il mio posto era qui, in mezzo al nulla, immersa nella natura e circondata dai campi. Il mio obiettivo ora è di aumentare il numero delle camere e di ampliare l’orto. Un po’ alla volta, con costanza”.

Chi va piano, va sano e va lontano, dicevano gli adulti ai bambini da queste parti. Antonia Klugmann l’ha imparato, ma con la sua lentezza sta viaggiando più veloce di tanti altri.