Ciccio Sultano: tradisco per modernizzare la più grande cucina del mondo. Grande per l’incredibile susseguirsi di dominazioni. Dall’innovazione siciliana può passare l’innovazione pura e semplice della cucina non solo italiana


Ciccio Sultano chef

Ciccio Sultano

Ciccio Sultano

di Monica Caradonna

Bisogna “andare in Sicilia per constatare quanto è incredibile l’Italia” scrive Leonardo Sciascia ne Il giorno della Civetta. Il “continente” delle contraddizioni, delle contaminazioni culturali, delle rivoluzioni, della magia e del desiderio di scrollarsi di dosso gli stereotipi. La terra in cui il dialetto è una forma di poesia, il mare una risposta alle paure, la cucina l’interpretazione di una storia italiana che ha attraversato indenne le dominazioni straniere, uscendone arricchita, in un mood in bilico tra il richiamo di un’Europa moderna e il vento caldo del Sud, quello scirocco che è dirompente energia esistenziale.

«Se non fossi nato siciliano non sarei stato un cuoco» scrive Ciccio Sultano nel suo Quaderno dedicato alle contaminazioni siciliane. Perché è lì, in quel continente a sé, che si sono concentrate le stratificazioni culturali, etniche, artistiche e che hanno fatto della Sicilia «un continente gastronomico più che una semplice regione». Ed è lì che l’uomo si è arricchito e ha trovato la sua identità. Per duecento anni gli Arabi hanno dettato la linea della bellezza e dell’innovazione, della cultura e della poesia, ma ancora prima lo hanno fatto i Greci che hanno portato la cultura del pane e hanno lasciato in Ciccio Sultano il rispetto per il chicco di grano, portatore di ricchezza, «e che con il sale e l’olio, quel fluido in cui navigano e confluiscono tutti gli ingredienti, iniziatore di grandi trasformazioni, è stato portatore di economia e sviluppo».

Oggi però l’economia è sotto attacco, in bilico. Bisogna trovare il filo del racconto di un intero Paese che si è perso nei meandri di una proliferazione di Decreti che aggiungono incertezze. Ma Ciccio Sultano è nella sua cucina a programmare il futuro con la convinzione che «bisogna ricostruire con saggezza e senza fretta». È immerso nel suo ristorante. È al lavoro. Intanto, mentre in Italia la burocrazia e gli innumerevoli Decreti mettono a dura prova gli imprenditori, in Austria, dove Ciccio Sultano ha firmato il progetto Pastamara, è stato tutto più semplice. «Le procedure sono in un foglio e si sta ripartendo».

 

Cominciamo dalla fine, dalla fine di un paradosso storico immerso nel lockdown.  Cosa ha valore oggi? Cosa sarà la cucina gastronomica dopo due mesi di incertezze?

Non ho, come nessuno, la palla di vetro. Dobbiamo, oggi, camminare a quattro zampe per rialzarci domani. È anche chiaro che il mondo dovrà, in futuro, avere più rispetto di sè stesso. Certamente la pandemia non ha cambiato né cambierà il mio modo di fare cucina.

Rapporto uomo-natura. Qual è il valore ritrovato? Come pensa, alla luce di quanto accaduto in tempi di Covid19, al suo rapporto con Aia Gaia e al progetto della pesca con la famiglia Testa?

Per me il valore umano della terra non è un valore ritrovato, ma sempre presente fin dall’inizio della mia carriera di cuoco. Con la famiglia Testa, pescatori dal 1800, abbiamo iniziato a collaborare tre anni fa. Un grande progetto, come quello di allevare galline felici, che è diventato ancora più importante, perché se prima la domanda era: in che negozio posso comprare? Ora la domanda è: me lo può spedire? E questo avviene sia attraverso la pagina prodotti del mio sito sia attraverso l’e-commerce Testa Conserve. Di necessità abbiamo fatto virtù, portando a casa prodotti gourmet.

Quale il suo rapporto con il mare? Com’è nato il progetto sul tonno?

Guardo questa grande scena d’acqua, in perenne movimento. Da questo punto di vista il mio è un rapporto di spettatore. Quando si è cominciato a parlare del progetto con i Testa, mi era stato chiesto di fare il testimonial. Ho risposto di no, che a me interessava partecipare attivamente all’ideazione e alla sperimentazione dei prodotti, portando in dote il mio mestiere.

Quale è stato il ruolo di “Cantieri” in questo periodo di riflessione forzata? Su cosa sta lavorando?

Come laboratorio in cui agiscono i pensieri e le mani, abbiamo, ad esempio, realizzato i prototipi per le salse alla buzzonaglia e taratatà che entreranno in due kit di pasta. A Cantieri si pensa oggi quello che si può fare dopodomani.

Sensazioni, emozioni, percezioni. Quale il valore della distanza? Quale il suo approccio allo spazio e al tempo?

Potersi riavvicinare liberamente.

Ma c’è una poetica dei gesti?

La poesia nella cucina credo che attraversi non solo i gesti ma quello che si fa quotidianamente. C’è chi ce l’ha e chi no. C’è chi copia e chi invece crea. Tra cuochi è bello essere dalla parte di chi crea, poi la poesia è l’insieme di quelle cose che contribuiscono a realizzare il momento emozionale di chi ti viene a trovare.

Quanto il silenzio ha inciso sulla creatività?

Più che il silenzio, o meglio, non solo il silenzio, perché sulla creatività incide la solitudine, intesa come privazione e mancanza.

Libertà e coerenza in cucina e nel piatto. È un esercizio che fa contrasto?

La risposta è nella domanda. Si è liberi, perché coerenti e coerenti perché liberi.

Spesso dice che lei tradisce la tradizione.  

Il verbo tradire viene da tradere che significa consegnare, mettere in mano. La tradizione è l’innovazione di ieri. Io tradisco per modernizzare la più grande cucina del mondo. Grande per l’incredibile susseguirsi di dominazioni. Siamo uno scrigno preziosissimo di ingredienti, tecniche e storia. Dall’innovazione siciliana può passare l’innovazione pura e semplice della cucina non solo italiana.

Quando, in quale momento della sua vita, ha capito che la sua cucina è diventata cultura, baluardo della storia?

Non l’ho capito, l’ho fatto. E oggi ho l’esperienza per scrivere ciò che ho vissuto come nel primo quaderno di Cantieri Sultano dedicato alle Dominazioni siciliane.

La cucina è arte?

Si, quando chi la fa ne è capace. Arte è pensare e comporre ricette che commuovono, che avvicinano in tutti sensi. Quando vedo qualcuno che piange a tavola per quello che ha appena assaggiato, mi sento un artista che non potrà esporre qualcosa di deperibile, ma che ha compiuto un gesto di bellezza

Qual è il futuro della cucina italiana?

Io credo che l’Italia abbia creato sempre correnti importanti e che sia stata una nazione che non aveva bisogno di dimostrare nulla con il carico di varietà di materie prime nonché con la sua ricchezza monumentale e paesaggistica. Negli ultimi 20 anni l’Italia ha avuto più importanza nel panorama enogastronomico internazionale ed è stata sempre una delle cucine più amate nel mondo.

Esistono limiti in cucina?  

No, i limiti sono nelle persone.

Ciccio Sultano Chef

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